sabato 23 Novembre 2024

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Emma: “Combatto sempre per le cose in cui credo” – INTERVISTA

La cantante salentina racconta “Essere qui – B∞M Edition”, nei negozi e nei digital store dal 16 novembre

EmmaDopo essere tornata in rotazione radiofonica con il suo nuovo singolo “Mondiale” (qui la nostra recensione), per Emma Marrone è giunto tempo di lanciare “Essere qui – B∞M Edition che si rivela essere molto di più che una semplice riedizione pre-natalizia. Disponibile sia nella classica versione CD che in un originale formato magazine, il progetto si arricchisce di nuove sfumature e ci mostra lati inediti dell’artista salentina che appare al proprio pubblico, come sempre, senza filtri. In occasione della pubblicazione di questo nuovo lavoro discografico abbiamo incontrato per voi la rocker dal cuore tenero, per scoprire insieme il suo personale bilancio su questo ardimentoso 2018, affrontato a testa alta da vera leonessa qual è sempre stata.

Ciao Emma, in questo nuovo progetto troviamo quattro brani inediti, otto racconti e tanti nuovi scatti fotografici mai pubblicati. Immagini e storie che si incastrano e mettono in mostra la tua quotidianità?

«Assolutamente sì, l’unico modo per mantenere un equilibrio in questo lavoro piuttosto folle, l’ho trovato continuando a condurre una vita super ordinaria. Molte persone hanno un immaginario abbastanza fervido di noi artisti, mentre le mie giornate scorrono con normalità e semplicità, anche per non impazzire (ride, ndr) e mantenere saldi quelli che sono i miei principi e i miei pensieri».

Un modo per prendere un po’ le distanze da un mondo che non ti appartiene, inteso come show business?

«Esatto, mi appartiene la musica, chiudermi in studio per giorni con i musicisti e il palco, il luogo dove più al mondo mi sento a casa. Tutto il resto non conta, a Roma è molto più facile beccarmi in una trattoria a mangiare con la tovaglietta di carta, piuttosto che ad una festa vip».

Citando l’inciso del tuo nuovo singolo “Mondiale”, se dovessimo fare una classifica delle cose che ti fanno esclamare più spesso qual sano e liberatorio “ma che palle”, cosa metteresti al primo posto?

«Guarda, in realtà lo dico spesso quando la gente arriva in ritardo, può succedere una volta, due, tre, poi ti riveli essere un ritardatario cronico e seriale, una cosa che proprio non sopporto. Ma se vuoi ti dico l’intero podio (ride, ndr), dico “ma che palle” quando leggo o ascolto delle robe che non stanno nè in cielo nè in terra, invece che andare avanti mi disturba quando vedo qualcosa che riporta al Medioevo. Poi lo dico anche quando mi annoio, sono una che si stanca abbastanza facilmente, devo sempre trovare stimoli e fare cose nuove».

Cosa accomuna “Mondiale” alle altre tre tracce inedite “Incredibile voglia di niente”, “Nucleare” e “Inutile canzone”?

«La verità. Questi brani in realtà li avevo già nel cassetto da tempo, ma non abbiamo potuto inserirli in “Essere qui” perché, oggi come oggi, se un disco contiene più di dieci tracce sei considerato la raffigurazione del male. Per me questo disco è l’atto finale di un progetto iniziato con la pubblicazione de “L’isola” come primo singolo. Questi brani suonano coerenti proprio perché c’erano già, li ho semplicemente ricantati e arricchiti di vita vissuta. La sfida più grande in questo mestiere è rimanere: ormai chiunque può avere i propri cinque minuti di gloria, la difficoltà è restare nel tempo e nel cuore delle persone, come spero di riuscire a fare anche con queste nuove canzoni».

Musicalmente hai dimostrato di avere il coraggio di saper prendere delle decisioni importanti, di partire all’avanscoperta di nuovi orizzonti senza voler restare relegata nella tua zona di comfort e sul pianeta-ballad. Hai ben chiara la direzione nella quale stai andando o, più semplicemente e istintivamente, alla tua bussola hai preferito togliere le lancette?

«Non ho chiara la direzione di dove sto andando altrimenti perderei tutto il gusto del viaggio. La mia bussola non ha lancette, sono in balia delle esperienze e delle emozioni che la vita ogni giorno mi regala, tutto questo automaticamente si trasforma in musica. Amo il rischio proprio perchè mi annoio facilmente, le sicurezze non mi trasmettono adrenalina e la verità viene prima di tutto, ho sempre bisogno di essere me stessa, non sono capace di dire bugie, se avessi tirato fuori cose che non mi rappresentano avrei fatto una doppia brutta figura con me stessa e con il pubblico. Seguo semplicemente l’istinto, abbinato all’esperienza e alla maturazione».

Tra gli autori ti stai aprendo alla scena indie, come te anche Elisa e altri. Trovi particolari differenze in questo genere di poetica rispetto alla narrativa prettamente tipica del pop?

Emma«Non mi sono aperta io, semplicemente perchè le etichette me le hanno poste sempre gli altri, in realtà sono stati gli autori ad aprirsi a me, mandandomi le loro canzoni: questo mi fa molto piacere perchè ripaga le mie scelte. Non sono andata a bussare a casa di Colapesce o Matteo dei Canova perchè l’indie sta funzionando, ho ricevuto da loro questi brani e mi sento fiera di averli cantati. Sono aperta ad ogni tipo di influenza musicale, non credo che la poetica sia in base ad un genere, piuttosto dipende dallo stile di un determinato autore».

Come valuti lo scenario musicale del nostro Paese?

«Non amo i preconcetti, diciamo che non sono contro la trap, ma non amo quella forma di giornalismo che si schiera dalla parte delle nuove mode rinnegando tutto ciò che c’era prima. L’hip hop in generale mi piace, ascolto Salmo, conosco la Dark Polo Gang, Sfera Ebbasta, Frah Quintale, Coez, ma anche l’indie e Calcutta. Non sono una che si chiude nel proprio mondo, ma non apprezzo quel pensiero comune a molti che, quando arriva qualcosa di nuovo, tutto il resto sembra non esistere più».

Collaboreresti anche con artisti provenienti da mondi distanti dal tuo?

«Perché no? Se in futuro dovessero propormi qualcosa di interessante, non la rifiuterei di certo a priori, vedi con Rovazzi, la canzone mi è piaciuta, l’ho trovata divertente e ho accettato senza battere ciglio. Non sono mai stata una con la puzza sotto il naso, anzi, determinati artisti li ascoltavo precedentemente al loro successo, tipo Caparezza che conoscevo ancora prima di “Fuori dal tunnel”, perchè veniva a suonare nel locale dove facevo la cameriera».

Per quanto riguarda il magazine, invece, cosa ha aggiunto la forma scritta al modo di esprimerti?

«In realtà, quando mi sono buttata in questa avventura non pensavo sinceramente di portarla a termine, non mi sentivo in grado: all’inizio non è stato facile aprirmi e mettere tutto nero su bianco senza l’ausilio della musica. Ero partita con un approccio asettico, quasi distaccato, poi mi sono talmente abbandonata e appassionata che ho preso la mano al punto da diventare quasi una dipendente della scrittura, mi sono fermata ad otto capitoli ma, per quanto mi riguarda, potevo realizzare pure una “Treccani”. Non so come spiegarti, mi sono ritrovata faccia a faccia con me stessa, le parole sono uscite come un fiume in piena, è stato come andare dall’analista… ma gratis!». 

Nel primo capitolo scrivi: “Se le critiche e le offese fossero soldi, non esisterebbe nemmeno il debito pubblico”, al di là di quelle personali da parte degli haters di turno che lasciano il tempo che trovano, qual è l’aspetto che più ti infastidisce e ti rattrista di questa attuale società?

«Ho sempre avuto le mie opinioni e le ho tranquillamente esplicitate in diverse situazioni, il fatto che sia una cantante e che sia bionda non significa che non abbia un parere da poter esprimere, valido come quello di tutti. Sono cresciuta in una famiglia dove, fortunatamente, all’ora di cena non c’erano iPad in tavola, si parlava di tutto e con grande libertà. Oggi, in un tweet di 140 caratteri, ognuno può dire la propria e la trovo una cosa bellissima. Reputo sgradevole e sbagliato quando un’opinione personale diventa pubblica offesa e pubblico giudizio: è una grandissima piaga della nostra società, in molti fanno finta di non percepirlo come un problema».

Quale potrebbe essere, secondo te, la soluzione a questo problema?

«Per quanto mi riguarda nelle scuole istituirei come nuova materia l’educazione ai social, perché ormai già da piccolissimi utilizzano termini che non si possono nemmeno riportare in un’intervista. Nel mio piccolo, tutti i giorni cerco di trasmettere contenuti di valore, non postando soltanto cose che riguardano il mio lavoro. Curo personalmente le mie pagine, posto libri, condivido canzoni non mie e induco al rispetto verso gli altri artisti, passo le giornate a bloccare le persone che insultano e diffamano gli altri, io non l’ho mai fatto, rispetto il lavoro che c’è dietro ogni singolo progetto, piuttosto perdo follower ma non mi interessa. Con delle piccole azioni quotidiane cerco di trasferire un esempio che sia il più positivo possibile, che va al di là della promozione di un disco».

Quali sono i messaggi che cerchi di trasmettere, giorno per giorno, ai tuoi fan?

«Che la nostra esistenza non va sprecata, ma vissuta fino in fondo. Ogni volta che salgo sul palco penso sempre che sia l’ultima volta, cerco di dare il 100% e vivo il mio pubblico come fosse un rapporto amoroso, fatto di alti e bassi, di abbracci e incomprensioni, a volte non ci si percepisce e il dialogo viene meno, ma i miei fan sanno quanto sono importanti. La vita degli artisti sembra ormai scandita dall’uscita degli album, quasi come se tra un disco e l’altro non succedesse niente. Non siamo robot, dalla pubblicazione della prima versione di “Essere qui” ad oggi è passato un anno, mi sono successe tantissime cose, personalmente non ho mai voluto discendere la mia vita artistica da quella personale, quindi è normale per me trovarmi ad avere un bagaglio enorme di cose da dire quotidianamente, non solo in corrispondenza di un radio date».

Per concludere, nel terzo capitolo del magazine scrivi: “L’amore è saper aspettare”, in quest’epoca così frenetica in cui i rapporti si consumano velocemente sui social e durano forse meno di un singolo in classifica, quanto è importante riprendere possesso dei propri spazi e dei propri tempi?  

«Credo che questo disco sia la risposta a tutto, mi sono presa il mio tempo, il mio spazio, combatto per mantenere in vita questo album che merita tantissimo e aspetto con pazienza, come Hachiko, perchè so che tutto l’amore che ho messo in questo progetto, a lungo termine, sarà ripagato di tutti i sacrifici che ho fatto quest’anno, delle cose che ho dovuto leggere e ascoltare, dei pregiudizi e dei giudizi affrettati, a volte con poco tatto come se stessimo parlando di una scatola di pelati, con tutto il rispetto per chi raccoglie pomodori per tutto il giorno sotto il sole con quaranta gradi. Probabilmente sarò pazza e un’inguaribile romantica ma sono convinta che il tempo mi restituirà tutto il sudore e il sangue che ho versato in questo disco».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.