domenica 12 Gennaio 2025

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“Sanremo Story”, il Festival tra contestatori e disturbatori

Sanremo Story: la rubrica che ripercorre le tappe fondamentali del Festival della canzone italiana, attraverso aneddoti e approfondimenti. A cura di Nico Donvito

Per molti il Festival di Sanremo è quell’evento televisivo che catalizza davanti allo schermo per una settimana all’anno, uno spettacolo colorato, uno psicodramma tragicomico collettivo, un carrozzone fiorito stracolmo di cantanti, presentatori e vallette. Negli anni, ne abbiamo lette e sentite parecchie di definizioni, tutte profondamente vere, ma nessuna realmente corretta. Sanremo disturbatori

Per dare una risposta allo slogan “Perché Sanremo è Sanremo”, è necessario riscoprire la storia di questo grande contenitore che nel tempo si è evoluto, ma senza perdere il proprio spirito. La verità è che il Festival è un vero e proprio fenomeno di costume, la favola musicale più bella di sempre, lo specchio canterino del nostro Paese. Con la sua liturgia, la kermesse non è mai riuscita a mettere d’accordo ammiratori e detrattori, forse in questo alberga la vera fonte del suo duraturo consenso. La rubrica “Sanremo Story” si pone l’obiettivo di raccontare tutto questo e molto altro ancora.

“Sanremo Story”, il Festival tra contestatori e disturbatori

Sanremo, oltre che specchio dell’Italia, ne ha sempre rappresentato una sorta di cassa di risonanza. Dal comune ligure è passata qualsiasi tipo di contestazione, a partire dal lontano 1958, quando il cast dei cantanti minacciò uno sciopero generale per lo scarso compenso forfettario, uguale per tutti, deciso dagli organizzatori: 70.000 lire come rimborso spese per il viaggio e per il soggiorno.

Nel 1961 a protestare fu la SIAE, che non condivideva il modo in cui era stata gestita la classifica dei vincitori negli anni precedenti. Per mettere una toppa e ricucire lo strappo, il patron Renzo Radaelli decise di indire il VotoFestival, una sorta di campagna elettorale in abbinamento alle schedine dell’Enalotto.

Nel 1969 arrivò la prima contestazione esterna, sulla scia di quanto era già accaduto nei mesi antecedenti alla Bussola di Viareggio e alla Scala di Milano. Numerosi studenti piantonarono il Casinò proclamando lo sciopero della fame e creando una serie di disguidi. Per garantire la sicurezza pubblica, e per impedire l’assalto al Salone delle Feste, furono mobilitati circa tremila poliziotti. Con l’obiettivo di placare gli animi, la Rai decise di registrare in via cautelativa la serata finale, dichiarando pubblicamente che, in caso di invasioni e disturbi, avrebbe mandato comunque in onda quanto registrato nel pomeriggio. Tale annuncio scoraggiò i manifestanti e tutto si svolse regolarmente.

A minacciare la quiete pubblica nel 1971 furono i maoisti, giovani di sinistra intenti a protestare per impedire lo sfratto di una famiglia di immigrati ad Arma di Taggia. Come artiglieria, i manifestanti utilizzarono uova marce, insalata, carciofi, pomodori e generi alimentari di uso comune, che non mancarono di lanciare sull’impellicciato pubblico pagante diretto verso l’ingresso.

Negli anni il fenomeno andò lentamente a scemare e le proteste diventarono perlopiù personali, favorendo una nutrita generazione di mitomani. «In futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti»: con questa celebre massima Andy Warhol profetizzò quello che sarebbe accaduto di li a poco anche in Riviera.

Diciamolo chiaramente, Sanremo è l’occasione ideale per farsi notare e per sentirsi, in qualche modo, protagonisti. Il primo caso della storia fu quello del poeta Serafino Dabbene, soprannominato Il vendicatore di Vercelli, misterioso personaggio che nel lontano 1956 gettò volantini in sala nel corso della seconda serata della kermesse, inveendo contro l’organizzazione che non aveva ammesso un suo pezzo dedicato ai gatti e ai conigli. Immediata la reazione delle forze dell’ordine, che lo condussero prontamente in carcere. Il vendicatore fu liberato alla vigilia della finale ed ebbe il coraggio di ripresentarsi davanti al Casinò pretendendo di essere ricevuto dagli organizzatori, poiché in cella aveva composto un bellissimo brano dedicato, questa volta, alla pizza.

Un suo degno erede, naturalmente, fu Mario Appignani, meglio noto come Cavallo Pazzo. Celebre la sua incursione sul palco dell’Ariston all’inizio della prima puntata della quarantaduesima edizione della rassegna. «Questo Festival è truccato, lo vince Fausto Leali» gridò, prima di essere portato via sottobraccio da alcuni assistenti di Baudo. La storia dimostrò che la sua provocazione portò più fortuna a Barbarossa che al povero Leali.

Super Pippo fu protagonista, tre anni dopo, anche dello sventato suicidio andato in scena durante una delle serate di Sanremo 1995, quando un certo Pino Pagano fece irruzione sulla balconata del teatro, incurante dei controlli e senza biglietto, pronto a lanciarsi di sotto. Nel corso del tempo ci furono molte discussioni riguardo la spontaneità o meno di quel gesto.

Nel 1997 l’impavido di turno fu Gabriele Paolini, altro “autorevole” rappresentante della categoria dei disturbatori. Il noto personaggio si presentò in sala stampa e consegnò profilattici ai conduttori Mike Bongiorno, Valeria Marini e Piero Chiambretti, per poi scendere in passerella e sfilare in compagnia di un’attrice hard completamente nuda.

Nel 2003 il cinquantenne disoccupato Salvatore Amore salì su un’impalcatura in Piazza Colombo, minacciando di lanciarsi nel vuoto nel caso in cui non gli fosse stata concessa la possibilità di incontrare Baudo, considerato dai mitomani alla stregua dell’Oracolo di Delfi. Dopo quattro ore di trattative con la polizia, si stancò e scese giù spontaneamente. Ci riprovò due anni più tardi. Sempre nel 2005, un altro tizio tentò un’invasione di palco durante l’esibizione di Gigi D’Alessio, con l’obiettivo di mostrare alle telecamere uno striscione con l’indirizzo del suo sito internet. Venne bloccato dalla security.

Insomma, Sanremo è Sanremo anche grazie a tutto questo carrozzone che si porta dietro: dai sosia che non somigliano realmente a nessuno alla moltitudine di personaggi in cerca di visibilità. Il Festival non sarebbe lo stesso senza il suo folcloristico contorno che, nel bene e nel male, concorre a determinarne la robusta ossatura. Allo stesso modo, la kermesse non potrebbe sopravvivere senza le polemiche, il gossip e il tipico chiacchiericcio della vigilia. D’altronde, come potremmo non concordare tutti nel definire la rassegna canora una fedele rappresentazione in note e paillettes di un’Italia che cambia e che, per certi aspetti, non vuole realmente mai cambiare?