Maurizio Scandurra promuove a pieni voti il ritorno sulle scene dello storico gruppo ligure
Sono tornati in una nuovissima veste dopo qualche anno di silenzio i Matia Bazar. Sono tornati con una nuova formazione, fortemente influenzata dal dolce sesso che occupa (per la prima volta in 43 anni di storia) la netta maggioranza dei componenti, e con un nuovo singolo che prelude quella che sarà la nuova musica dell’eterno gruppo ligure.
Dopo la presentazione alla stampa della nuova identità del gruppo in molti hanno etichettato quelli che sono i “Matia Bazar 6.0” una formazione capace di essere poco più che una cover band di quello che fu lo storico gruppo guidato dalle soavi voci di Antonella Ruggiero, prima, e Laura Valente, Silvia Mezzanotte e Roberta Faccani e nuovamente Silvia Mezzanotte, poi.
A difendere i 5 musicisti è intervenuto Maurizio Scandurra, storico press agent e autorevole giornalista che con gli ex-Matia ha avuto modo spesso di lavorare: “Certo, colpisce il fatto che la formazione del 2018 sia composta da cinque elementi: stupisce in positivo, perché la band dell’era ‘Brivido Caldo’ e ‘Messaggio D’amore’, un quartetto così come tradizione voleva dal lontano 1993 (anno dell’abbandono del chitarrista e cantante, mai sostituito, Carlo Marrale), di fatto non esiste – e non poteva esistere – più, per via di lutti improvvisi (la salita al Cielo del ‘Capitano’, leader e batterista-fondatore Giancarlo Golzi) e altrettanti addii (le dipartite a ruota di Silvia Mezzanotte, e Piero Cassano poi). E, allora, ottima, giusta, logica e intelligente la scelta dell’ultimo superstite dei Matia Bazar anni 2000 rimasto, il bravo e coraggioso Fabio Perversi, di ricominciare da zero. Per dirla con Eros Ramazzotti, ‘In ogni senso’. Riportando, dunque, il pregiato e raffinato marchio ligure del pop italiano ad avere cinque componenti: basso, batteria, chitarra, voce e tastiere, proprio come alle origini, nel 1975. Altrimenti, che gruppo sarebbe?”.
Riguardo al repertorio di un tempo come quello del futuro, il critico musicale chiarisce: “I nuovi Matia Bazar, con i primi degli anni ’70-’80 e quelli degli anni ’90-2000-2010 propriamente detti, hanno in comune soltanto il nome e il repertorio: questo è un bene, perché ora, finalmente, la band di ‘Verso il punto più alto’ (questo il primo singolo della Nuova Era) può guardare a un sano e auspicato rinnovamento, libera dai compromessi e le difficoltà che qualsivoglia convivenza – umana e artistica – con ciascuno dei membri originari (o storici perché già transitati comunque nella line-up) comporterebbe”.
Duro, infine, l’attacco contro chi ha definito questa compagine poco degna di portare lo storico marchio artistico e identitario dei Matia Bazar: “Se un signor imprenditore svizzero stimato in tutto il mondo, come l’ottimo Cosimo Vindice ora discografico della band genovese, che – con l’etichetta ‘Farn Music’- ha lanciato con successo artisti in tutta Europa, ha deciso di scommettere sui Matia 3.0, un motivo valido ci sarà? Gli elvetici ci danno lezioni in tutto: imprenditoriali, economiche, ma anche di garbo, educazione e buongusto”, afferma Scandurra, che riprende severo: “Ai ‘colleghi’ giornalisti – molti dei quali non possiedono neanche il titolo professionale e l’iscrizione all’Albo – che hanno ignobilmente scritto che i Matia Bazar sono ‘la cover band di sé stessi’, ricordo che mai definizione fu più sbagliata e maliziosa: anche nel calcio, sotto il nome magnificente di squadre storiche, le formazioni cambiano sempre. E, più mutano, più si evolvono, più si fa spettacolo, si alimenta la storia. Lo stesso vale nella musica. Se lo mettano bene in testa questi ‘soloni’ della penna e del web, spesso mascherati sotto le mentite spoglie di improbabili ‘critici musicali’ – come, spesso, amano e sogliono, impropriamente e pomposamente, definirsi. Se lo scrivano col fuoco nella mente anche i cosiddetti ‘leoni da tastiera’ che, sempre pronti al giudizio (categoria di pensiero che appartiene soltanto a Dio), esprimono spesso sui social pensieri privi di grammatica, ortografia e sintassi, oltre che di senso. Fans – o meglio, presunti tali – compresi”.
Ilario Luisetto
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