A tu per tu con un autentico pezzo di storia della musica italiana, alla vigilia della finale di The Voice
Una carriera sorprendente, innumerevoli successi pubblicati in tutto il mondo e un bagaglio enorme di cose da insegnare, questo e molto altro ancora è Al Bano Carrisi, maestro di vita e di arte, che ha messo la sua esperienza a disposizione di The Voice of Italy, talent show di Rai Due giunto alla quinta edizione. Nel corso delle puntate, ha selezionato e curato ogni singola performance dei suoi talenti, fino ad arrivare alla scelta di portare in finale Maryam Tancredi, diciannovenne di Napoli, che si giocherà il tutto per tutto nell’atteso Live Show.
Ciao Al Bano, alla vigilia di questa finalissima di The Voice, qual è il tuo personale bilancio di questa avventura?
«Il bilancio è decisamente positivo, ho scoperto delle voci veramente eccezionali. Il mio unico disappunto è stato dover scegliere dodici talenti e poi farne fuori undici, per portarne in finale soltanto uno. Ecco, questo è stato l’unico aspetto che mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, al punto da decidere di produrre un disco con i dodici protagonisti del mio team, cantando in duetto un brano con ognuno di loro, così facendo resterà un documento di questa esperienza negli anni a venire».
Una bellissima idea, tra l’altro sei il primo ad averla avuta. Tra questi dodici talenti spicca sicuramente Maryam, cosa ti ha spinto a scegliere proprio lei per portarla in finale?
«Oltre alla vocalità, mi ha convinto l’umanità. Maryam mi ha raccontato la sua storia: per anni è rimasta chiusa in casa perché veniva continuamente beffeggiata da persone che considerava amiche, subire questa sorta di ostracismo da parte di chi è nato nel tuo stesso paese, con cui sei cresciuto, non è stato certamente facile, tutto questo perché la consideravano un po’ fuori forma, diciamo. Lei ha incanalato questo dolore e lo ha sviluppato in musica, nella voglia di cantare ed è arrivata fino a qui con le sue gambe. E’ stato toccante ascoltare questo racconto e poi, grazie a Dio, ha una vocalità eccezionale che giustifica tutto».
Al di là delle stupidità di periferia e del provincialismo di certe persone, secondo te, il settore discografico è veramente pronto per valorizzare un talento unicamente per le proprie doti canore, senza badare al contorno e all’aspetto esteriore?
«Intanto precisiamo che il settore discografico, purtroppo, è morto da molto tempo. Ricordo che ai miei tempi, ti parlo degli anni ’60, mi è capitato di vendere soltanto 300.000 copie e subito dopo mi hanno dato del finito, perché arrivavo da oltre un milione di dischi venduti, mentre oggi vendi 15.000 copie e ti considerano un Dio. I tempi sono cambiati, ma è anche vero che senza musica non si può vivere, come diceva Nietzsche: senza musica la vita di un essere umano sarebbe un inutile errore. Oggi, la musica ha assunto altri risvolti, ha preso altri canali per arrivare al pubblico. Che dire? Evviva la musica, sempre, comunque e dovunque, anche se non si vendono più dischi, ma altri tipi di dimensioni musicali».
Come ti sei trovato a ricoprire per la prima volta il ruolo di coach?
«Ma sai, il coach io l’ho sempre fatto, dal mio divano di casa accendendo il televisore e sentendo voci nuove che cantano, ho sempre espresso un mio personale parere. Ad esempio, ricordo quando ho ascoltato per la prima Eros Ramazzotti a Sanremo con “Terra promessa”, ho intuito subito che avesse tutte le carte in regola per sfondare a livello internazionale. Insomma, ho sempre fatto il coach senza esserlo realmente . Anche in questo caso, mi sono divertito come non avrei mai immaginato e, in un periodo difficile come questo, mi ha fatto particolarmente bene».
Quindi, per ricapitolare, questa esperienza in talent show è stata un “buona la prima”?
«Sono arrivato qui senza aver mai guardato questo tipo di programmi, ma non perché avessi dei pregiudizi nei confronti dei talent, ma perché mi è sempre mancato il tempo. E’ un’esperienza che tornassi indietro con il tempo rifarei altre mille volte, ho trovato tanti nuovi amici, tra cui i tre miei compagni di avventura: Cristina Scabbia, J-Ax e Francesco Renga. Insieme ci siamo prodigati alla ricerca di voci interessanti e abbiamo scoperto tanti ragazzi talentuosi e promettenti di cui, sono certo, sentirete parlare».
Per concludere, al netto di quanto hai già dichiarato, ci sono dei ripensamenti per quanto riguarda il tuo futuro, ossia la sofferta decisione di ritirarti dalle scene alla fine di questo 2018?
«Non possono esserci ripensamenti e non è una mia decisione, è un fattore di salute che devo rispettare, mica uno scherzo. Ho avuto già due avvisaglie, una più pesante dell’altra, di conseguenza è una scelta inevitabile ma, attenzione, se dovessi in futuro ritrovare le energie non escludo di poter tornare sui miei passi. Nella mia vita non ho mai bluffato e non voglio cominciare a prendere in giro le persone proprio adesso. Per il momento vado avanti, saluterò il mio pubblico il prossimo 31 dicembre, mi prenderò gli anni o i mesi che Dio mi concede e poi, se sarà il caso, ritornerò… altrimenti pazienza, in oltre cinquant’anni di carriera ho dato tanto alla musica e la musica ha dato tanto a me».
Nico Donvito
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