A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione di “Senza di te”, l’interprete toscana torna con un nuovo singolo
L’estate è alle porte, ce ne accorgiamo dalla moltitudine di motivetti scanzonati che cominciano a transitare per le stazioni radiofoniche. Tra le canzoni più interessanti, che si differenziano per sonorità perché ci riportano in quell’isola felice rappresentata dal nostro passato, troviamo il nuovo singolo di Veronica Ventavoli intitolato “Eterno movimento”, una ventata di freschezza che richiama tempi musicalmente migliori, le estati segnate dal Festivalbar e, in particolare, un sound internazionale che si avvicina al mondo di Natalie Imbruglia e Alanis Morissette. Colpiti da questo interessante progetto, abbiamo raggiunto l’artista per scambiare due piacevoli chiacchiere.
Ciao Veronica. Partiamo da “Eterno movimento”, il tuo ultimo singolo. Com’è nato e cosa rappresenta per te?
«E’ nato da un’idea di Antonio Ianni, mio collaboratore di lungo corso, e di Santi Pulvirenti, un brano scritto all’inizio degli anni duemila e che avevano nel cassetto da tempo. L’ho provato e ci è piaciuto il risultato, perché rappresenta un po’ il periodo che sto vivendo, il mio ritorno discografico sancito dal precedente singolo “Senza di te” che, rispetto a questo, era un pochino più giocoso, anche se il testo aveva dei risvolti interessanti, perché parlava della rivincita che noi donne, a volte, sappiamo prenderci sugli uomini. In entrambi i lavori, comunque, traspare la voglia di rimettermi in gioco con divertimento».
A livello di sonorità con quale dei due pezzi ti sei trovata più a tuo agio?
«Credo che siano abbastanza vicine, c’è sempre un retrogusto retrò alla base perché, sia io che i miei collaboratori, amiamo molto le sonorità anni ’80-’90. “Senza di te” aveva sicuramente un ritmo più scanzonato, mentre in “Eterno movimento” il sound è più melodico e vicino a ciò che ho fatto fino ad ora, ma entrambi gli arrangiamenti sono comunque accomunati e contaminati da questo sguardo verso il nostro passato recente».
Se nella nostra precedente intervista hai definito “Senza di te” come una rinascita, come descriveresti “Eterno movimento”?
«Forse una conferma di quella stessa rinascita, perché stiamo continuando su questo filone che mi rappresenta sia musicalmente che a livello di gruppo lavorativo. Una rinascita doppia, proprio dal punto di vista professionale, nel senso che non devo più rispondere di cose che non mi appartengono molto, ma la voglia di fare ciò che mi rappresenta al meglio. Oggi, mi rispecchio totalmente in queste due produzioni».
Due pezzi che rappresentano un assaggio del tuo prossimo progetto discografico, cosa puoi anticiparci a riguardo?
«Stiamo lavorando e abbiamo un nutrito gruppetto di inediti, ci sono alcuni brani che erano stati inviati negli anni alla commissione selezionatrice dei giovani del Festival di Sanremo, abbiamo deciso di rivestirli di nuovo e tirarli fuori dal cassetto. L’idea è quella di lavorare a un album raggruppando, magari, anche alcune cover di brani che apprezzo particolarmente ma che non hanno raggiunto un grande successo, i famosi lati b. Stiamo vagliando varie ipotesi, la mia volontà è quella di continuare su questa linea del cantare esclusivamente le cose che mi piacciono veramente».
Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip di “Eterno movimento”?
«L’idea è stata quella di trasmettere un messaggio scherzoso, dalle immagini traspare una grande voglia di divertimento. Abbiamo voluto rappresentare il tema del movimento, quindi dell’alternarsi delle stagioni e dello scorrere del tempo, attraverso un’ambientazione fissa con delle immagini che passano sullo sfondo».
Credi che ripescare dal nostro passato possa portare qualcosa di nuovo ad un settore discografico che ultimamente stenta a proporre cose originali?
«Sinceramente, non abbiamo pensato a questo aspetto, chi scrive e chi canta una canzone cerca soprattutto di farla al meglio, senza riflettere troppo su cosa gli ruota intorno, almeno all’inizio e durante la lavorazione. Magari è un pensiero che può venire dopo, sicuramente non mi ritrovo in molte cose che sento in giro ultimamente, non posso negarlo. Guardare al passato mantenendo comunque una veste contemporanea, la trovo una mia personale prerogativa, è quello che sento di fare io oggi, il resto verrà da sé».
Oggi va tutto così velocemente che capita di considerare già vecchia una canzone uscita sei mesi fa. Ti sei data una spiegazione a riguardo? Personalmente lo trovo inconcepibile…
«Guarda, sfondi una porta aperta. Scherzando dico sempre che, essendo laureata in storia, riconosco benissimo il valore delle cose passate. Potrebbe derivare da tanti fattori, sicuramente l’offerta adesso è davvero tantissima, anche senza pubblicare un disco, basta mettere i propri pezzi su YouTube e negli store digitali. Chiunque può cantare e chiunque può fruire, di conseguenza, tutto diventa più difficile, soprattutto affezionarsi ad un determinato cantante. Ricordo che, quando ero piccola io, gli artisti erano più o meno sempre quelli, aspettavi in qualche modo il loro ritorno che, puntualmente, arrivava con una cerca periodicità. Questo potrebbe essere paragonato anche ad altre forme d’arte, anche per la televisione, l’offerta in passato era molto più incisiva, vedi ad esempio l’affetto del pubblico nei confronti di un personaggio come Fabrizio Frizzi, che ha accompagnato per trent’anni la vita degli italiani. Oggi, mantenere successo per così tanto tempo è diventata un’impresa».
In quest’epoca, più che eterno lo definirei quasi un frenetico movimento. A tal proposito, nel 2005 hai partecipato a Sanremo, classificandoti terza tra le nuove proposte. Secondo te, quanto è cambiato il Festival negli ultimi tredici anni?
«Mi vengono in mente soprattutto due aspetti, il primo abbastanza macroscopico e sotto gli occhi di tutti, vale a dire il massiccio incremento di cantanti provenienti dai talent show, che non condanno o giudico, ma è un dato di fatto. Poi, il livello generale dei pezzi in gara, all’epoca c’era ancora spazio per ballad fortemente anni ’90, sia come tematiche che per gli arrangiamenti, non è un segreto e te lo dico tranquillamente, la mia canzone “L’immaginario” era molto “pausiniana”, proveniva da quel mondo lì, che adesso fatica a farsi spazio. Al di là dei cosiddetti pezzi sanremesi, intendo proprio nel modo di cantare, oggi si grida molto, c’è poco controllo vocale a livello tecnico, non so se per mancanza di studio o per una qualche scelta artistica, ma trovo ci sia un po’ più approssimazione, forse sarà pure un bene, non saprei, ma sicuramente è una differenza che si nota parecchio».
Come valuti l’attuale scenario musicale? Ci sono artisti che ascolti e apprezzi particolarmente?
«Rimango una grandissima appassionata di David Bowie e Vasco Rossi, di loro ascolto veramente tutto, dall’inizio alla fine. Degli artisti di oggi, invece, non possiedo tutti i loro album, mi vengono in mente Noemi, Emma, Alessandra Amoroso, ognuna di loro ha inciso dei pezzi che mi piacciono particolarmente, ma non tutto».
Anche per questa canzone ti sei affidata ad un ormai rodato team di collaboratori. Quanto conta affiancarsi a persone fidate in questo settore?
«E’ assolutamente fondamentale. Mi trovo molto bene con la mia etichetta Apbeat Edizioni Musicali dei fratelli Paolo e Andrea Amati, che mi erano stati presentati dal fidato Antonio Ianni, con cui davvero collaboro da anni, pensa che lo conobbi tramite Myspace, una piattaforma che ha perso un po’ di mordente, anche questo è segno dei tempi che cambiano. Un team con cui mi trovo molto bene, sotto tutti i punti di vista, discutiamo ogni singola cosa insieme e decidiamo di comune accordo. Sono tutti professionisti che vantano collaborazioni con grandi artisti della musica italiana, dunque, non mi posso assolutamente lamentare».
Qual è il tuo rapporto con i social network?
«Di carattere sono curiosa, quindi sono molto attratta dal mondo dei social, mi piace conoscere gente e scambiare opinioni. Poi, ci sono sicuramente i risvolti negativi, molti nascondono le proprie frustrazioni dietro ad una tastiera. Io non sono così famosa da vantare degli haters, a parte magari qualcuno che non mi sopporta per questioni personali, tipo quello a cui rifiutai un appuntamento dieci anni fa (ride, ndr), ma ci sta e appartiene alla vita di tutti i giorni. Trovo terribile, invece, l’atteggiamento e l’odio che molti riversano verso personaggi famosi, senza un vero motivo valido che vada oltre al gusto personale».
In ambito discografico, invece, internet ha portato più vantaggi o svantaggi alla discografia?
«Non saprei se possiamo realmente parlare di vantaggi e di svantaggi, sicuramente il web ha portato alla creazione di fenomeni come, ad esempio, Fabio Rovazzi e tutto il filone degli youtubers, che credo non rubino spazio a nessuno, discograficamente parlando. Secondo me, c’è spazio davvero per tutti, ovviamente sarebbe buona cosa se venisse utilizzato più per le cose positive, ultimamente si tende a far emergere anche messaggi violenti e negativi, che personalmente trovo di scarso interesse».
Forse una volta c’erano più filtri e non intendo a livello di censura, ma veri e propri talent scout…
«Nella discografia mancano le figure di riferimento che c’erano un tempo, forse l’unica rimasta che mi viene in mente è Caterina Caselli, che si affeziona ai propri artisti e li porta avanti negli anni, con risultati davvero sorprendenti, perché è l’unica che scommette davvero sul talento e si impone contro le leggi dell’attuale mercato. Le sue proposte sono sempre molto curate, pensa a Raphael Gualazzi. Il lavoro del vero discografico è quello di educare il pubblico, di offrirgli una vasta gamma di proposte per poter scegliere e accontentare un po’ tutti, invece, nell’attuale scenario si tende ad accodarsi alle varie mode del momento».
Per concludere, qual è la lezione più grande che hai appreso dalla musica?
«Guarda, più che una lezione la considero una conferma, il fatto che c’è sempre. Nella vita puoi sperimentare altre cose, dedicarti a passioni diverse, ma rimane una costante della mia vita e di quella di molti, come un porto sicuro in cui si può tornare sempre, un appiglio che non viene mai meno. Probabilmente, per un pittore lo sarà dipingere, per un attore recitare, mentre io non posso fare a meno di cantare. Considero la musica un rifugio dove rintanarci quando le cose nella vita non si mettono per il verso giusto, o per lo meno come vorremmo».
Nico Donvito
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