sabato 23 Novembre 2024

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Memo Remigi: “Io e Lino Banfi, una canzone per Sanremo 2025” – INTERVISTA

A tu per tu con Memo Remigi, per ripercorrere insieme la storia dei suoi Festival e parlare della proposta fatta, in coppia con Lino Banfi, per Sanremo 2025

Capita che un giorno prendi in mano il telefono e ti accorgi di aver ricevuto un messaggio da un artista, un signore che di musica ne maneggia da più di sessant’anni, un vero Maestro. Si tratta di Memo Remigi, che mi informa di aver letto il listone in continuo aggiornamento di Recensiamo Musica e di aver presentato, in coppia con Lino Banfi, una canzone per Sanremo 2025. Mi rivela che gli piacerebbe rientrare nel toto-nomi al 5%, ma gli faccio presente che le percentuali vanno per multipli di dieci. Lui se la ride, ma capisco subito che non sta scherzando. Gli propongo questa intervista e accetta. È proprio vero che gli incontri più belli nascono e crescono sempre con grande semplicità.

Bentrovato Memo. Partirei dall’incontro con Lino Banfi, immagino vi conosciate da tempo…

«L’incontro con Lino risale alla notte dei tempi, ma negli ultimi anni ci siamo avvicinati parecchio. Mio figlio Stefano ha lavorato con lui per la sua linea di prodotti agroalimentari. Lino è anche un grande appassionato di musica, quindi abbiamo sempre avuto un buon rapporto, uniti da questa nostra passione comune. Nel 2021, quando è venuta a mancare mia moglie Lucia, lui mi è stato molto vicino, così come due anni dopo mi è capitato di fare nei suoi riguardi, quando è mancata sua moglie che, guarda caso, si chiamava anche lei Lucia. Di cose in comune ce ne sarebbero tante, ma aggiungerei anche un’ironia e un’attitudine alla vita piuttosto simili».

E da questo incontro è nata una canzone, giusto?

«Si intitola “Il grande viaggio” e parla proprio di questo percorso comune. Entrambi abbiamo tanti anni di carriera e nella vita abbiamo affrontato tanti momenti felici, al netto di qualche dolore, come capita a tutti. Specie con l’avanzare dell’età, si entra in contatto con tante situazioni spiacevoli. Noi però non ci vogliamo arrendere, io stesso non mi sono mai voluto rassegnare all’idea che la vita finisca dopo gli ottant’anni. Milly Carlucci, quando mi invitò a partecipare a “Ballando con le Stelle”, mi disse: “Memo tu devi rappresentare quelle persone della tua età che non si devono adagiare sugli allori e finire per vivere sul divano senza dedicare del tempo a loro stessi”. Il ballo, così come la musica o qualsiasi altra passione, possono essere delle valvole di sfogo per continuare a sentirsi giovani. Perché, per molti di noi, lo spirito è un po’ quello, il corpo invecchia, ma la mente no. Questa canzone racconta un po’ questo. Naturalmente mi rendo conto benissimo che le possibilità di partecipare al Festival di oggi sono poche, se parliamo in termini discografici, ma è anche vero che certe proposte hanno un valore che va oltre. A parte il fatto che la ritengo una bella canzone, credo che ci sia bisogno sia di personaggi che di messaggi importanti».

“Il grande viaggio” uscirà a prescindere da un passaggio a Sanremo?

«Non credo, che senso avrebbe? Nel mondo di oggi, sarebbe come gettare un sasso in un fiume. E poi non ci sono più varietà musicali in televisione, l’ultima vetrina rimasta è proprio quella del Festival. Diciamo pure che , senza questo tipo di passaggio, avrebbe poco senso».

E se il direttore artistico Carlo Conti vi proponesse un’ospitata? 

«Certo, ci farebbe piacere. Il palco dell’Ariston è una vetrina, la più importante, l’ultima rimasta. Al di là della gara, se non ci fosse spazio per questo genere di proposta, ci piacerebbe poter comunque presentare un pezzo per noi importante davanti a una platea così vasta, composta dalle famiglie, quindi, sia dai giovani che dagli adulti. Ritengo sia giusto cercare di accontentare i gusti di tutti».

Memo Remigi Lino Banfi

Tra l’altro l’anno prossimo festeggi i sessant’anni dall’uscita di “Innamorati a Milano”, una delle tue canzoni più celebri. Un anniversario importante…

«Proprio così, anche se a Sanremo debuttai come autore l’anno dopo, nel 1966, scrivendo due pezzi con il grande Alberto Testa, vale a dire “Io ti darò di più” e “La notte dell’addio”, due tra le canzoni più importanti del mio repertorio».

Entrambe con due storie molto particolari alle spalle, ti va di raccontarcele?

«Certo che sì. “La notte dell’addio” avrebbe dovuto cantarla Mina, ma lei decise che con Sanremo aveva chiuso dopo i due passaggi del 1960 e del 1961. Così la sua casa discografica dell’epoca, la Ri-Fi, optò per Iva Zanicchi, che faceva parte dello stesso roster. All’epoca c’era un’accesa rivalità tra la Tigre di Cremona e l’Aquila di Ligonchio. Si tratta di una canzone importante, che parla della perdita del partner con cui hai condiviso la tua vita, una canzone che poi ho vissuto in profondità molti e molti anni dopo con la perdita di Lucia. Sono certo che Mina l’avrebbe interpretata al massimo, così come era perfetta come interprete Ornella Vanoni per “Io ti darò di più”, perché ci voleva sensualità per interpretare, soprattutto all’epoca, un testo del genere. A quei tempi c’erano gli abbinamenti, quindi a Sanremo con lei ci sarei dovuto andare io, al debutto dopo il successo di “Innamorati a Milano”. Il patron Gianni Ravera mi disse però che il brano era piaciuto tanto ad Orietta Berti e che il mio esordio al Festival era solo rimandato di un anno».

E così accadde: nel 1967 partecipasti in coppia con Sergio Endrigo con “Dove credi di andare”. Che ricordo hai di quell’esordio?

«Sì, tra l’altro con una bella canzone di Sergio, che stimavo molto. Tra noi non c’era competizione, anzi, per me era prestigioso esordire in abbinamento con Endrigo, che aveva già avuto successo con “Io che amo solo te”. Di fatto, però, con “Dove credi di andare” non andammo da nessuna parte (ride, ndr), anche se comunque ci classificammo al settimo posto. Quella fu comunque un’annata molto particolare a causa del suicidio di Luigi Tenco, ricordo che eravamo a cena quando arrivò quella terribile notizia. Per un momento si pensò di interrompere il Festival, ma poi prevalse la legge non scritta del “the show must go on”».

Non arrivò in finale, invece, la canzone con cui partecipasti al tuo secondo Sanremo, nel 1969, e che si intitola “Una famiglia”, proposta in coppia con Isabella Iannetti…

«Su questa canzone posso dirti che sono contento di aver recentemente riproposto questo pezzo in tv, considerato che mi chiedono di cantare sempre le stesse due o tre canzoni. Questo brano parla del valore della famiglia attraverso la voce di un figlio che si rivolge al padre, riferendogli cose che non avrebbe mai voluto dirgli. Ringrazio Pierluigi Diaco per lo spazio che mi offre ogni mercoledì a “BellaMa’“. Sono felice di essere tornato sul piccolo schermo dopo tutto quello che era successo tempo fa, ma sono ancora più felice di farlo in questo spazio, che condivido con la bravissima Rita Forte, in cui rispolveriamo le più belle canzoni degli anni ’60 e ’70». Memo Remigi Lino Banfi Sanremo 2025

L’ultimo tuo Festival in gara è stato nel 1973 con “Il mondo è qui”, cosa ricordi di quest’altra partecipazione?

«Anzitutto che mi presentai da solo, perché nel frattempo era finita l’epoca degli abbinamenti con gli artisti internazionali. Fino a quel momento se ne era occupato l’impresario Pier Quinto Cariaggi, marito di Lara Saint Paul, che girava il mondo per ingaggiare artisti da abbinare ai cantanti italiani al Festival. Negli anni precedenti aveva portato star del calibro di Louis Armstrong, Dionne Warwick, Paul Anka, Gene Pitney, Connie Francis, Dalida, Cher, Stevie Wonder e molti altri. Dal 1972 si tornò all’esecuzione singola, e in quello stesso anno partecipai come autore di Alice, che all’epoca si faceva chiamare con il suo vero nome, Carla Bissi, scrivendo per lei “Il mio cuore se ne va”. Di fatto, quello del 1973 fu il mio ultimo passaggio in gara a Sanremo. Poi mi sono occupato anche di altro. Ho infatti sempre cercato di propormi più come uno showman, come un artista completo, per non finire come tanti cantanti dell’epoca che magari avevano venduto 800.000 copie con un disco, e poi non sono riusciti a bissare quel successo. Io ho voluto seguire un’altra strada, complice la mia parlantina e il saper suonare uno strumento, il pianoforte, che considero ormai quasi un’estensione di me, una protesi del mio corpo. Ho fatto tanta tv, tanta radio e mi sono concentrato sull’attività live in un momento in cui era considerata meno redditizia, mentre oggi la situazione si è completamente capovolta e sono i concerti che portano avanti la baracca».

A Sanremo non ci sarai tornato fisicamente, ma ci è tornata la tua musica. Come non citare quel meraviglioso passaggio del 2011 con Franco Battiato che dirigeva l’orchestra e Luca Madonia che cantava “La notte dell’addio”?

«Ah, fu un momento straordinario. A volte la vita ti fa regali che non ti saresti mai aspettato. Devo ammettere che “La notte dell’addio” mi ha sempre fruttato dei buoni diritti d’autore, perché sia le orchestrine che i pianisti dei night la avevano inserita nei loro rispettivi repertori, ma certe soddisfazioni vanno oltre il mero lato economico. La più grande è certamente quella che hai citato: mi trovavo in Africa per vacanza, quando mi squillò il telefono e mi ritrovai per la prima volta a parlare con Franco Battiato, che ho sempre ammirato e stimato. All’inizio gli buttai giù la chiamata, perché pensavo fosse uno scherzo. Mi richiamò e mi chiese praticamente il permesso di poter riproporre quel mio pezzo a Sanremo 2011, nella serata dedicata alle cover, insieme a Luca Madonia. Il tema di quell’anno era legato ai festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell’unità d’Italia. E così, “La notte dell’addio” fu proposta insieme a capolavori come “O sole mio”, “Va, pensiero”, “O surdato ‘nnammurato” e “Parlami d’amore Mariù”. Ritrovare una mia canzone in mezzo a questi brani senza tempo fu davvero un’emozione indescrivibile».

Per concludere, che appello ti senti di rivolgere a Carlo Conti rispetto alla tua candidatura in coppia con Lino Banfi?

«Quello che mi piacerebbe passasse è che trovo sia giusto dare spazio ai giovani, ma ci dovrebbe essere anche chi rappresenta i gusti di altre generazioni. La canzone che abbiamo proposto è la storia del nostro lungo viaggio, mio e di Lino. Avendo tutti e due una certa età e rendendoci conto di aver fatto un sacco di cose, ci sembrava bello raccontare questo percorso che fortunatamente continua, perché siamo entrambi in attività e pieni di vita. Ci siamo sentiti e ci sentiamo ancora dei Superman, proprio come dice il ritornello della canzone. Un messaggio che potrebbe rivalersi un incentivo per coloro i quali pensano che a una certa età la vita possa essere finita. E invece no, può ricominciare nonostante le difficoltà, anche quando meno te lo aspetti. Qualche anno fa c’era una simpatica canzone di Mimmo Modugno che diceva “Il vecchietto dove lo metto…”. Ecco, io e Lino non siamo ancora in quella condizione, non abbiamo mica la badante, anzi… diciamo che siamo ancora badanti di noi stessi!». Memo Remigi Lino Banfi Sanremo 2025

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.