A tu per tu con il giovane cantautore romagnolo che ci racconta il suo ultimo progetto discografico
Tempo di nuova musica per Andrea Amati, attualmente in rotazione radiofonica con “Bagaglio a mano”, singolo estratto dal suo ultimo omonimo album.
Ciao Andrea, da quale idea sei partito per la realizzazione di questo disco?
«Sicuramente è stata determinante la lettura del libro di Gabriele Romagnoli “solo bagaglio a mano”, un libro che parla di alleggerimento positivo e che mi ha dato la forza di iniziare a combattere tante paure che avevo».
Quale elemento comune lega le tracce presenti?
«In generale credo sia la voglia di essere se stessi, di mettersi in gioco, un bisogno di trovare una certa essenzialità in quello che si fa».
C’è una veste precisa che hai voluto donare alle canzoni sia a livello di sonorità che dal punto di vista del testo?
«Ho lavorato molto sulla veste sonora; con Massimo Marches, chitarrista e produttore del disco, abbiamo optato per virare verso arrangiamenti più dinamici, di sporcare la sedicente canzone d’autore con un po’ di elettronica e di rendere il tutto anche più giocoso; Carmen ne è un esempio evidente, anche come scrittura così come l’iniziale “Mi sono Perso”».
A cosa si deve la scelta di inserire una cover e, in particolare, un brano di Luigi Tenco?
«Ho affrontato Tenco diverse volte sul palco; ho scritto e portato in scena per anni uno spettacolo interamente dedicato a lui che si chiama “Io sono Uno” quindi quella canzone la conosco molto bene, la trovo estremamente attuale e credo possa amalgamarsi molto bene alle altre. Inoltre omaggiare Tenco è un dovere; rimane uno dei più grandi cantautori e musicisti che questo paese abbia mai avuto».
Se dovessi partire per un posto lontano, quali cose inseriresti nel tuo personale bagaglio a mano?
«Spazio vuoto il più possibile (ride, ndr)».
Facciamo un breve salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinato alla musica?
«Ho fatto un giro largo… al liceo facevo teatro e sognavo di diventare un attore; attorno ai 20 anni l’incontro definitivo con l’opera di Fabrizio De André che mi ha stravolto, mi ha fatto davvero vedere il mondo con occhi diversi; da lì la voglia di omaggiarlo a modo mio e la creazione della tributo band “Guanti di Marco”… dopo qualche anno in giro per l’Italia con gli spettacoli su Faber ho iniziato a scrivere canzoni e a cantare ciò che scrivevo con una nuova band che tuttora mi accompagna sia in studio che dal vivo».
Quali ascolti hanno accompagnato la tua cresciuta?
«Sicuramente i cantautori ma anche il rock’n’roll e il pop; ho sempre cercato di ascoltare tante cose; in questo momento sto ascoltando “Vivere o morire” di Motta e “Deconstruction” degli Eels».
Come valuti l’attuale situazione discografica del nostro Paese e il livello generale delle attuali proposte che il mercato ci offre?
«Vivo in una realtà, quella riminese, piena di ottimi artisti e credo che ovunque sia pieno di gente con qualcosa da dire e un buon modo per farlo. Purtroppo gli spazi, i soldi e le possibilità sono sempre meno; quello che mi preoccupa di più è la diseducazione all’ascolto, alla ricerca… a forza di metterla ovunque, dai ristoranti, agli aeroporti, la musica ha completamente perso di valore e quindi le persone non sono più portate a dare spazio ad “altro”, a un qualcosa di diverso».
C’è un momento che reputi fondamentale per il tuo percorso artistico?
«L’incontro con i miei musicisti, sicuramente; Federico Mecozzi, Massimo Marches, Marco Montebelli e Francesco Preziosi hanno sin da subito fatto parte del mio percorso; siamo una famiglia, quando suoniamo insieme e non li cambierei con nessun altro musicista».
Sei impegnato attualmente con la tua tournée estiva, quanto conta per te la dimensione live?
«La dimensione live è semplicemente tutto per me! Figurati, vengo dal teatro, il palco è uno dei pochissimi posti dove mi sento davvero a mio agio nella vita, lì sopra non ho paura di mostrarmi».
Progetti futuri e/o sogni nel cassetto?
«Vorrei suonare queste canzoni davanti a più persone possibili, farle sentire e condividerle perché ci ho messo dentro tanta cura, tanta vita».
Per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Più che trasmettere io un messaggio al pubblico sarei felice se il pubblico trovasse un proprio messaggio nelle mie canzoni che, ricordiamolo, diventano sempre proprietà di chi le ascolta in questo senso».
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Nico Donvito
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