Recensione del terzo album d’inediti del cantautore
Ad un anno dalla sua consacrazione come realtà musicale e discografica a tutto tondo e non soltanto come autore Ermal Meta pubblica Non abbiamo armi che segue quel suo colossal di Vietato morire (qui la nostra recensione) che, dopo averlo lanciato dal palco dell’Ariston, lo ha anche portato ad un ottimo successo di pubblico e critica. Per dar vita a questo nuovo album il cantautore di origini albanesi si è proposto nuovamente sul palco del Festival di Sanremo in coppia con Fabrizio Moro riuscendo ad ottenere quella vittoria coltivata nel corso delle ultime due annate con due terzi posti prima tra le Nuove Proposte e poi tra i Big.
Ad aprire questo nuovo viaggio è iconicamente quella Non mi avete fatto niente dove le vocalità e le interpretazioni di Ermal si contrappongono e si sposano a quelle di Fabrizio Moro: il primo nella sua soavità, dolcezza e gracilità timbrica si pone in senso diametralmente opposto all’irruenza, alla potenza e mascolinità del graffiato vocale del secondo. Insieme formano il connubio perfetto per raccontare la doppia faccia e la doppia voce del fenomeno del terrorismo che poi, puntualmente, si fonde in un unico intreccio di corpi e voci.
Oltre all’episodio sanremese l’album si presenta come un ottimo lavoro capace di proporre altri interessanti episodi che smentiscono il legittimo pensiero che al terzo disco in tre anni le idee avrebbero, forse, scarseggiato. Dalla sospesa 9 primavere, che con la leggerezza pop sa raccontare la quotidianità più banale dell’amore sull’orlo del baratro con la promessa che però “domani tornerà sereno” malgrado “la scienza non lo sa spiegare“, si passa alla sommaria Il vento della vita, che riflette sul senso di un percorso vissuto “verso te” dopo aver scelto di “cadere, rialzarsi e poi sognare e tornare a farsi male” per “navigare in mari sconosciuti“. Sono, senza dubbio, i due episodi più riusciti dell’intero lavoro.
Tra le ballate pop si fanno spazio quelle più movimentate e adatte alla stagione estiva come, ad esempio, Dall’alba al tramonto, che fa un buon uso della ritmica, e Io mi innamoro ancora, bel manifesto dedicato all’amore per la propria vita di fronte alla quale, come canta la title track dell’album Non abbiamo armi, conservando come unica possibile soluzione la forza di un abbraccio.
È presente anche una piccola parentesi tutta “romana” che parte con la delicata e struggente Le luci di Roma, in cui la città eterna funge da scenografia nel lento scorrere del ricordo di un amore, per poi proseguire con Caro Antonello indirizzata iconicamente a Venditti abusando fin troppo della produzione sintetica e di un mood sonoro esasperato nel proprio istinto cupo.
La conclusione del disco è quella double face tra le ritmate e trascinanti Amore alcolico e Molto bene, molto male, che mettono in campo un leggerissimo utilizzo di distorsione elettronica di sintetizzatori, e le intime e personali Quello che ci resta, dedicata “all’amore che spacca le ossa“, e Mi salvi chi può, finestra aperta verso il futuro mantenendo l’intimità ma operando per tutta la prima parte una distorsione elettronica che si dissolve solo di fronte alle “parole di rabbia” del finale quando esce allo scoperto una bella soluzione d’energia e forza.
Questo nuovo album d’inediti si rileva, quasi sorprendentemente, sempre particolarmente a fuoco e riuscito confermando il talento del giovane cantautore e la sua capacità di saper intercettare le emozioni raccontando efficacemente i sentimenti. Ermal Meta trova la sua massima realizzazione nella proposta d’intime e sussurrate ballate pop d’amore ma anche nel più frivolo e trascinante pop si rivela capace di saper trovare le giuste traiettorie senza per forza dover sconfinare nella ricerca impersonale di mode sonore. Un bel disco che trova nelle parole e nel suo suonare tradizionale e vero la propria forza maggiore.
MIGLIORI TRACCE: 9 primavere – Il vento della vita
VOTO COMPLESSIVO:
Ilario Luisetto
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