A tu per tu con Mario Fucili, leader del gruppo romagnolo in uscita con il singolo “Gli anni degli anni“
Sono trascorsi diciassette anni e mezzo dalla fortunata partecipazione dei 78 bit a Sanremo 2002, dove si sono classificati quarti con “Fotografia”, canzone che chi ha vissuto a pieni polmoni quel periodo senz’altro può ricordare. Dopo essersi divisi per diverso tempo, a partire da un paio di anni il gruppo ha ritrovato forma grazie alla volontà e all’intuizione di Mario Fucili, uno dei quattro storici fondatori che ha ripreso in mano le redini del progetto proponendo già un paio di singoli, “Balla movida” del 2017 e “L’equatore in città” del 2018. Si intitola “Gli anni degli anni” il pezzo scelto per accompagnarci nel corso di questa estate, disponibile in digital download e su tutte le piattaforme streaming a partire dallo scorso 5 luglio, un brano impreziosito dalla curiosa e ben riuscita partecipazione di Totò Schillaci, uno dei protagonisti simbolo dei mondiali di calcio di Italia ’90. Scopriamone di più.
Ciao Mario, partiamo dal singolo “Gli anni degli anni”, cosa hai voluto fotografare?
«La mia infanzia e la mia adolescenza, momenti che porterò con me per sempre perché, per quanto mi riguarda, sono stati gli anni più belli e divertenti. Ho fotografato tutto quello che appartiene ai miei ricordi, dalla musica allo sport, essendo un grande appassionato di qualsiasi disciplina. Nella canzone ci sono tre ritornelli, in questo caso sono tutti differenti, perché avevo talmente tante cose da dire che avrei potuto far durare la canzone ancora più a lungo».
I riferimenti a quegli anni sono tantissimi, mi chiedo e ti chiedo: cosa ricorderemo tra vent’anni di oggi?
«Eh, bella domanda. Mi reputo un nostalgico dei tempi passati, probabilmente perché non trovo nell’attualità gli stessi interessi di allora. Tra vent’anni probabilmente ricorderemo meno cose di ieri, a livello sportivo ricorderemo sicuramente Francesco Totti o Alessandro Del Piero, per quanto riguarda le canzoni… non saprei dirti onestamente».
Come è arrivata l’idea di coinvolgere un idolo del calcio come Totò Schillaci?
«Tutto è nato in maniera abbastanza semplice, ho la fortuna di fare parte di una rappresentativa nazionale di attori e cantanti, il nostro capitano è Totò Schillaci. Avevo già nel cassetto un pezzo che parlava di quegli anni gloriosi, quando l’ho incontrato mi si è accesa la lampadina, ricordo che eravamo negli spogliatoi a farci la doccia dopo la partita e, d’istinto, mi è venuto di proporgli di cantare. Da lì è nato tutto, è stato un grande accettando di mettersi in gioco, lo ringrazio perché è una persona speciale, oltre che un idolo per me che mi riporta a quelle notti magiche di Italia ’90».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Samuele Sbrighi?
«La trama di questo video ruota attorno al vecchio bigliettino del “ti vuoi mettere con me”, lo abbiamo riproposto ai millennials. Protagonisti sono due giovani ragazzi di oggi che si conoscono attraverso un gioco, un gesto che non appartiene più a quest’epoca. La trovo una chiave di lettura molto interessante».
Raf se lo chiedeva per gli anni ’80, io ti domando: cosa è restato degli anni ’90?
«Non saprei dirti esattamente, ma sicuramente tanto. Quello che mi ha colpito di quel periodo era l’amore per le cose, l’aggregazione e l’attenzione che veniva data ai rapporti tra le persone, forse era un mondo migliore, meno social. Non denigro questi anni perché fondamentalmente ci siamo adeguati all’evoluzione tecnologica, ma tutto era vissuto in maniera più sentita, probabilmente più vera».
Rispetto a quel periodo musicalmente fantastico, quanto è cambiata la discografia?
«A livello di sonorità andava molto il britpop, meno elettronica rispetto agli anni ’80, più chitarre e batteria. Oggi come oggi questo tipo di sonorità stanno tornando, ma manca lo spirito che c’era ai tempi e che non potrà più esserci perché il mondo nel frattempo è cambiato. Sicuramente le dinamiche discografiche sono totalmente diverse».
Ti senti rappresentato dall’attuale mercato e da ciò che si ascolta principalmente oggi?
«Non mi sono mai posto questa domanda, perché fondamentalmente tendiamo a fare le cose che ci piacciono. Essendo romagnoli ce l’abbiamo innato questo modo solare di vivere e di scrivere, noi siamo piadina e sangiovese, siamo quelli della pacca sulla spalla, in particolare ai 78 bit piace vivere il mondo in questa maniera, con positività e solidarietà nei confronti degli altri, oltre che del prossimo.
A livello musicale, sono un grandissimo fan de Le Vibrazioni, ammiro la loro energia, per me Francesco Sarcina è un idolo, loro sono per me la band italiana per eccellenza che ha sempre mantenuto lo stile e lo spirito d’un tempo».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, nel 2002 avete partecipato al Festival di Sanremo classificandovi al quarto posto tra le Nuove Proposte con “Fotografia”, un brano che all’indomani della kermesse ha riscosso un buon successo. Cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
«Mi è rimasta un’adrenalina pazzesca, che probabilmente devo ancora sfogare, una sensazione indescrivibile che difficilmente trovi nella vita di tutti i giorni, emozioni che solo la musica riesce a darti. Sono passati tanti anni, eravamo dei ragazzi e ci siamo ritrovati catapultati in un mondo per noi nuovo, siamo arrivati sul palco dell’Ariston con la spensieratezza tipica di quattro ventiquattrenni, ci siamo classificati al quarto posto, successivamente “Fotografia” è stata una delle canzoni più trasmesse dalle radio italiane di quell’edizione e da lì vogliamo ripartire».
All’epoca non c’erano i social, ma sul web nascevano i primi forum per commentare e parlare di musica. Ricordo una sorta di processo, soprattutto nei confronti dei giovani, dove si cercava a tutti i costi di trovare una somiglianza per ogni partecipante: la Tatangelo era accusata di essere la nuova Pausini, Fiorellino il nuovo D’Alessio, voi i nuovi Lunapop. Se devo trovare una cosa negativa di quegli anni è proprio questa, la tendenza a demonizzare qualcosa di simile, mentre oggi se qualcosa somiglia ad altro viene addirittura valorizzato. Come avete vissuto quelle critiche?
«Le ricordo benissimo quelle voci, ma ci sta perché i Lunapop erano in apice, negli anni Cesare Cremonini ci ha dimostrato di essere un grandissimo artista, capace di una notevole evoluzione. Guarda, ti rivelo una piccola chicca: il direttore artistico di quel Festival era Pippo Baudo, una volta ci paragonò ai Pooh, perché eravamo un gruppo vocale e cantavamo tutti e quattro, puoi immaginare quanto ci ha inorgoglito un riferimento del genere. Gli accostamenti ci stanno, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, l’importante è mantenere sempre un certo rispetto. Una volta si seguiva un filone e si cercava di trovare una propria identità e personalità, oggi non è più così, è cambiata sicuramente la mentalità».
Dopo il Festival esce il vostro disco e alcuni singoli che ottengono un buon successo, come “Chiara si spara”, “Piangono i Dj”, “Bella”, poi quindici anni di silenzio. Cosa è successo esattamente?
«Ti racconto un altro aneddoto post Sanremo: qualche tempo dopo aver pubblicato il nostro album d’esordio facciamo una riunione con la nostra etichetta discografica, che all’epoca era la XXX, dove ci chiedono e ci propongono di realizzare un nuovo progetto, perché tutto sommato il precedente era andato bene. Ecco, ricordo ancora le loro facce quando gli abbiamo detto che avevamo maturato la decisione di sciogliersi, in maniera serena e tranquilla, perché ognuno di noi voleva dedicarsi ai propri progetti e non avevamo più le stesse idee. Una decisione matura e consapevole, che non credo nessuno di noi ha mai rimpianto, era probabilmente la cosa migliore da fare in quel momento, forse siamo stati gli unici ad avere questo tipo di coraggio in un momento fortunato, dopo l’uscita di un solo disco».
Cosa ti ha spinto a rimetterti in gioco dopo un lasso di tempo così lungo e in un mondo che, in generale, è profondamente cambiato?
«Le esperienze della vita in generale, che mi hanno totalmente segnato, la musica mi ha salvato in tante occasioni. Vengo da un matrimonio finito, una situazione dove ho sofferto molto, per cui mi sono completamente ributtato nella musica, lei mi ha aiutato a superare questi momenti, mi piacerebbe mandare questo messaggio a tutti quelli che si trovano in una situazione di difficoltà o di crisi, aggrapparsi a quello che più teniamo è la sola e unica ancora di salvezza. Sono tornato da solo, ho ripreso in mano il progetto perché, secondo me, i 78 bit non erano finiti e avevo ancora qualcosa da raccontare».
Quali sono i prossimi obiettivi professionali dei 78 bit?
«Sicuramente, a distanza di quasi diciotto anni dal precedente, mi piacerebbe realizzare un album, con Max Monti abbiamo ripreso piacevolmente la collaborazione, lui è stato il nostro primo produttore insieme a Mauro Pilato. Lavorare ad un disco è sicuramente il nostro obiettivo primario, la cosa che voglio di più al mondo e che mi sta molto a cuore».
Per concludere, dove e a chi desideri arrivare con la tua nuova musica?
«Attraverso la mia nuova musica vorrei riuscire a dare uno sguardo al passato, che ritengo vada sempre ricordato, ma senza tralasciare l’attenzione all’attualità e al presente, buttando un occhio verso il futuro».
Nico Donvito
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