Capita a volte di rimanere stregati da una voce, impressionati dal suo colore e dal suo timbro vocale, di non poter trattenere le emozioni, sempre diverse, che riesce a suscitare a comunicare. A dire il vero, ahimè, accade oggigiorno sempre meno: in un’epoca in cui ad emergere (per volontà terze) è soprattutto l’immagine affermarsi grazie alla vocalità è impresa ardua e difficoltosa.
Esiste, però, chi ancora riesce a raggiungere questo obiettivo e ad imporsi grazie alla propria potenza e virtuosità eliminando totalmente l’immagine, e dunque quello che per un’artista, che vuole fare della musica la sua vita, dovrebbe essere perlomeno secondario se non superfluo. Cleò, voce misteriosa ed affascinante (per rendersene conto, basta andare sul suo canale YouTube) che da qualche settimana ha attirato su di sé l’attenzione di molti, è riuscito in questo compito non svelando mai la sua identità ma comunicando con l’ascoltatore unicamente per mezzo della propria espressione vocale che è divenuta, come è giusto che sia, il solo veicolo delle emozioni.
Cleò attraverso soltanto 6 cover rilasciate per mezzo del web e suonate (nel vero senso della parola) con grandi musicisti totalmente su basi acustiche fatte da pianoforte e archi, ha incassato un’attenzione della stampa e della critica virtuale che nemmeno tanti progetti dei cosiddetti “big” riescono talvolta ad attirare malgrado comunicati stampa e interviste “esclusive”.
La vera marcia in più di questo strano personaggio, di cui ancora non si è riusciti a capire se si tratti di un uomo o di una donna, è stata proprio quella di riuscire a creare un clima di curiosa e sincera attesa non più propria dei nostri tempi basati sull’ascolto frenetico ed immediato della musica, sempre più infrenabilmente vista come bene di consumo piuttosto che come prezioso elemento di riflessione e piacere.
Sono anni che in Italia si sente l’assenza di una vocalità di questo livello tecnico ed interpretativo capace di sobbarcarsi la difficile eredità dei grandi miti della canzone leggera nostrana che custodisce i grandi nomi di Mina, Antonella Ruggiero, Giuni Russo e Mango e che nessuno, da Giorgia ed Elisa in poi, è riuscito a raggiungere. Cleò ha saputo inserirsi in questo mondo con rispetto e professionalità andando ad interpretare brani storici ed inarrivabili come “Ave Maria” di De Andrè (interpretata poi anche dalla Ruggero), “Brava” di Mina o “Il passo silenzioso della neve” di Valentina Giovagnini.
In un contesto sociale in cui le cover vanno di gran moda e spopolano all’interno dei vuoti contesti televisivi, riuscire ad interpretare tecnicamente bene e a comunicare emozione e sentimento con brani come questi non è caratteristica diffusa e soltanto una personalità artistica così elegante, spiritualmente alta e sopraffina come quella del misterioso Cleò avrebbe potuto accostarvisi richiamando un talento interpretativo che solo Malika Ayane nell’ultimo decennio ha dimostrato di poter avere sotto la guida lungimirante ed unica di Caterina Caselli che, con la sua Sugar Music, ne ha esaltato il talento dimostrando che la discografia italiana può, e deve, avere ancora uno spazio importante per la musica elegante, alta e concettualista pur se coniugata ad una veste popolare.
E’ in questo spazio discografico che Cleò deve puntare a inserirsi andando ad occupare una tassella del mercato discografico e del gusto musicale più adulto e maturo (non solo anagraficamente inteso) che è proprio dei più grandi interpreti che da troppo tempo latitano nel nostro panorama musicale macchiato dalla grave colpa di focalizzare la totalità della sua attenzione sul culto dell’immagine e su sovra categorie impiegate per celare e confondere la pochezza delle voci che risuonano nelle nostre radio costantemente.
Ilario Luisetto
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