Le canzoni alternative all’estate e anti-tormentone
Esiste un panorama anti-tormentone che ancora salva la musica italiana dall’indigestione estiva? Certamente sì, finché esistono (e resistono) perle di canzoni a raccontarci gli intrecci di un cuore innamorato, senza sconti per nessuno, ma soprattutto senza essere scontate nel testo.. Sono canzoni da “maneggiare con cura”, fragili solo in apparenza, così forti da saper raschiare nel fondo dell’anima, oltre la facciata del sentimento. Una sfida, tanto più complessa quando si parla d’amore, ampiamente superata da quattro moschettieri che ci hanno conquistato con i loro album.
Stiamo parlando di Marco Mengoni con “Materia (Prisma)”; Diodato con “Così speciale”; Mobrici e il suo “Gli anni di Cristo” e Leo Pari con “Amundsen”. Di questi lavori, scegliamo quattro tracce che affrontano con consapevolezza il tema d’amore, mediante un taglio narrativo e un abito interiore, per certi versi, sovrapponibile.
Di fronte ai “sarebbe meglio, sì, sarebbe giusto”, Marco risponde “scusa, ma non ci riesco”, lasciando parlare prima il suo Io-bambino, “la schiena mi pesa troppo”, poi l’Io-adulto, che replica subito, “so che sarebbe giusto Perdonami, non sono questo” (Appunto 5: Non sono questo). Si tratta di un passaggio fondamentale a livello semantico, perché Marco contatta la parte più intima e profonda che lo allontana dalle idealizzazioni adolescenziali e lo induce a riflettere da grande, “ho ancora tanti errori da commettere Ti prego lasciameli fare E tu invece apri il cuore a tempo record, apri il cuore E dici che adesso insegni a tutti come fare”.
L’altra persona della coppia viene collocata in posizione asimmetrica rispetto al narrante, ugualmente al testo di Diodato, che, già dalla strofa iniziale, “io non avevo visto mai Niente di così vero Vivo in un mondo in cui le cose si presentano Per quello che non sono”, cerca motivazioni al cambiamento inatteso, “forse per questo alla tua mano non ho chiesto dove andiamo Desideravo mi portasse via da lì”, accettando l’approdo “in un posto lontano Che già non c’era più”; qui non serve “più niente Soltanto tu Per sempre Tu” (Ormai non c’eri che tu). Quel “tu” è la conquista più grande, spesso nemmeno sognata, troppe volte sentita come inarrivabile.
Quanto è importante ammettere che la presenza di chi amiamo ci cambia la vita? In quante occasioni fatichiamo a dirlo, perfino a noi stessi? Quante volte ce ne accorgiamo troppo tardi, addirittura a storia finita? Mobrici affronta proprio questa discrepanza fra la distanza fisica e quella emotiva, che innesca pensieri, frullando dubbi e domande: “amore mio dove sei? Quante ne hai passate senza di me? E quante volte al giorno hai pensato di piangere? Amore mio cosa fai? Anche se tu pensi che non ci sono mai Io ti sto sempre accanto anche senza amore” (Amore mio dove sei, con Vasco Brondi). Se riconoscersi nel sentimento d’amore non è cosa semplice, anche smettere di amare non è azione che si compie a comando.
Leo Pari canta “io non ci ho mai capito niente dell’amore e della gente” e ha sicuramente ragione, ma mette le mani avanti, volendoci dire che “ho imparato dai miei sbagli a rifarli sempre”. Si chiama paura di lasciarsi andare, visto che “questa vita è un posacenere da svuotare”, ma pronta, anche, a trasformarsi attraverso gli incontri che faremo. “Le nostre sono strane strade Che si sono incontrate E se stavolta fosse quella buona Proprio adesso che non respiravo più Gira la testa e gira, gira ancora La ruota, neanche ci speravo più”. A noi spetta fare il salto: “e se stavolta non tornassi indietro E non mi spaventassi a dirti che sei tu Gira la testa e gira, gira ancora Il vento, fino a ieri scivolavo giù Poi sei arrivata tu” (Poi sei arrivata tu). Quel “tu” da accogliere, accettare e ascoltare, perché questo è il potere trasformativo di un amore corrisposto: fa cambiare pelle, fa cambiare cuore…. e probabilmente ci legherà a questi fuoriclasse della canzone d’amore.
Francesco Penta
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