La nostra chiacchierata con un amante dell’arte nella sua totalità
Amante dell’arte nella sua totalità, estimatore e appassionato di musica come di letteratura, Marco Rettani è una delle nuove frontiere autorali dell’ultimo periodo del pop italiano. Reso celebre da una sua illustre collaborazione affianco alla divina Patty Pravo, negli ultimi mesi ha accompagnato il percorso artistico de Le Deva e collaborato con alcuni dei nomi più importanti della scena pop da Noemi a Francesco Renga e i Nomadi. Appassionato e sincero lettore di questo mio spazio web da mesi mi ripromettevo di realizzare con lui una bella chiacchierata musicale e l’occasione è arrivata all’indomani della pubblicazione del disco di debutto di Greta, Verdiana, Roberta e Laura (in arte Le Deva) per il quale ha collaborato alla stesura di quasi tutti i brani inclusi nell’album. Ecco cosa ci siamo raccontati durante una telefonata libera da schemi e obblighi formali:
Allora, Marco ho organizzato quest’intervista in un modo un po’ particolare: non ho preparato delle consuete domande preconfezionate ma vorrei andare a ruota libera approfittando della tua passione per l’arte da intendersi nel senso più universale del termine. E, proprio a proposito di questo, vorrei partire da un fattore extramusicale ovvero il tuo primo libro, “Non lasciarmi mai sola”, uscito qualche anno fa
<<Ti correggo, però, perché “Non lasciarmi mai sola” è stato il mio primo libro “pubblico” edito per Mondadori ma, prima di allora, avevo già avuto modo di scrivere. E c’è da dire anche che dal libro è partita, poi, un’esperienza musicale fortemente correlata che ha quindi congiunto la letteratura e la musica>>.
Chi è allora Marco Rettani?
<<Un laureato del 1988 in legge ma da sempre appassionato di musica: suonavo la chitarra e ho più volte collaborato con le cosiddette “radio libere”. Fin da giovane mandavo audio-cassette a Pippo Baudo per andare a Sanremo Giovani a cui, allora, si iscrivevano numeri ben più grandi di artisti. Mio padre, invece, era una persona molto seria e dedita al lavoro e mi spinse, in un certo senso, ad occuparmi del mio futuro. Da lì sono diventato avvocato occupandomi di consulenza legale commerciale a livello internazionale rimanendo, però, sempre affascinato dalla dimensione musicale e artistica>>.
Che cosa ti legava, e ti lega ancor oggi, all’arte?
<<Sono, fin dagli anni ’90, un collezionista. E allora esserlo non era così di moda come è, invece, attualmente. Ho iniziato a raccogliere, fin da subito, opere che, nel settore del collezionismo, mi hanno reso abbastanza celebre tra cui, per esempio, una statua di Alberto Giacometti, uno scultore del 1900 che secondo il mercato è il secondo artista più importante al mondo dopo Michelangelo Buonarroti>>.
Il passaggio alla letteratura, quindi, quando avviene?
<<Era ormai il 2000 quando mi sono messo a scrivere racconti tra cui uno particolarmente molto avvincente, “La figlia di Dio”, uscito per la piccola casa editrice “Silvana Editoriale” che da sempre si occupa soprattutto di arte. La distribuzione del libro lo portò a finire, poi, praticamente solo sui desk dedicati all’arte che, stando a quanto dicono, è il meno frequentato in assoluto dalle persone che mediamente entrano in una libreria (circa il 2%)>>.
Che libro era questo “La figlia di Dio”?
<<Come “Non lasciarmi mai sola” era ambientato nella Roma del Rinascimento ed aveva il semplice obiettivo di raccontare una storia. Il collegamento alla musica, però, è presente anche in quel libro perché la successione dei capitoli racchiude i versi della canzone di Ivano Fossati “O che sarà che sarà” (“A che sarà, che sarà/ che vanno sospirando nelle alcove/…”). Da innamorato di quel pezzo ho cercato di farlo rivivere su un altro universo, su quelle atmosfere sospese che fanno da scenografia ad ogni mia storia>>.
E per la prima volta da un libro sei poi arrivato ad una canzone…
<<Si, esatto perché “Nel nome del Padre” è un brano che ho scritto pensando al libro “La figlia di Dio”>>.
Usanza che poi hai mantenuto anche per “Non lasciarmi mai sola”
<<Certo, quando Mondadori ha deciso di pubblicare questo libro la prima cosa a cui ho pensato è stata quella di realizzare una sorta di “sigla” che ho deciso di condividere con una mia grande amica storica amante dell’arte con la quale sono unito, in qualche modo, dal nome di Mario Schifano, un grandissimo artista della pop art romana del 1900 di cui io sono collezionista e lei fu grande amica. Lei, ovviamente, è Patty Pravo ed ho pensato a lei perché per scrivere questo brano ripresi “E io verrò un giorno là”, brano presentato a Sanremo nel 2009, riscrivendone le strofe adattandole al racconto del mio libro. Io quindi canto le strofe e lei l’inciso, che abbiamo mantenuto con il testo originale e dal quale è nato, poi, anche il titolo del libro proprio su suggerimento di Patty>>.
E, anche in questo caso, da cosa nasce cosa: l’ingresso nel mondo musicale parte, forse, proprio da qui
<<Direi di sì perché quello che è stato un veramente ottimo successo editoriale mi ha proiettato nell’ambiente musicale grazie a questa canzone cantata con un’artista che da 50 anni vive in quel mondo. Frequentare Nicoletta ha significato conoscere una buona fetta della musica italiana tra cui, per esempio, Diego Calvetti che così è diventato un mio buonissimo amico permettendomi, per una serie di circostanze, di iniziare a collaborare ad una serie di progetti>>.
È più complicato scrivere un libro o una canzone?
<<Scrivere un libro è molto complicato ma scrivere una canzone lo è ancora di più perché lì, in poche righe, bisogna raccontare qualcosa che in un libro si potrebbe descrivere sotto ogni aspetto senza un vero limite anzi, spesso, è necessario essere iper-descrittivo per portare il lettore dentro la storia. Quando ci si abitua a scrivere una canzone non si riesce più a scrivere un libro, e viceversa>>.
Negli ultimi mesi, però, sei diventato parte integrante, e oserei dire fondamentale, del progetto de Le Deva partito da “L’amore merita” e culminato con la pubblicazione dell’album “4”
<<Si, ho iniziato a collaborare a questo progetto quando non esisteva che un’idea pensata e messa a fuoco brillantemente da Manuel Magni e, anche in questo caso, da cosa è nata cosa e abbiamo deciso di provare a costruire un percorso comune mettendo insieme quattro artiste che arrivano da un’esperienza differente con un bagaglio tutto personale. Ecco che, da “grande vecchio” del gruppo, ho cercato di regolare questo grandissimo gruppo convogliando nel progetto anche alcuni di miei amici: Zibba, che ha curato la produzione artistica dell’album, per esempio l’ho conosciuto dopo che ha scritto per Patty Pravo la canzone più bella del suo ultimo album (“Qualche cosa di diverso”). Insieme a lui abbiamo convogliato in questo album tutta una serie di autori che, secondo me, diventeranno autori di riferimento per la musica italiana come lo sta diventando Tony Maiello che ha un modo approcciarsi alla scrittura che rappresenta il futuro: dire cose iper-semplici che arrivano con la stessa facilità>>.
Un lavoro che, comunque, ti vede largamente protagonista insieme a tutti questi giovani autori
<<In molti mi chiedono come mai sia presente in tutti i pezzi e non è per il voler essere egocentrico ma perché il nostro obiettivo era quello di fare un pop elegante, di far dire ai testi un qualcosa. Quello che io ho voluto fare è dare ad ogni brano un timbro di garanzia, di fare da collante, da coordinatore>>.
Un procedimento che, in qualche modo, riflette la tendenza tutta contemporanea di scrivere una canzone in un team ampio di autori specializzati
<<Esattamente, non esiste più un De Gregori qualsiasi che si mette a scrivere quattro strofe e tira fuori una canzone immensa come “Generale”, oggi qualsiasi produttore che riceve una canzone strutturata in quel modo la cestinerebbe. Oggi, in una canzone, deve esserci la strofa, il bridge, l’inciso, un’altra mini-strofa, lo special… e ogni autore è specializzato in una singola sezione della costruzione della canzone>>.
Oltre a questo progetto negli ultimi mesi sei stato coinvolto anche nell’album che vede il ritorno dei Nomadi, “Nomadi dentro”
<<Quello è stato un lavoro diverso perché, al contrario di quanto è necessario fare con Le Deva, con i Nomadi è stato progettato un album come si faceva una volta, non una sorta di raccolta di singoli. Sono musiche e sonorità che volutamente vanno a richiamare gli anni ‘70/’80 in cui questo gruppo ha avuto la sua genesi. È un disco suonato, senza niente di elettronico, ed è un album che, dalla prima all’ultima canzone, dà la sensazione di ascoltare sempre una sola ed unica canzone>>.
E, oltre a tutto ciò, c’è stata anche l’esperienza affianco a Noemi
<<Si, ed è uscito un pezzo, “Sei la mia vita”, bellissimo (scritto con Diego Calvetti e la stessa Noemi) che, però, ancora una volta ha un obiettivo un po’ più “alto” della canzone comune e cioè quello di accompagnare un corto presentato alla mostra del Cinema di Venezia che ha la mira di andare a sostenere un progetto di beneficenza. Questi sono i progetti che mi affascinano>>.
Senza dimenticare, logicamente, anche la collaborazione autorale con Tony Maiello che è sfociata in un brano per Francesco Renga, “Non passa mai”
<<È stato Tony a prendermi per mano in quest’avventura ma per me quella canzone rimane tutt’ora “A un passo dal cuore”, che era il titolo originale prima che Francesco rivedesse parte del testo. Un po’ come “Il mago”, la canzone de Le Deva che, rispetto a come l’avevo scritta originalmente, è stata modificata dall’intervento di Alessio Caraturo e Seba. È sempre un onore avere questo tipo di collaborazioni per cui va bene così ma, ormai, la canzone moderna è questa. Ti racconto un episodio particolare che mi è successo ultimamente e che la dice luna su questo: stavo collaborando ad una canzone ed il produttore che la produceva mi ha mandato solo la parte della strofa che dovevo scrivere senza tutto il resto del brano perché altrimenti, a suo dire, mi sarei confuso. Quasi come se non mi interessasse cosa si dice in questa canzone>>.
A tal proposito, come ha influito la tecnologia nel mestiere dell’autore?
<<In modo determinante direi: prima ci si vedeva per collaborare insieme dopo l’obbligatoria serata tra due birre e qualche risata, ora, invece, si fa tutto a distanza e, spesso e volentieri, capita che si scriva un pezzo in 5 di cui, magari, non si conosce nemmeno tutti gli altri. È un po’ avvilente questa abitudine che tende sempre più a costruire una “macchina del perfetto”: io nel DNA sono un cantastorie medievale>>.
In che senso?
<<Mi sento ancora come uno di quei cantastorie che metteva su uno spettacolo da solo: se la suonava e se la cantava come si suol dire. Ecco, io mi sento così in un’epoca in cui tutto ciò non esiste più perché l’arte è confinata dentro a dei limiti: se si fa l’attore non si può fare musica, se si fa il pop non si può fare il rap, se scrivi bene un inciso non sai scrivere le strofe… Tutto è diventato troppo specializzato al fine di dare un prodotto sempre più perfetto quando, forse, nell’arte non è poi così necessario che debba essere così>>.
Collegato a tale questione è, forse, il fatto, che spesso viene detto retoricamente ma che un fondo di verità deve avercelo, che non esistono più “le grandi canzoni di una volta”. Come la pensi a questo proposito?
<<Quello, credo, sia dettato dal mercato più che dalla ricerca di un’eccessiva perfezione. Ora come ora un brano dura due mesi, dopodiché è vecchio: è per questo che non può nascere la “grande canzone di una volta”. I dischi un tempo venivano fatti ogni 4-5 anni non uno ogni anno e le radio trasmettevano i brani a seconda del gusto del dj che, al giorno d’oggi, non vale più nulla: è lì che nascevano le grandi canzoni che sono diventate grandi perché hanno avuto il tempo per farlo. “Generale” di De Gregori, tanto per tornare al caso di prima, è diventata una grande canzone perché il tempo ha dato modo alla gente di impararla e assimilarla ma oggi se qualcuno proponesse quella stessa canzone per la prima volta susciterebbe in chiunque soltanto una sensazione di disgusto. Quando Claudio Baglioni, che è stato tra i primi a produrre dischi in un lasso di tempo più breve, pubblicava un album ogni 1-2 anni tutti rimanevano esterrefatti dalla sua produttività>>.
Venendo, invece, al futuro cosa ti aspetta? Sappiamo che con Le Deva c’è questo tentativo di approdare a Sanremo e poi?
<<Si con Le Deva ormai il tentativo è ufficiale e, da parte mia, posso dire che abbiamo presentato un pezzo bellissimo che può piacere o no ma non può lasciare indifferenti perché porta dentro di sé qualcosa di speciale. Speriamo piaccia a Claudio Baglioni e alla commissione perché, secondo noi, è una canzone che merita>>.
Ilario Luisetto
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