A tu per tu con l’artista scozzese, impegnata con la sua tournée estiva in compagnia dei The Graces
A quattro anni di distanza dalla sua partecipazione all’ottava edizione italiana di X Factor, Emma Morton continua a proporre la propria musica con stile e determinazione. Insieme al batterista Piero Perelli e al chitarrista Luca Giovacchini ha dato vita al progetto Emma Morton & The Graces, un viaggio artistico-culturale dal respiro internazionale, partito dalla dimensione live e catapultato in studio con la pubblicazione del disco “Bitten by The Devil”, impreziosito dalla presenza di un ospite d’eccezione: il noto cantautore e pianista marchigiano Raphael Gualazzi.
Ciao Emma, partiamo dal tuo nuovo album “Bitten by The Devil”, com’è nato e cosa rappresenta per te?
«Il disco è nato in modo molto naturale, dopo vari anni di sperimentazione musicale. Con Piero e Luca abbiamo deciso di formare un trio e dar sfogo alla creatività attraverso le nostre rispettive sensibilità. Successivamente alla nostra attività dal vivo, ci siamo ritrovati in studio per lavorare alle canzoni di questo album, che considero molto personale perché racconta esperienze che ho vissuto e toccato con mano».
Quali sono le tematiche predominati a livello testuale?
«E’ un disco che cerca la libertà in tutte le sue forme, affrontando temi di cui non avevo mai parlato pubblicamente, come la mia depressione, l’ansia, i rapporti interpersonali e le violenze che ho subito da bambina. Non è facile per me parlare di queste cose, mi è venuto più facile cantarle, mi sono sfogata e ogni volta che interpreto questi pezzi dal vivo mi emoziono, esorcizzando le paure del mio passato. Reputo l’intero lavoro come una celebrazione della mia rinascita, come dal titolo stesso, l’idea che dal morso del diavolo, quindi dalla contaminazione del male, si riesce a sovvertire e ritrovare la propria forza attraverso la purezza».
Dal punto di vista delle sonorità, invece, c’è una veste precisa che avete voluto donare alle tracce presenti?
«Sonoricamente ci siamo molto ispirati alla scena statunitense, Bob Dylan è un grande punto di riferimento. Musicalmente parlando proveniamo dal filone afro-americano, da cui sono nati il blues, il jazz e il soul, impreziosendo il tutto con riferimenti pop ed elementi presi in prestito dal folk scozzese. Volevamo che il disco rappresentasse un viaggio, trasmettendo un senso di contaminazione artistico-culturale».
Nel brano “Dirty John” spicca la presenza di Raphael Gualazzi, come vi siete conosciuti e com’è stato lavorare con lui?
«Lavorare con Raphael è sempre un super piacere, ci siamo conosciuti in occasione del suo ultimo disco “Love, life, peace”, ci siamo piaciuti subito sia a livello musicale che umano, abbiamo lo stesso tipo di linguaggio e proviamo entrambi passione per lo stesso genere. Sono felice di averlo avuto con me in questo disco, la sua partecipazione è stata preziosa, soprattutto in un pezzo così delicato e importante per me. Dopo quello che ho passato, non è facile dare subito fiducia agli uomini, con lui e i miei due compagni di viaggio sono riuscita a superare questo problema, mi sono sentita ascoltata affidandomi totalmente a loro».
Cosa hai lasciato in Scozia e cosa hai trovato in Italia?
«In Scozia ho lasciato un bel po’ delle mie insicurezze, da quando vivo in Italia non prendo più psicofarmaci, ho cominciato a curarmi a contatto con la natura, in questo la musica ha avuto un ruolo fondamentale. Qui ho avuto la possibilità di ripartire, fortunatamente ho trovato una rete di persone che considero la mia famiglia e che mi hanno accolto con amore, dandomi la possibilità di trovare il mio equilibrio e un po’ di pace. L’Italia mi ha regalato il lusso del piacere e dell’amore, cominciando a vivere e non più solo a sopravvivere».
Veniamo all’esperienza di X Factor, sono passati quattro anni dalla tua partecipazione, qual è la lezione più grande che hai appreso da questa esperienza?
«Essere diventata più flessibile, ho imparato ad esplorare territori musicali che non conoscevo, a lanciarmi in qualcosa di nuovo. Affrontare questo programma per me è stato strano, perché non guardo la tv da quando ho sedici anni, non la possiedo per scelta, quindi non conoscevo le dinamiche legate a questo mondo. Ho vissuto l’intera esperienza con un senso di pesantezza, se tornassi indietro la vivrei con più leggerezza. Non ero soddisfatta di me, perché la mia bambina aveva un anno ed ero terrorizzata al pensiero di non riuscire a farle sentire completamente la mia presenza, così come non riuscivo a dedicarmi totalmente al lavoro. Non è stato facile trovare subito un equilibrio, ho fatto fatica in entrambe le direzioni, per diverso tempo ho creduto di non essere riuscita né a cantare bene né a fare la mamma, ripensandoci oggi sono convinta di essermi punita un po’ troppo e ho trovato la giusta stabilità».
Una curiosità personale, continui a mangiare uno spicchio d’aglio al giorno o hai smesso?
«Non sono così religiosa come una volta, nel senso che posso pure saltare uno spicchio al giorno, ma in un giorno posso mangiarne sei (ride, ndr). Sai, ci tengo molto all’alimentazione, al cibo sano e naturale, oggi ho cominciato ad integrare anche altri prodotti, come lo zenzero. Ricordo che, ai tempi di X Factor, era un grosso conflitto all’interno del loft che, oltre alla nostra abitazione, era la location delle riprese dei day-time, per cui i cameraman e lo staff della trasmissione si lamentavano della puzza dell’aglio, ma non era comunque colpa mia se si ritrovavano a lavorare nello stesso posto dove noi cucinavamo».
Tornando alla musica, come valuti l’attuale scenario discografico in Italia?
«Il mio può essere solo un parere, ma trovo ci siano sempre meno prodotti autentici. Accendendo la radio si ascolta solo musica mainstream, per chi non fa musica prettamente commerciale è ancora più difficile riuscire a farsi notare. Trovo che l’Italia, oggi, sia malnutrita da una cultura musicale un pochino più vasta, soprattutto rispetto ad altri Paesi europei come la Francia, l’Olanda e la Germania, dove c’è un grandissimo flusso di sonorità internazionali e, di conseguenza, molto più mercato. Mi dispiace dirlo perché io amo molto l’Italia, ma si dà troppo spazio a canzoni superficiali e c’è pochissima scelta, la cosa che più mi spaventa è che il pubblico si sta adattando a tutto questo, perdendo il gusto della ricerca e dell’approfondimento».
A tal proposito, mi vengono in mente le dichiarazioni di Caterina Caselli, l’ultima grande talent scout della nostra discografia, che da sempre sostiene che il mercato vada creato e che il pubblico debba essere imboccato, scommettendo su artisti anche controcorrente, proprio come Raphael Gualazzi…
«Incontrare la signora Caselli è un sogno che ho nel cassetto da anni, una delle prime canzoni che ho imparato in italiano è la sua “Sole spento”, che trovo davvero splendida. Mi piacerebbe conoscerla e, perché no, magari lavorare con lei perché ha un’idea della musica molto simile alla mia».
Se dovessi scegliere un’epoca del passato, quale decennio sarebbe più vicino al tuo modo di intendere la musica?
«Credo che tornerei agli anni ’20 a New Orleans, lo sento come un momento storico semplice e genuino, una bellissima espressione di libertà e trascendenza, di riscatto sociale, di arte. Tutta la musica di oggi si ispira a quella afro-americana, per cui mi piacerebbe tornare a quel preciso istante lì, quando tutto è cominciato».
So che sei attualmente impegnata in tournée, quanto conta per te la dimensione live?
«Tantissimo, il nostro progetto è concentratissimo sull’attività live. Nonostante io canti in dialetto scozzese, nei nostri show c’è una grande partecipazione e comprensione da parte del pubblico, una magia che solo la musica è in grado di creare. Avverto che le persone riescono ad assorbire le emozioni che sto comunicando, c’è molto dialogo e questo è fondamentale. In studio mi sento inibita, riesco a tirare fuori il meglio di me sul palco, grazie allo scambio energetico con le persone. Improvvisiamo molto, ogni concerto è diverso e la gente è un ingrediente fondamentale dell’intero spettacolo».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?
«Vorrei invitare tutti ad essere più onesti, sia con noi stessi che con gli altri, su quelle che sono le nostre paure e i desideri più importanti. Non credo nell’ipocrisia, nella vergogna che ci troviamo a provare in determinati momenti. E’ necessario prendere una posizione per sentirsi veramente liberi, combattere il giudizio degli altri e la discriminazione. Con il disco ho voluto celebrare i lati più deboli della nostra umanità e sfatare ogni singolo tabù imposto dalla nostra attuale società».
[amazon_link asins=’B07CGVDLKV’ template=’ProductCarousel’ store=’recensiamomus-21′ marketplace=’IT’ link_id=’20f9efc0-9718-11e8-b2ff-b51f3f2698fb’]
Nico Donvito
Ultimi post di Nico Donvito (vedi tutti)
- È giunta mezzanotte, i singoli in uscita venerdì 22 novembre: da Enrico Nigiotti a Jovanotti - 22 Novembre 2024
- X Factor 2024, le pagelle degli inediti proposti giovedì 21 novembre - 21 Novembre 2024
- Il Sanremo che verrà, Carlo Conti: “Il resto è fumo, le canzoni sono l’arrosto” - 21 Novembre 2024
- Negramaro: guida all’ascolto di “Free Love”, istruzioni per l’uso - 21 Novembre 2024
- Sanremo 2025, Carlo Conti anticipa l’annuncio dei big al 1° dicembre - 21 Novembre 2024