A tu per tu con l’artista romana vincitrice della quarta edizione italiana di X Factor, che ha da poco rilasciato il suo terzo progetto discografico “Into the flow”
A cinque anni di distanza dal suo ultimo lavoro “Anima di vento”, Nathalie torna con un nuovo album, intitolato “Into the flow” (Believe Digital) e disponibile da venerdì 11 maggio, impreziosito dalla presenza di dieci brani inediti che hanno come unico minimo comune denominatore la tematica dell’acqua. Anticipato dal singolo “Smile-in-a-box”, il disco mostra lo sguardo più maturo e consapevole della cantautrice, che si è messa in gioco anche in veste di arrangiatrice e produttrice di alcuni pezzi.
Ciao Nathalie, iniziamo dal tuo nuovo disco “Into the flow”, un concept album che ha come tema centrale l’acquaticità. Come mai questa scelta e com’è nata questa idea?
«Non è un’idea che ho pensato razionalmente, mi è venuta in maniera naturale. Diciamo che ho sempre avuto una passione per l’elemento dell’acqua, perché ha una serie di simbologie per me molto affascinanti. Mi rispecchio molto nel concetto del fluire, proprio come stile di vita. Ad un certo punto della lavorazione, mi sono resa conto che queste tematiche ricorrevano in maniera spontanea in diversi brani, sia nei testi che nell’autenticità della struttura che nel modo di camminare dei pezzi. Il risultato? Un fiume di musica».
Da quale idea iniziale sei partita? Prendendo spunto dalla tua metafora del fiume, da quale sorgente, da quale montagna sei partita?
«Sono partita sicuramente da una situazione in cui dovevo ridisegnarmi in qualche modo, avevo bisogno di concretizzare in musica tutta quella trasformazione personale che stavo vivendo su me stessa. Caratterialmente mi piace sempre mettermi in gioco, non amo fermarmi nella mia zona di comfort, nel bene e nel male, adoro sperimentare e cercare nuove attrattive. In realtà è stata una montagna da superare, da scalare per ritrovare me stessa, attraverso un lavoro interiore molto intenso che mi ha riportato in pianura un po’ più consapevole».
Dopo tutto questo scorrere d’acqua, sei giunta al tuo personale delta fluviale. A quali conclusioni sei arrivata? Quale mare vedi all’orizzonte davanti a te?
«Quanto mi piace questa metafora! (ride, ndr). Più che conclusioni sono arrivata ad uno stato, ad un modo nuovo di vivere la musica. Sono sempre alla ricerca, non riesco proprio a fermarmi, è la mia natura. Come hai detto tu, ora che ho ritrovato a pieno me stessa, ho un oceano davanti a me e questo rappresenta sia un’incognita ma anche la libertà di navigare in acque nuove. Interiormente mi sono sempre sentita libera, ma ho dovuto trovare all’esterno la modalità per esserlo realmente».
Hai trovato un equilibrio che ti ha portato a produrre per la prima volta alcuni brani. E’ stato difficile osservarsi dall’esterno e prendere decisioni con un po’ di distacco?
«E’ stato proprio questo il lavoro più difficile e anche faticoso, se vogliamo. Bisogna trovare la giusta lucidità nel vedere le cose, pur mantenendo sempre un dialogo con i collaboratori, perché è estremamente importante avere un feedback dagli altri, l’esperienza e la competenza del mio team di lavoro sono state fondamentali in questo disco, ma anche per la mia maturazione. Ho cercato di ascoltare ed osservarmi dall’esterno, proprio come dici, per poi rituffarmici dentro con ancora più consapevolezza ed entusiasmo, senza perdere la naturalezza che reputo fondamentale. Non è stato facile, ho avvertito un grande senso di responsabilità, ho messo molto mano negli arrangiamenti ed ho curato nel minimo dettaglio questo album di cui sono molto orgogliosa».
Un lavoro molto ponderato, più che un cesareo è stato un vero e proprio parto naturale?
«Si tratta di un disco che ha seguito la sua naturale gestazione dopo un lungo travaglio, tant’è che alcune persone che mi seguono mi chiedevano spesso notizie sulla data d’uscita: le ho fatte un po’ aspettare, ma la sperimentazione e la creazione di un progetto artistico sono un lavoro da piccola bottega di un artigiano, anche se in molti oggi lo percepiscono più come una catena di montaggio di una fabbrica. Un album a cui non ho voluto mettere paletti o date di scadenza, per questo motivo lo reputo autentico».
In che modo hai bilanciato la presenza di brani in italiano e in inglese?
«Anche queste scelte non sono state ponderate, le canzoni sono arrivate in maniera spontanea. Non trovo che la lingua sia poi così fondamentale, perché mi trovo a mio agio con entrambe, ho sempre dato la priorità al messaggio. Mi piace parlare dei miei pezzi come delle creature con una propria volontà, sono loro che decidono quale direzione prendere. La scelte della lingua o delle sonorità possono avvenire solo in una fase primordiale della realizzazione del brano, non mi piace tradurre un qualcosa dopo, piuttosto realizzo un testo da capo. Mi trovo bene a cantare sia in italiano che in inglese, ma anche in francese, la mia seconda lingua madre, mi reputo una poliglotta per passione».
Ad anticipare questo tuo terzo progetto in studio il singolo “Smile-in-a-box”: come mai hai scelto proprio questa canzone?
«Anche in questo caso è avvenuto tutto in maniera istintiva, un parere unanime, perché rispecchia una leggerezza che fa parte di me e che, fino a questo momento, non era venuta fuori, ho sempre dato più spazio al mio lato introspettivo. Questa volta ci tenevo a lanciare un messaggio positivo, perché viviamo in un periodo storico particolare, non sempre un significato profondo deve passare attraverso qualcosa di già rodato, l’ironia sdrammatizza ma non toglie importanza e peso alle cose».
Un brano decisamente molto solare, accompagnato dal divertente videoclip diretto da Egidio Amendola, con protagonista insieme a te il bravissimo Stefano Fresi. Cosa avete voluto raccontare attraverso quelle immagini?
«E’ nato tutto per gioco, l’idea era di creare qualcosa di colorato, per mettermi in gioco sotto una veste nuova. Stefano è un mio caro amico e ho voluto coinvolgerlo perché lo trovavamo perfetto per questo video. Ci siamo divertiti molto e spero che questo venga recepito, un bel lavoro di squadra e sono molto felice perché il risultato ha superato le nostre aspettative».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quali artisti e generi hanno accompagnato e ispirato la tua crescita?
«A casa, gli ascolti dei miei genitori variavano da Simon & Garfunkel a Cat Stevens, artisti che porto ancora oggi nel cuore, ma anche i Beatles, cantautori italiani come Lucio Battisti e Fabrizio De Andrè, poi gli chansonnier francesi come Jacques Brel e Charles Aznavour, un sacco di ascolti molto variegati. Nell’adolescenza ho approfondito anche altre direzioni musicali: dai Pearl Jam a Tori Amos, passando per i Korn, mi sono nutrita sempre di qualsiasi genere, senza alcun tipo di pregiudizio».
Per concludere, qual è il messaggio che vorresti trasmettere, oggi, al pubblico attraverso la tua musica?
«Cercare di entrare nel flusso, in generale, fluire al meglio nella vita. Più che un messaggio è un augurio, in primis per me stessa e, chiaramente, anche per gli altri. Non lasciatevi mai intrappolare dalle situazioni, lasciate scorrere le cose in maniera naturale e fluida».
Nico Donvito
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