Il racconto della quarta serata della kermesse dedicata alle cover
Cosa rappresentano le ultime due serate del Festival di Sanremo, se non un lungo duetto che ci consegna un altro pezzo di storia della canzone italiana? Ci stiamo preparando alla settantatreesima finale dell’edizione mentre abbiamo orecchie, occhi e cuore ancora pieni delle tante emozioni della serata appena trascorsa. Che scossone, quelle canzoni che fanno riaffiorare ricordi!
Di anno in anno, godiamo dei duetti “allargati”, che sono in grado di coniugare arte e spettacolo, di intrattenere e portare dritti alla meraviglia. Un posto dove l’artista può farsi accompagnare da un coro, oppure scegliere un’esibizione da solista e cantare se stesso. Il duetto può diventare un trio, inserendo professionisti della musica suonata, e decidere, magari istintivamente, di coinvolgere la platea intera come in un happening. Ci restano in mente i duetti sanremesi, per la possibilità creativa che porta a ripensare i brani scelti nella serata non in chiave di nostalgico revival, ma come opere contemporanee, per fare spazio a un pubblico giovane, che nel conoscere il passato, sa reinventarlo e tramandarlo ulteriormente.
Questo, in fondo, è il senso di chi vuole fare dell’arte la propria missione: superare i confini del tempo, ma essere riconosciuto anche nel presente. In questo senso, assume un grande significato il premio alla carriera di Peppino di Capri e si inserisce, totalmente, nella drammaturgia equilibrata di una serata, che fa duettare il rispetto di ciò che è stato con l’attenzione sulla realtà attuale.
Mentre il mondo e i ruoli sociali cambiano, lasciando irrisolti sensi di colpa secolari, come evidenzia il monologo di Chiara Francini sugli stereotipi che, a tutt’oggi, ingabbiano la donna (“quando qualcuna ti dice che è incinta e tu non lo sei mai stata c’è come qualcosa che ti esplode dentro. Una specie di buco che ti si apre, in mezzo agli organi vitali, una specie di paura, stordimento, e, mentre accade tutto questo, tu devi festeggiare, perché la gente incinta è violenta e vuole solo essere festeggiata. E non c’è spazio per il tuo dolore, per la tua solitudine. Tu devi festeggiare”) ci deve essere uno spazio per la memoria collettiva, che Amadeus concretizza nel ricordo delle vittime delle foibe, “una vicenda a lungo dimenticata che appartiene all’epoca oscura delle dittature e ci fa riflettere sul valore della memoria e soprattutto della verità”. Un mix perfetto prima del gran finale in cui tutto è, ancora, aperto e possibile, perché a decidere il podio sarà il televoto del pubblico sovrano.
Francesco Penta
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