A tu per tu con il cantautore molisano, presente nei negozi e nei digital store con il suo primo album
Si intitola “Opera postuma” l’irriverente debutto discografico di Stefano Di Nucci, artista molisano noto per essersi aggiudicato il titolo della sezione Nuove Proposte del Premio nazionale Lunezia 2017. Sono dieci gli inediti presenti in questo suo primo progetto, che pone l’accento su un cantautorato fresco e molto realista, ricco di tutti quei contrasti che arricchiscono e rendono speciale la nostra quotidianità.
Ciao Stefano, partiamo da “Opera postuma”, titolo piuttosto irriverente per un disco d’esordio. Come ti è venuta questa idea?
«Cercavo un titolo che mi rispecchiasse il più possibile. “Opera postuma” ci riesce in pieno perché porta con sé le due caratteristiche principali del mio modo di scrivere: l’irriverenza, quella che è arrivata anche a te, e la sintesi, infatti è un titolo di solo due parole».
Da quale idea iniziale sei partito per la realizzazione del disco e a quali conclusioni sei arrivato?
«Purtroppo non sono capace di rispondere a questa domanda; generalmente non sono uno che ha delle idee chiare e invariabili e non arrivo a conclusioni perché spesso non faccio considerazioni finali su quanto ho fatto, soprattutto in ambiti come quello musicale o di esecuzione di un disco. Insomma mi lascio molto guidare dall’istinto e lavoro “di pancia”. Tutto ciò nell’album si sente, infatti credo sia un disco pieno di curve, un disco che non segue una strada dritta e ne varietur!».
C’è una veste precisa che hai voluto donare alle canzoni sia a livello di sonorità che dal punto di vista del testo?
«Mi aggancio a quello che ho appena detto due secondi fa. Vedi, continuo a essere irrimediabilmente irriverente e sintetico. ☺».
Che messaggio hai voluto lanciare con il singolo “La Donna Eburnea” e le relative immagini del videoclip ufficiale?
«È una storia vera di due persone vere che vivono due orologi biologici diversi, questo porta alla rottura del rapporto dei protagonisti. La donna eburnea è una ragazza che veramente ho incrociato nella vita e che veramente mi ha regalato un pesce rosso. Nel video clip abbiamo voluto fare in modo che questo pesce fosse quasi il protagonista del video, infatti è lui che spesso spia i protagonisti e le loro difficoltà relazionali. Lo reputavamo importante perché, in quanto pesce, era ed è il simbolo del mutismo, quindi il simbolo della mancanza di comunicazione che ha caratterizzato il mio rapporto fallimentare con la donna eburnea».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinato alla musica?
«La musica è stato un modo per eludere una situazione di solitudine di fronte alla quale il destino mi ha messo. Da bimbo ho vissuto in un appartamento che non mi dava modo di andare a giocare giù in cortile (passavano solo macchine). Poi quando mio fratello è andato in gita di terza media sono rimasto proprio solo. Annoiato, ho aperto l’armadio e ho trovato la vecchia chitarra di mio padre. Da lì tutto è partito. La vita è anche questione di caso. Se nell’armadio avessi trovato una tuta da palombaro, è facile che adesso avremmo fatto questa intervista sott’acqua!».
Quali ascolti hanno accompagnato la tua crescita?
«Sono cresciuto a pane e canzone: per me la canzone è una forma d’arte nobilissima. Io la canzone l’ho scelta, non è un ripiego perché non so fare altro. Fortunatamente la canzone esiste perché, che si sappia, io non so fare altro!».
Come valuti l’attuale situazione discografica del nostro Paese e il livello generale delle attuali proposte che il mercato ci offre?
«Non ho i numeri con me per fare una valutazione lucida, quindi non mi permetto di esprimermi sul mondo discografico. In giro sento delle cose veramente molto belle e valide. Credo questo sia un buon momento per quanto concerne il cantautorato. Ad esempio c’è Antonio Dimartino che è una grande penna secondo me. Generalmente ho l’impressione che il mondo sia però un po’ troppo distratto per cogliere la qualità».
Lo scorso anno ti sei aggiudicato la sezione Nuove Proposte del Premio Lunezia. Cosa ha rappresentato per te questo prestigioso riconoscimento?
«È una gioia, senza dubbio. Sono felice anche perché ho persuaso le persone che vivono nell’ambito musicale in cui a me interessa stare. La giuria del Lunezia è molto attenta al testo delle canzoni. A me le parole piacciono tanto, quindi l’idea che degli esperti abbiano trovato il mio testo interessante, mi rende veramente felice!».
Prossimamente aprirai alcune date dei concerti di Fabrizio Moro. Quanto conta per te la dimensione live?
«Se dicessi che non conta mentirei, infatti non lo dico. Non nascondo però che il live un po’ mi mette in difficoltà. Per esempio non sopporto tanto rivedermi o riascoltarmi. Infatti da grande mi piacerebbe molto fare l’autore: scrivere le canzoni e poi, dal divano, vedere la gente che suda per cantarle nel miglior modo possibile! Il live resta comunque una grande invenzione dell’umanità».
Progetti futuri e/o sogni nel cassetto?
«Ci sono tanti progetti che per ora mi tengo nel cassetto, perché sono sempre restio a sbilanciarmi».
Quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Fai le cose come ti dice la tua testa!».
Nico Donvito
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