Un pomeriggio di qualche settimana fa il mio telefono squillò all’improvviso: a chiamare era Maurizio Scandurra, noto ufficio stampa di alcuni dei più grandi artisti della musica italiana (ha lavorato, tra gli altri, anche con PFM, Matia Bazar, Silvia Mezzanotte, Andrea Mingardi, Gerardina Trovato e moltissimi altri), autore, scrittore e giornalista di spessore ed esperienza. Ero abbastanza stupito da quella telefonata che arrivava come un fulmine a ciel sereno e che mi sorprese non poco anche se, ero assolutamente convinto che anche Maurizio, come tanti altri hanno fatto in questi mesi, mi chiamasse per chiedere l’ennesimo favore di riservare un qualche spazio a qualcuno dei tanti comunicati stampa che puntualmente sommergono ogni giorno la mia casella di posta elettronica.
A sorprendermi, invece, fu proprio il fatto che Maurizio “veniva in pace”, come si suol dire, semplicemente per proporre (e prestate attenzione a questo verbo perché vi posso assicurare che in questo ambiente son ben pochi quelli che propongono) un progetto e per mettersi a disposizione in tutto e per tutto anche per quanto riguarda il futuro.
Da allora si è instaurato tra noi, almeno da parte mia, un rapporto di profondo rispetto, stima e ammirazione per una persona che, pur abbia tutte le carte in regola per vantarsi della poltrona d’alto profilo che da anni ricopre, ha saputo aiutare prima di chiedere. Spesso ho detto e scritto che il mondo della musica (e non intendo solo la discografia ma anche la stampa barocca che le corre appresso) non è esattamente un sfera di cristallo limpida ed accessibile ma, grazie a Maurizio Scandurra, ha scoperto che non tutto è da buttare e che esistono ancora, fortunatamente, persone che sanno fare il proprio lavoro e che permettono di fare il proprio anche agli altri.
E’ nata, quindi, spontaneamente l’idea da parte mia di realizzare questa chiacchierata per parlare insieme e confrontarci sullo stato della musica e della canzone italiana andando alla ricerca delle radici della profonda crisi discografica che oggi giorno viviamo e che appare irrisolvibile. Vi consiglio di leggere questa interessante e veritiera chiacchierata musicale che, seppur lunga e densa, contiene a mio avviso tante e sincere verità.
Maurizio sei nel mondo della comunicazione musicale (e non solo) ormai da tanti anni, da persona che vive quest’ambiente a 360° senza filtri e convenevoli come vedi la musica made in Italy? Come sta la musica italiana personificandola all’interno di un corpo umano?
<<La musica italiana oggi non la vedo perché non esiste e dunque risulta difficile parlare di un qualcosa che nella realtà è del tutto insussistente a meno che non si faccia della pura ed illusoria retorica filosofica, al modo di Platone e Socrate, tentando di riprodurre delle idee scollegate dal mondo concreto>>.
E parlando più concretamente della tanto amata “canzone all’italiana”?
<<La canzone italiana ha fatto una pessima fine diventando vittima di schemi precostruiti che si ripetono in costruzioni armoniche e melodiche standardizzate come una buona ed efficiente catena di montaggio richiede, andando poi a riempire senza distinzioni tutti i dischi dei cosiddetti “artisti emergenti”. La canzone italiana è oramai indistintamente contagiata da meccanismi insani che hanno obbligato all’adozione di una durata compresa tra i 2:50 e i 3:30 minuti per avere i cosiddetti “canoni di radiofonicità”, testi dalle moltissime parole (il che equivale al voler far stare 10 litri d’acqua in bottigliette da mezzo litro), assoluta assenza di momenti di respiro musicale capaci di lasciar spazio ad assoli o alla potenza comunicativa dell’armonia o di un guizzo vocale. A tutto questo si aggiunge la totale, e denigrante, assenza di canto che è divenuto sempre più simile ad un parlato senza dare respiro al pathos e al colore di una voce con l’effetto di un appiattimento che uniforma tutto al sound che ne deriva>>.
Che conseguenze discendono da tutto questo?
<<Da una parte c’è la naturale ed innegabile tendenza che vede coloro che scrivono doversi adattare a questo marchio stilistico, pena il non essere ammessi all’ascolto radiofonico e l’essere emarginati artisticamente. E, dall’altra, l’annullamento e l’ostracismo ad ogni processo di cambiamento, innovazione e differenziazione. Oggi la musica italiana, o meglio la canzone italiana (perlomeno quella resa accessibile alle grandi masse), si riflette dentro ad un solo ed unico genere: il pop pesante e pedante che ha dimenticato di essere figlio della melodia ed ha brutalmente strizzato l’occhio al rap – ecco perché i testi si allungano a dismisura a discapito della pure musica -, che non ha nulla a che vedere con la cultura italiana>>.
Alla fine però bisogna sempre dare una colpa altrimenti il gioco non vale la candela come si suol dire. Chi bisogna incolpare per questa perdita d’identità della musica e della canzone italiana: la discografia che non ha saputo conservare un bene così prezioso oppure la mancanza di una novità artistica che si potesse collocare comunque nel rispetto della tradizione?
<<La colpa può essere imputata a molteplici fattori e soggetti a partire dall’avvento del web che ha fortemente contribuito alla prolificazione di una generazione totalmente priva di cultura (musicale e non) che sarà anche bravissima con la tecnologia ma che non è nemmeno più in grado di scrivere un sms senza compiere errori grammaticali di ogni genere, compresa la grave dimenticanza della punteggiatura. La colpa di tutto ciò è dei loro genitori: Gaber a tal proposito diceva “la mia generazione ha perso”; e se ha perso quella generazione di genitori figuriamoci quella venuta dopo di lui, gli attuali 40-50enni, che sono privi di una base culturale solida che si traduce in un impoverimento inevitabile del culto dell’ascolto>>.
Che musica ascolta oggi la gente comune, questa generazione (e non solo) a cui facevi riferimento? E con quali criteri si ricade su questi ascolti?
<<Oggi si ascolta quello che propone la TV: non si possiede una cultura musicale che parta da Steve Wonder ed arrivi ai grandi cantanti del Novecento passando per i tenori e i miti della musica leggera italiana ed internazionale. In pratica si sta facendo, o meglio si è già fatto in modo, che la cultura venga accantonata, dimenticata, emarginata diventando complici di un’inaccettabile omicidio della nostra storia: sarebbe come se a scuola la letteratura prendesse in esame solo i romanzi contemporanei di Moccia o i saggi di Saviano dimenticandoci dei grandi padri della nostra cultura>>.
Anche la musica riflette dunque un cambiamento innegabile e, apparentemente, incontrovertibile della società contemporanea occidentale?
<<Naturalmente! Manca un radicamento nel passato perché la società attuale impone senza eccezioni la legge del “qui ed ora”, o per dirla alla latina del “hic et nunc” e del “sic et simpliciter”, che determina il venir meno della costruzione di un percorso che fonda le radici in un tempo che ci precede ma che, in qualche modo, ci rappresenta perché ne siamo figli>>.
E delle case discografiche che cosa mi dici? Non sono anche loro nettamente e direttamente responsabili di questa situazione discografica?
<<Sono le co-responsabili di questo disastro culturale. Oggi le etichette discografiche sono gestite a livello operativo da una marea di soggetti – spesso gravemente incompetenti – che non sanno far altro che fare i fighetti nei corridoi dei loro uffici trattando manager, uffici stampa e artisti stessi con una sufficienza imbarazzante. Essendo questo il livello dei cosiddetti “addetti ai lavori”, i quali molto spesso non conoscono la musica, non hanno alcuna cultura in questo campo e non sanno mettere le mani su un pianoforte è come portare un malato da un fabbro invece che dal medico>>.
Ma concretamente che cos’è che non funziona nelle case discografiche nostrane?
<<Il deplorevole atteggiamento di cercare il guadagno facile: qualsiasi imprenditore, certo, aspira ad ottenere i più ampi margini possibili di ricavo ma mantiene fisso l’obiettivo sul futuro per potersi assicurare un guadagno anche più in là. Un tempo gli artisti venivano lanciati facendoli divenire popolari con le radio in un periodo di “preparazione” di 2 o 3 anni che precedeva l’arrivo in televisione, magari a Sanremo, dove arrivavano con le basi del prodotto artistico già gettate il che assicurava che potessero durare nel tempo ed evolversi, cambiando coerentemente se stessi e mirando tranquillamente ai 40-50 anni di carriera. E, guarda caso, questi sono ancora oggi gli artisti che, pur se snobbati dalle radio, continuano a riempire piazze e palasport andando anche all’estero>>.
E oggi invece?
<<Oggi le case discografiche non fanno più nulla e stanno attuando un modus operandi pericolosissimo: moltissimi addetti ai lavori, che poi sono quelli che si lamentano delle pochissime vendite, sono i primi a pensare che sia possibile portare un ragazzo o una ragazza ad una casa discografica soltanto se questo ha un numero predefinito di “mi piace” sulla pagina facebook o di visualizzazioni su YouTube>>.
Questo significa però una traslazione del pubblico di riferimento sostanzialmente: prima si badava a quante persone si conquistavano con le radio oggi si fa la stessa cosa con la TV ed il web. Qual è il problema?
<<Il pubblico del web non è certo il pubblico è certo tutto il pubblico: ne è solo una minima parte, contrariamente a quel che si pensa. La gente di internet è certo una realtà che ha le disponibilità economiche sufficienti per comprare un disco, andare ad un tour e seguire costantemente un artista nel suo percorso, ma limitatamente a un certo genere: il ragazzino che va a vedere un cantante su YouTube continuerà ad andare a vederlo lì o al massimo comprerà (se non ricorrerà alla pirateria) il primo e il secondo disco, il tempo necessario perchè l’artista si esaurisca. Ed ecco che bisogna tornare a fare tutto da capo: se le industrie metallurgiche dovessero investire ogni anno dei budget per rifare gli stampi probabilmente avrebbero già chiuso mentre, invece, la loro politica è quella di ottimizzare la produzione fin dall’origine in modo che il prodotto abbia per vita la più lunga e naturale possibile. Un tempo era così anche per i dischi: gli artisti si coltivavano nel tempo, propria come le piante secolari>>.
La soluzione, dunque, qual è a tuo avviso?
<<Bisogna far sì che cessi quanto prima questo atteggiamento davvero idiota, dannoso ed improduttivo che fa sì che la musica in Italia sia destinata esclusivamente ad una piccola parte della popolazione: cioè a ragazzini, teenagers, amanti dei talent e persone di giovane età>>.
A che cosa ti riferisci?
<<E’ sotto gli occhi di tutti, come dicevo prima, che questi prodotti artistici che traggono la loro origine dalla televisione e dal web sono destinati esclusivamente a quel pubblico che ha per riferimento quei canali: il pubblico giovane, adolescenziale e tecnologico. In termini demografici, però, i giovani rappresentano il 20% (a farla grande, forse, il 30%) della popolazione italiana (visto e considerato che siamo un Paese costantemente soggetto all’innalzamento dell’invecchiamento medio): il restante 70-80% avrà pur diritto di comprare ed ascoltare musica?!>>.
Approfondiamo…
<<Se fossi io il presidente di una multinazionale farei una semplice indagine di mercato non per andare a competere con le altre aziende al fine di accaparrarmi il ragazzino più bello e figo del momento (e qui potremmo aprire l’ampio discorso di quella che io, provocatoriamente, chiamo “pedofilia nella musica”: contrattualizzare solo giovanissimi, dimenticando bravi artisti più in là con gli anni) ma cercherei di andare a coprire quella fetta di mercato che non è coperta da nessuno e che non è una fetta indifferente, anzi, è largamente maggioritaria oltre a detenere una disponibilità economica ben diversa da quella dei più giovani. Che cosa significa che per avere un contratto discografico devi avere al massimo 25 anni ed essere figo? Perché? Se ne hai 40 ed emozioni non vali nulla?>>.
In sostanza parliamo di una differenziazione del mercato?
<<Esattamente. Non sto dicendo di eliminare quella fascia che, attualmente, occupa il 100% della proposta discografica ma di creare nuovi spazi per far sì che la musica torni a soddisfare universalmente la popolazione. Se pensiamo che la musica italiana fa appena 160 milioni di fatturato lordo all’anno (considerando tutte le aziende che producono) il tutto si rivela come abbastanza ridicolo: le case discografiche stanno andando, ormai da anni, a competere per delle briciole irrisorie e insignificanti. Io cercherei, invece, di costruire un’offerta differente che possa guardare ad una zona di mercato sostanzialmente dimenticata>>.
Ma il famoso mito che sono i giovani a comprare la musica e non i gli adulti che fine fa?
<<Non è vero niente, sono tutte emerite stronzate che dimostrano la totale incapacità dei manager discografici che sono alla guida di queste etichette che, per giunta, continuano a fondersi l’una con l’altra e che anni fa avevano 100 dipendenti e oggi se ne hanno 15, comprese le donne delle pulizie, sono fin troppi. Questo vorrà pur dire qualcosa?>>.
Mi faceva riflettere l’espressione che hai usato prima quando hai parlato di “pedofilia musicale” facendo riferimento ai ragazzi dei talent soprattutto…
<<La “pedofilia musicale” è un’espressione che mi piace usare per ricordare che oggi c’è spazio contrattualmente solo per artisti di giovane età che definisce in modo chiaro e netto lo stato di assoluta povertà ed insignificanza dell’arte e dell’industria musicale che ha mutato e stravolto, in un modo assolutamente abominevole, il concetto di cantante: tempo addietro a far di qualcuno un cantante era prima di tutto la voce e le canzoni. Oggi, invece, è l’immagine, l’apparenza, l’aspetto fisico che rendono il cantante un testimonial di un contesto sociale in cui ci si riconosce (facendo sempre riferimento al pubblico di questi “artisti” e dunque ai ragazzi giovani) e poco importa se stona o se non è un virtuoso della voce. Eccetto rarissimi casi, per diventare davvero bravi artisti ci voglio anni, anni e anni. Non ci si improvvisa. Nella musica, come nell’arte>>.
La bellezza (ed i suoi canoni) però non dura per sempre
<<Esattamente, ed infatti in un’epoca dominata dall’assoluto relativo che induce dire “ciò che dici è giusto ma io la penso così” gli adolescenti che, si sa, rigettano l’idea di assumersi un punto di riferimento e delle responsabilità anche ideologiche, davanti al belloccio del momento lo consumano con la voracità con cui un uomo in sovrappeso mangia un gelato, e nello stesso tempo già guardano altrove per trovare il prossimo. Quello che chiamiamo per comodità “artista” (ma solo per comodità) dura per un po’ e poi viene spazzato via. Avanti il prossimo>>.
La risposta che, mi sembra, tu stia dando a questo immenso e colossale problema che assume le dimensioni del Leviatano hobbesiano in cui l’attuale società discografica pare essersi rifugiata pur di sfuggire al caos è quella di un superamento dell’immagine e un recupero all’attenzione della voce. E’ cosi?
<<Proprio così. Mango, Antonella Ruggiero, Mina, Giuni Russo, Lucio Dalla insegnano: sono diventati famosi proprio perché bravissimi cantanti. Il web, così come il talent, non possono sostituirsi all’attività dello scouting perché l’Italia è piena di gente bravissima che canta da Dio ma che, magari, è un po’ più avanti con gli anni o non è bellissima o semplicemente si rifiuta di tentare l’accesso ai suddetti circuiti obbligati in cui ti spremono come una scatoletta di cibo usa-e-getta>>.
Davvero lo scouting è divenuto un fenomeno d’altri tempi ai giorni nostri?
<<L’unica in Italia a portare avanti l’attività di scouting propriamente detta, che davvero fa la differenza, e da cui tutti gli altri devono andare a lezione è Caterina Caselli con la sua Sugar Music, un’azienda che da sempre ha sempre cercato i fuoriclasse. Certo, sbaglia anche Caterina Caselli, ma ricordiamoci che la metà della musica italiana di qualità degli ultimi 20 anni è passata attraverso di lei: Elisa, i Negramaro, Andrea Bocelli, Malika Ayane e lo stesso rapper Lowlow, molto più originale di tutti i suoi altri colleghi (che io, notoriamente, non amo) che passano il tempo a mandarsi a fanculo tramite Twitter malgrado siano grandi amici nella vita, solo per prendere in giro la gente a maturare sull’ignoranza dei fans milioni di visualizzazioni che valgono altrettanti milioni di euro>>.
Guardiamo per un secondo ai grandi artisti antecedenti al fenomeno talent, e dunque faccio riferimento alle grandi voci degli anni ’90-’00, anche per loro questa situazione inizia a pesare: insomma, l’ultimo album della Pausini ha ottenuto 3 dischi di platino mentre prima arrivava al disco di diamante, Elisa a fatica ha raggiunto il disco di platino esattamente come Giorgia. Perché anche questi artisti non sono più amati come un tempo dal pubblico perlomeno a livello di vendite?
<<Innanzitutto mi fa abbastanza ridere parlare di disco d’oro o di platino oggi perché anni fa ci volevano almeno 500.000 copie per essere qualcuno. Tralasciando questo discorso, la crisi secondo me sta nel fatto che ci sono molti artisti che non si sanno rinnovare o che lo fanno nel modo sbagliato: il caso di Elisa e Giorgia mi fa molto pensare perché sono due artiste straordinarie che non hanno bisogno di rincorrere nessuna moda ma che negli ultimi tempi si stanno palesemente snaturando per inserire all’interno della propria musica elementi, arrangiamenti e metriche che sono più dei giovani di ora che loro. Quello che ha fatto grandissimo Mango è che è sempre restato Mango, malgrado le mode, esattamente come Lucio Dalla e tanti altri: chi ha un’identità ben precisa e così forte non ha bisogno di scimmiottare nessuno perché sono loro che dovrebbero essere presi ad esempio. Se anche i grandi iniziano a vacillare perché temono la possibile concorrenza dei giovani (e la temono perchè cadono nella trappola di andare a far riferimento ad un pubblico che non è il loro) è una partita già persa in partenza. Giorgia ed Elisa, come tanti altri, devono continuare a guardare al loro pubblico e non a quello a cui oggi tanto tristemente si imputano, ripeto, questi scarsissimi 160 milioni di fatturato lordo>>.
C’è qualcuno che salvi del fenomeno talent show?
<<Assolutamente nessuno. Posso dire che Marco Mengoni è sicuramente un bravo artista, ma continuo a considerare il talent il vero dramma della musica italiana perché ha indotto a pensare che solo i ragazzini possono far musica e, cosa ancor più grave, solo quei ragazzini possono mentre, invece, l’Italia è piena di tante altre realtà ben più talentuose>>.
E la colpa di questo sistema è da imputare a Maria de Filippi (e soci) che propone televisivamente il talent show in televisione ormai da anni oppure dei vari discografici che pigramente si appoggiano esclusivamente a questo meccanismo di selezione?
<<Maria de Filippi è sicuramente nel proprio campo televisivo un ottima professionista: io non la guardo, ho altro di meglio da fare. I suoi talent hanno cancellato il gusto musicale, a furia di abbassarlo, in tema di novità. La colpa è soprattutto delle case discografiche che si sono fatte ammaliare da lei e dai suoi accoliti, e continuano a farlo: sbagliare è umano ma perseverare è diabolico>>.
So che ultimamente ti sei molto impegnato sul fenomeno del Festival di Sanremo: c’è realmente ancora il senso originario della sua esistenza? Soprattutto parlando di “Sanremo Giovani” pensi che possa davvero essere ancora interessante e utile per il lancio di artisti totalmente nuovi che, a mio avviso, non riescono quasi mai a farsi valere contro i molto più esposti colleghi dei talent show che rimangono in TV per mesi contro i 3 minuti sul palco dell’Ariston?
<<Io credo che il Festival sia malato di tumore ormai da tempo e che si sia spersonalizzato perché le canzoni sono divenute un pretesto per gli ascolti televisivi. I giovani di Sanremo c’è stato solo una persona che ha saputo trattarli bene anche perché, forse, le sue Nuove Proposte sono diventate i big di adesso e quella persona si chiama Pippo Baudo che, nonostante il prossimo 7 giugno compia 81 anni, dimostra ancora di essere molto più capace imprenditorialmente e musicalmente di molti altri personaggi che hanno condotto Sanremo negli ultimi 10 anni. Ritengo che il Festival vada ripensato a partire dalle sue modalità di accesso perché sono convinto che debba essere l’esatto opposto dei talent e, dunque, un punto di arrivo e non di partenza>>.
A chi affideresti Sanremo 2018?
<<A Pippo Baudo senza alcun dubbio, lo sostengo da sempre ed è giusto che sia così oltre che per un fatto di rispetto e riconoscenza anche, e soprattutto, per la sua competenza>>.
E dopo Pippo Baudo? Non c’è nessuno che potrebbe essere alla sua altezza?
<<Massimo Giletti e Fabrizio Frizzi. Se non ci fossero loro, meglio saltare un turno>>.
Dove sono quei grandi artisti della musica italiana che da grandi star ora non sentiamo più in un disco da anni malgrado continuino la loro attività? Sono la punta dell’iceberg di tutto questo cavallo di Troia che abbiamo cercato di descrivere?
<<Purtroppo si, perché sono passati dall’essere portati sul palmo di mano dalle case discografiche al non riuscire a trovare più nemmeno un semplice contratto di distribuzione sentendosi dire che la loro musica è passata, che sono vecchi e scaduti come un vasetto di yogurt. Ce ne sono tanti che sono ostacolati da una discografia astrusa, accecata ed incompetente>>.
Mi viene in mente il fenomeno Anna Oxa, ma la lista sarebbe infinita…
<<Anna Oxa è una delle grandi cantanti che abbiamo, che meriterebbe di essere trattata con grande rispetto e di tornare con un grande disco perché lei ha dato lezioni di canto a tutta Italia e può dare ancora lezione di stile a molti (giovani in primis). Abbiamo bisogno di Anna Oxa come abbiamo bisogno di Giorgia e di Elisa ma anche di Antonella Ruggiero per poter tornare a parlare di musica italiana altrimenti continueremo a parlare di rumore che strizza l’occhio a quello che sentiamo dall’estero ma che rimane comunque (e rimarrà sempre) soltanto un fastidioso rumore>>.
Nel ringraziare Maurizio Scandurra “Recensiamo Musica” rimane a disposizione per chiunque voglia controbattere e rispondere con le proprie argomentazioni e dimostrazioni su quanto dichiarato nel corso di questa intervista.
Ilario Luisetto
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