venerdì 22 Novembre 2024

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Peligro: “Io, Mietta e le canzoni che raccontano ideali comuni” – INTERVISTA

Disponibile dal 25 maggio il nuovo album del rapper milanese, scatti di una semplice quotidianità

Peligro

Tempo di nuova musica per Peligro, all’anagrafe Andrea Mietta, da qui il curioso titolo “Mietta sono io”, album che segna il suo ritorno discografico. Dieci inediti che viaggiano su binari introspettivi e che portano alla luce la vera essenza dell’artista, che incentra la sua comunicazione su tematiche quotidiane, semplici e alla portata di tutti. Prodotto da Marco Zangirolami, il disco arriva a circa un anno e mezzo di distanza dal precedente EP “Assoluto”.

Ciao Andrea, partiamo dal tuo ultimo disco “Mietta sono io”, da quale idea iniziale sei partito e cosa hai voluto raccontare?

«In realtà non sono partito con un’idea precostruita, tutti i miei brani nascono da un’urgenza comunicativa. Questo album è cresciuto canzone dopo canzone, man mano che prendeva forma mi sono reso conto che il leitmotiv era semplicemente quello di raccontare chi sono, da qui il titolo che contiene il mio cognome ma, allo stesso tempo, i pezzi parlano di temi semplici e comuni a tutte le persone».

Quali sono le riflessioni che ti hanno portato a scrivere queste dieci canzoni e a quali conclusioni sei arrivato?

«Ho voluto servirmi di argomenti che non sono un esclusivo appannaggio mio, dall’amicizia all’amore, passando per il lavoro e storie di vita vissuta. Nulla di particolare, forse, ma c’è bisogno di portare l’attenzione anche su tematiche semplici, che riflettono quello che considero un po’ lo spettacolo della nostra quotidianità. Per quanto ognuno di noi pensi di essere unico e speciale, in realtà, siamo tutti un po’ simili, o meglio uniti dalle stesse cose: “Tanto in fondo siamo tutti con gli stessi sbatti, tutti in faccia con gli stessi tratti dentro gli autoscatti”, come dico nell’intro dell’album. Penso di essere giunto alla conclusione che stiamo combattendo tutti la stessa battaglia, ma non lo sappiamo». 

A proposito di autoscatti, se dovessimo fare una metafora e paragonare queste canzoni a dei selfie, quale secondo te è venuto meglio? In quali pezzi sei riuscito a mettere maggiormente a fuoco te stesso?

«Domanda interessante, una foto non è una canzone, di uno scatto può piacere la prospettiva, la messa a fuoco, lo sfondo e, nel caso specifico, questi selfie ritraggono me stesso. Le due canzoni che mi raccontano al meglio, in questo momento, sono “Sorrisi altrove” e “La parte migliore”, il singolo che ha anticipato l’uscita dell’album».

In questo brano racconti il tuo legame con Milano, una realtà frenetica in cui tutto va molto più veloce rispetto alla provincia. Tu lo racconti molto bene ma, in sintesi, la città ti ha più dato o tolto?

«A conti fatti, credo che mi abbia più dato, perché è grazie anche a quello che Milano mi ha tolto che vado fiero di quello che sono diventato oggi. Tornassi indietro farei le stesse cose, di conseguenza, direi che il bilancio è più che positivo».

Un disco che parla la lingua del rap, ma fortemente influenzato dal mondo pop. Come valuti entrambi gli attuali scenari?

«Dal pop, secondo me, soprattutto a livello internazionale, negli ultimi anni sono usciti dei progetti davvero molto belli, mi vengono in mente gli album di Macklemore, Sia, Justin Timberlake, l’ultimo di Lady GaGa, ci sono delle produzioni pop veramente molto interessanti, che hanno influenzato la mia scrittura e l’idea che avevo della forma canzone. Sul fronte nazionale, lo trovo uno scenario un po’ troppo ancorato al codice del bel canto, se vogliamo sanremese, che non è in assoluto una cosa negativa, anzi, ma avverto una sorta di fatica nel riuscire ad internazionalizzarsi come un tempo, a parte alcune eccezioni come le ultime produzioni di Tiziano Ferro e Cesare Cremonini. Sullo scenario hip hop, invece, ultimamente non ne esce più tanta roba come prima, forse l’ultimo disco puramente rap è quello di Noyz Narcos, sono pochi i rappers che continuano a portare avanti con determinazione questo ideale sonoro».

Tra il rap vecchia scuola e quello attuale, tu dove ti collochi? 

«Sicuramente a metà, come ti dicevo, oggi si sta andando in un’altra direzione, alcuni percorrono la strada cantautorale, mentre la maggior parte seguono questo nuovo fenomeno rappresentato dalla tra  che è un qualcosa di assestante e non ha nulla a che fare con il rap, perché sono due mondi che non c’entrano niente l’uno con l’altro, ma che vengono spesso accomunati. Si, certamente c’è una parentela, ma è un po’ come quel lontano cugino che non vedi quasi mai con cui scambi gli auguri a Natale tramite WhatsApp. Personalmente la trap non mi piace, né farla né ascoltarla, ma riconosco l’ottimo lavoro che c’è dietro a livello di produzione. Sarò un po’ troppo politically correct, ma trovo che in vita e in musica tutto possa tranquillamente coesistere e che le angolazioni sono importanti ai fini della prospettiva».

PeligroDal punto di vista testuale, lanci messaggi positivi, addirittura i tuoi testi parlano di sentimenti con sfumature anche nostalgiche e romantiche, tutte cose ormai desuete per ciò che siamo abituati ad ascoltare oggi. E’ più di moda parlare di droghe e anfetamine?

«Riconosco anch’io una certa mancanza di tematiche semplici, si tende a ricercare l’acchiappo. Per quanto mi riguarda, non ho cercato forzatamente un elemento di diversità, ho tirato fuori ciò che sono parlando di me e di ciò che mi stava più a cuore. La vita non è tutta rose e fiori, ma nemmeno il mio album, anzi, ma non trovo sia giusto lanciare esclusivamente messaggi negativi. In più non avrei mai potuto parlare di argomenti che non conosco, se avessi parlato di droga sarei risultato anche poco credibile, anche se c’è chi magari nella canzoni si finge rockstar e passa le serate a casa in pigiama (ride, ndr)». 

Dal punto di vista della comunicazione, il web ha portato più vantaggi o svantaggi al mondo della musica?

«Internet ha portato ad un abbassamento delle barriere in ingresso, oggi è molto più facile mettersi in gioco pubblicando un album, ma non tutti poi riescono a raggiungere lo stesso livello. Per ottenere determinati risultati occorrono tutta una serie di fattori che il web non può garantire, perché non può sostituirsi agli uffici stampa, ai promoter radio, al distributore vero e proprio, ma è semplicemente un canale, se non si sa come utilizzarlo è un po’ come possedere in garage una Ferrari senza avere la patente. Il mio rapporto con i social network è tranquillo, cerco di usarli bene anche a fini promozionali, interagendo con chi ha piacere di ascoltare quello che ho da dire».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come è nata la tua passione per la musica? C’è un momento che ricordi con particolare affetto?

«Sono cresciuto nella musica, mio padre era bassista, mia madre cantava e mio nonno era un grande amante dello swing e di Frank Sinatra. All’età di quattordici anni ho deciso di dedicarmi alla scrittura musicale, ma mi sono sempre cibato di canzoni. Tra i miei primi ricordi musicali, mi viene in mente il mio maestro di canto delle elementari che mi faceva cantare “Dragon Ball Gt”, un pezzo che adoravo».

A parte le sigle dei cartoni animati, che hanno segnato la crescita un po’ di tutti noi, quali ascolti ti hanno accompagnato durante il percorso?

«Nella fase adolescenziale, i miei ascolti si sono riversati sul rap, principalmente quello italiano. Dal 2005 in poi, quando è letteralmente esploso questo fenomeno, ho cominciato a seguire i vari Fabri Fibra, Mondo Marcio, i Club Dogo, Marracash, oltre ad andarmi a riprendere studiando la storia e quello che avevano fatto gli Articolo 31, Bassi Maestro e Frankie Hi-Nrg. Poi mi sono concertato soprattutto sul nuovo, su quello che usciva negli anni, per tenermi al passo con i tempi e non restare ancorato a un linguaggio che, magari, poteva non essere più considerato attuale».

Una curiosità personale, hai mai pensato ad un duetto con Mietta? Magari in una “Vattene amore 2.0”?

«Guarda, se un giorno squillerà il mio telefono e dall’altra parte della cornetta ci sarà Daniela a propormi una cosa del genere, giuro che accetterò senza pensarci due volte! (ride, ndr). Al di là delle battute, l’omonimia è anche divertente, ovviamente facciamo cose diverse ma sarebbe interessante trovare un punto d’incontro a metà strada tra il suo mondo e il mio». 

PeligroPer chi non conosce il tuo vero nome, il titolo del tuo album potrebbe essere scambiato quasi per un coming out o, comunque, una rivelazione abbastanza shock…

«Beh, in effetti (ride, ndr), il fatto che questa omonimia generi l’elemento curiosità è una fortunata coincidenza. Come ti ho raccontato all’inizio, il titolo ruota attorno al fil rouge del disco, che è quello di raccontarmi attraverso le canzoni, quindi parla di me e io mi chiamo così. Quando mi sono reso conto che richiamava in qualche modo una grande artista come Daniela, mi sono fatto una grossissima risata, ma ti assicuro che è nata prima l’esigenza comunicativa del voler giocare su questo aspetto. Mi piacerebbe davvero conoscerla, soprattutto per sapere cosa ne pensa, a questo punto mi hai messo ancora più curiosità!».

Magari ti fa una sorpresa e viene ad ascoltarti suonare dal vivo, ad esempio lunedì 28 maggio al Goganga di Milano, dove presenterai per la prima volta il tuo disco. Quanto conta per te la dimensione live?

«Ma magari, la invito ufficialmente! Non vedo l’ora di salire sul palco e presentare al mondo le mie nuove canzoni, questa è una cosa per me pazzesca. La dimensione live è molto importante, perché ti permette di dare una veste diversa ai brani e di entrare in contatto con il pubblico, di tastare e di toccare con mano le loro reazioni. Più sto sul palco e più mi sento meglio».

Se mi prometti che non userai l’autotune, vengo anch’io…

«Guarda, non posso promettertelo perché ci sarà in alcuni momenti. Studio con un maestro di canto lirico e ti assicuro che l’autotune lo userò solo come uno strumento e per una scelta artistica, non per mascherare qualcosa che non so fare. Può andar bene? Vieni lo stesso?».

Promesso, a questo punto sono curioso! Ti saluto chiedendoti: quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Ciò che mi piacerebbe venisse percepito da questo album è un semplice concetto: io sono come le mie canzoni, che a loro volta raccontano storie comuni. Siamo tutti molto più simili di quanto non crediamo e trovo sia importante riconoscerlo, soprattutto quando andiamo a rapportarci con gli altri, sia nella musica che nella vita».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.