L’incontro con uno degli otto protagonisti dei giovani di Sanremo 2018, in gara con “Stiamo tutti bene”
E’ entrato ufficialmente in rotazione radiofonica dal 5 gennaio, il brano che porterà Mirkoeilcane sul palco del Festival, in scena al Teatro Ariston dal 6 al 10 febbraio. Dopo aver pubblicato la nostra dettagliata recensione, abbiamo incontrato l’artista per parlare della sua canzone, che suggerisce spunti di riflessione senza inculcare alcuna dottrina, raccontando con estrema delicatezza una triste e attualissima pagina di storia, l’esodo dei migranti che sempre più spesso sfocia in un drammatico finale, il tutto attraverso gli occhi e l’inconsapevolezza di un bambino.
Ciao Mirko, cominciamo proprio da “Stiamo tutti bene”, com’è nata e cosa rappresenta per te questa canzone?
«E’ nata dall’attenzione che da un certo periodo in poi ho cominciato a nutrire nei confronti di questo tema, in particolare dopo aver chiacchierato con un ragazzo che, parlando del più e del meno, mi ha raccontato con il sorriso la sua storia e come ha raggiunto il nostro Paese. Senza scendere troppo nei dettagli, per rispetto delle confidenze che mi ha fatto, posso dirti che i contenuti erano molto forti e violenti, per questa ragione mi ha colpito questo tipo di narrazione. Da lì è partito tutto e ho cominciato a scrivere questa storia, rivisitata e romanzata per renderla il più possibile comprensibile a tutti».
Anche se l’intento di un cantautore non è mai quello di smuovere coscienze, bensì di raccontare una storia, senti un po’ il peso e la responsabilità di un testo così importante?
«La responsabilità era inevitabile, nel momento in cui ho finito di scriverla mi sono subito reso conto di avere tra le mani una canzone che pesa come un macigno, ho riflettuto sul fatto che fosse troppo importante e prematura, soprattutto per un cantautore al suo secondo disco e ho pensato di essermi un po’ ‘allargato’, come si dice da noi a Roma. Poi ho considerato l’intenzione che mi ha spinto a scriverla, senza alcuna retorica o voglia di insegnare niente a nessuno, ho voluto semplicemente raccontare la storia di un viaggio attraverso gli occhi di un bambino, così mi sono detto: perché non provarci?».
La reputi anche tu una scelta un po’ coraggiosa portare al Festival un brano da una parte di grande impatto, ma dall’altra poco orecchiabile e cantabile?
«Assolutamente si, credo che ‘coraggio’ sia la parola giusta, sia per il tema che per la forma. Da cantautore sognavo di arrivare un giorno a Sanremo, ma di farlo a modo mio, senza dover strizzare l’occhio ad un genere in particolare, presentando qualcosa che fosse un po’ il biglietto da visita del mio mondo musicale. Non ho pensato a costruire una canzone giusta per l’Ariston, credo che sia quel palco a doversi adattare ogni volta ad un artista diverso».
E’ difficile toccare certe tematiche senza sfociare nella retorica o, peggio ancora, nel pregiudizio comune che un artista possa in qualche modo “marciarci” su un determinato argomento?
«E’ molto complicato, ma io mi sono imposto di non trascendere mai nella banalità, non solo in questa canzone. Penso che la retorica stia sempre dietro l’angolo, soprattutto in un argomento stra-usato come questo, personalmente ho cercato di evitare questo rischio calandomi nei panni di un bambino, perché penso che l’innocenza generi più facilità nell’ascolto. Da parte mia non c’è stata l’intenzione di fare il furbo, chi ascolta attentamente la canzone e conosce il resto del mio repertorio può rendersene tranquillamente conto, ma comprendo che per altri potrebbe prevalere il pregiudizio, io ho scelto di correre questo rischio perché credo nel valore e nel messaggio del brano. Quello che temo di più, soprattutto in questo periodo storico, è quando si cercherà di dare a questa canzone un significato politico che, dal punto di vista di chi l’ha scritta, ti assicuro non c’è mai stata la benchè minima intenzione di dare».
Un pezzo che ha colpito un regista Premio Oscar del calibro di Gabriele Salvatores, presente nella giuria di “Sarà Sanremo”. In passato hai composto diverse colonne sonore, secondo te, questo ha dato un valore aggiunto al brano?
«Credo ci sia una grossa differenza di base: la colonna sonora ha sempre delle immagini di riferimento, mentre la canzone ha il compito di crearle. Forse, in parte, mi ha aiutato approfondire per tanto tempo lo studio e quel modo di fare musica. Le parole di un maestro come Salvatores non possono che avermi fatto piacere e, non ti nascondo, anche un certo effetto, essendo da sempre un suo ammiratore. Ricevere un così grande complimento , è una cosa che auguro davvero a tutti».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come è nata la tua passione per la musica?
«Come nella migliore delle tradizioni per gioco, ho cominciato a strimpellare la chitarra sin da bambino e piano piano mi sono messo a scrivere. Dal diario sono passato alle poesie e poi, con il tempo, mi è venuto naturale mettere le parole in musica».
Perché proprio la chitarra e non un altro strumento?
«Bella domanda, forse perché a casa mia c’era quella… in me covava prepotentemente l’esigenza di fare musica, se ci fosse stato un pianoforte probabilmente avrei iniziato con quello, chissà. Oggi suono anche altri strumenti, ma il mio primo amore è assolutamente la chitarra».
Quali ascolti musicali hanno ispirato e accompagnato la tua crescita?
«Tutto è cominciato da quel disco con quei quattro tipicacci che attraversano la strada (“Abbey road” dei Beatles, ndr), da quel momento in poi tutto è venuto in maniera naturale. In seguito, ho fatto sicuramente incetta di tutto quello che è il cantautorato italiano, da Lucio Dalla a Ivano Fossati, da Francesco De Gregori a Stefano Rosso, fino ai più recenti Samuele Bersani e Daniele Silvestri, ascolti che mi hanno accompagnato e che non ho mai abbandonato».
Hai vinto l’ultima edizione di Musicultura con “Per fortuna”, un’esperienza che ti aiuta ad affrontare meglio Sanremo o la reputi totalmente diversa?
«Mi aiuta perché mi ha permesso di mettermi alla prova davanti a tante persone, sicuramente non con lo stesso numero e gli stessi ascolti di Sanremo. Musicultura è stata una buona palestra e il ricordo più bello che porto con me fino a questo momento, è una rassegna che per un cantautore significa molto e la vittoria non può che avermi onorato».
Il tuo nome d’arte è volutamente avvolto dal mistero, se dovessi vincere Sanremo saresti disposto a svelare questo enigma?
“Chissà, forse in preda ad una qualche follia emotiva, per il momento ti dico di… no! Poi si vedrà».
Da cantautore, cosa pensi del fatto che ben 24 canzoni su 28 in gara portano la firma dell’artista che le interpreterà sul palco dell’Ariston?
«Ah, finalmente! E’ davvero meraviglioso, un bel segnale per la musica. Ho sempre sostenuto che nessun altro possa cantare una canzone meglio del proprio autore, salvo rarissime eccezioni di voci ed interpreti incredibili che si contano sulle dita di una mano, forse due».
Personalmente, invece, cosa ti aspetti da questo Sanremo 2018?
«Vuoi la verità? Non mi aspetto nulla. Le aspettative generano sempre delusioni, diciamo che il mio sogno è quello di raggiungere più persone possibili con la mia musica, mi piace pensare che qualcuno possa affezionarsi non solo a questa canzone, ma che inizi a scoprire anche le altre che ho realizzato e quelle che tirerò fuori a breve».
A tal proposito, cosa puoi anticiparci del tuo prossimo album?
«Uscirà in concomitanza del Festival, è un disco che ha i contenuti del classico cantautore italiano, che mescola messaggi importanti all’ironia, mi piace parlare di cose serie senza prendermi troppo sul serio, il tutto sempre con la massima delicatezza. Sono onorato per la presenza di un professionista come Steve Lyon, che si è occupato dei suoni e degli arrangiamenti, oltre che del maestro Fio Zanotti».
All’inizio del Festival mancano 21 giorni, 8 ore, 30 minuti o circa 1.800.000 secondi. Hai ansia?
«Si, me l’hai fatta venire tu in questo momento! A parte gli scherzi, non ho ansia, sono solo molto impaziente e non vedo l’ora che questa avventura abbia inizio!».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Mi piacerebbe porre l’attenzione sull’eccessiva superficialità di questo momento storico, ci stiamo occupando di cose futili a sfavore di ciò che è davvero importante. Mi riferisco al rapporto con le persone e al nostro comportamento, ci preoccupiamo più di avere uno smartphone di ultima generazione che di rispettare gli altri. In tutte le mie canzoni, il mio più grande obiettivo è sempre quello di suggerire spunti di riflessione».
Nico Donvito
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