Intervista al grande autore che debutta come cantante con “Credo”
Più di 25 anni di carriera, decine e decine di canzoni scritte, migliaia di copie vendute come autore delle maggiori hit di successo degli anni ’90 e 2000. Tutto questo è Vincenzo Incenzo, storico paroliere che negli anni ha collaborato con i massimi artisti della musica leggera italiana partendo da Renato Zero e finendo a Ornella Vanoni passando per Patty Pravo, Lucio Dalla, Michele Zarrillo, Al Bano, Ron e Antonello Venditti. Da qualche settimana ha deciso di debuttare come cantautore pubblicando l’album Credo che ci ha raccontato in questa entusiasmante chiacchierata:
Eccoci qua, come stai Vincenzo? Come stai vivendo questo periodo piuttosto intenso, immagino, vista la promozione di questo tuo primo disco?
<<Sto molto bene e, come dico spesso in questi giorni, se c’era una cosa che mi mancava nell’attività estremamente gratificante dell’autore era proprio questo confronto in prima persona con la gente, il fatto di andare in giro a suonare. Già durante i primi appuntamenti promozionali per presentare il disco ho chiesto di avere dovunque un pianoforte per avere questo approccio diretto con la gente. Per me è estremamente gratificante incontrare il pubblico e suonare per loro le canzoni per così come sono state scritte, piano e voci. E’ un momento molto molto bello per me, mi mancava molto>>.
E’ un ritorno, se vogliamo, ai tuoi primi passi…
<<E’ vero, tanto tanto tempo fa iniziai a cantare al Folkstudio, un locale storico romano. Allora pensavo di fare il cantautore, invece, poi questo lavoro di autore mi ha catapultato in questi 25 anni meravigliosi senza lasciarmi mai il tempo di pensare ad altro. Adesso si è aperta questa finestra e sono molto felice>>.
Venendo, quindi, a “Credo”, il tuo primo progetto discografico come artista a tutto tondo, è un album che, come dicevi, arriva dopo tanti anni di carriera nel mondo della musica nella veste di autore. Che cosa ti ha portato a fare questo passo verso la pubblicazione di un lavoro totalmente tuo?
<<In verità questo sentimento c’era da sempre: stava un po’ lì, sotto le ceneri ma, dentro di me, lo coltivavo anche se poi avevo un po’ di pudore anche perchè temevo che si etichettasse questa svolta come una sorta di presunzione, di bulimia (ride). Parallelamente al mio lavoro di autore ho sempre scritto delle canzoni per me nella massima libertà, quando avevo davvero la necessità interiore di farlo. Erano canzoni che non volevo destinarle a nessuno, da fare per il piacere di farle. Mi sono ritrovato questo disco così. Il caso ha voluto che Renato (Zero n.d.r.) sentisse dei provini e decidesse di produrmi il disco>>.
E’ un disco che, infatti, è importante anche per la produzione curata in prima persona da Renato Zero anche in nome di quell’amicizia che vi lega da tanti anni. Com’è stato lavorare con lui sotto questo aspetto diverso?
<<Ero molto curioso di capire come sarebbe stato lavorare con Renato in questa nuova veste e devo dire che è stato lui a sorprendermi. E’ stato di un’umiltà incredibile: già il fatto che non ha voluto cambiare minimamente le canzoni dimostra tutta la sua professionalità e grandezza. E poi ha partecipato davvero in modo appassionato alla lavorazione: io l’ho trovato certe mattine in studio da solo per registrare i cori delle canzoni. Mi sono molto fidato di lui, dei suoi consigli così come lui ha fatto con me. E’ stato lui, diciamo, a togliermi dagli imbarazzi con la sua naturalezza ed umiltà>>.
Nel corso della tua lunga carriera come autore ti sei dedicato tante volte alla musica ma anche ad altre forme d’arte partendo dal cinema e arrivando fino alla letteratura. Che ruolo ha la musica oggi per te dopo così tanti anni di “frequentazione”?
<<Io credo che sia tornata ad essere centrale: mi sento di nuovo a fuoco anche se tutto quello che ho fatto è stato sempre fortemente voluto. Credo, però, che sono state tutte esperienze che hanno contribuito a fortificare questo mio amore per la musica e anche per questo disco a cui sono arrivato con una maturità specifica>>.
C’è all’interno di questo album una canzone che più di altre ti rappresenta, a cui più sei legato?
<<Si, ce ne è una in particolare e che, forse, è anche quella che ha determinato la realizzazione di tutto questo progetto coinvolgendo davvero fino in fondo anche lo stesso Renato. Questa canzone è “Il primo giorno dell’estate”, una canzone che mi rispecchia profondamente. Questo è un disco diviso a metà: da una parte c’è una parte più emozionale e sentimentale, dall’altra c’è un’analisi molto appassionata rispetto al sociale e alla politica. Anche per questo, forse, il progetto è piaciuto così tanto a Renato che, parole sue, ha sempre detto che in questo disco c’è “lo strappo e la riconciliazione”. C’è un’anima arrabbiata sui grandi temi sociali e c’è quella più intima su quelli personali. Quella canzone, però, è davvero il passepartout per l’emotività di entrambi e per la realizzazione di tutto il progetto>>.
So che fin da piccolissimo, anche grazie alla tua famiglia di musicisti, ti sei dedicato alla musica con passione e dedizione. Tornassi indietro, c’è qualcosa che avresti voluto fare in modo diverso?
<<Sono contento del mio percorso ma se tornassi indietro avrei studiato da subito, fin da quando avevo 5 anni, uno strumento perchè poi è stato molto faticoso recuperare. Ho avuto un padre musicista, un luminare della musica classica che è stato per tanti anni nell’orchestra di Santa Cecilia ma non mi ha mai favorito sul piano musicale. Lui non voleva che io studiassi musica, avrebbe preferito che io facessi altro. Io mi sono allontanato dalla mia situazione famigliare per riuscire a studiare musica e sono finito a studiare al Dams di Bologna anche per entrare in contatto con la generazione di artisti che nascevano in quegli anni: gli Stadio, Luca Carboni… Il mio è stato un percorso un po’ a recuperare ma, forse, è stato necessario anche questo tipo di sacrificio per testare davvero la volontà di fare questo mestiere>>.
Il tuo nome è inesorabilmente legato anche al Festival di Sanremo dove, come autore, vanti ben 11 partecipazioni. La prima arrivò nel 1992 affianco a Michele Zarrillo con una canzone intitolata “Le strade di Roma”. Come ricordi quell’esordio su quel palco?
<<E’ stato un momento molto importante perchè è stata la prima verifica per me che quasi contemporaneamente avevo incontrato artisticamente Zarrillo. Si può dire che sono passato dal dilettantismo alla professione proprio con quel Sanremo. Tra l’altro quel disco era prodotto da Antonello Venditti per cui ci sono stati da subito dei segnali molto forti per me che entravo in un mondo completamente nuovo rispetto ai locali romani dove andavo a suonare. Dalla mia confort zone passavo ad una sovraesposizione che i Sanremo di quegli anni di Baudo sapevano dare in un istante. E’ stato un cambio radicale, quasi violento e traumatico direi nel suo impatto. E’ stata anche la mia fortuna per me perchè, rispetto a tanti autori che magari fanno questo lavoro bene quanto lo possa aver fatto io, ho avuto la fortuna di essere visibile da subito perchè Baudo mi nominava sempre appassionandosi anche alle mie canzoni rispetto a quelle su cui, talvolta, puntavano le case discografiche>>.
Ecco, Michele Zarillo, la produzione di Antonello Venditti, lo stesso titolo di quella canzone d’esordio sul palco dell’Ariston… tutto porta a Roma: quant’è importante per te, per la tua musica e, forse, anche per questo tuo album la tua città?
<<E’ importante perchè molte volte mi ha offerto, come dire, la location dove scrivere: spesso mi sono trovato delle zone dove andare la sera soprattutto. Io ho un angolo particolare a Roma vicino a Castel Sant’Angelo dove spesso la sera vado e prendo appunti perchè è una posizione molto privilegiata, lontana dal traffico e dalla confusione. Poi la città durante il giorno, purtroppo, quasi si trasforma e mostra tutte le sue lacune che in questo momento ha. C’è, però, una memoria positiva di questa città che ciascuno sovrappone anche se oggi non è più bella come un tempo. Sicuramente Roma mi ha suggerito delle storie e delle emozioni, però, io sono uno che ama molto viaggiare e anche all’estero trovo ispirazione. Sono molto legato al viaggio: per me il treno, lo stare in movimento rappresenta la fonte d’ispirazione massima>>.
Per concludere questa nostra chiacchierata volevo fare insieme a te una breve carrellata dei tuoi successi come autore e magari raccontare un aneddoto rispetto al momento in cui hai scritto i vari brani o all’artista che li ha cantati. E, ovviamente, non possiamo non partite da “Cinque giorni” che Michele Zarrillo porta al Festival di Sanremo nel 1994
<<“Cinque giorni” è stato un pezzo fondamentale, è una canzone fortemente voluta a Sanremo da Pippo Baudo che la preferì ad un’altra canzone proposta dalla casa discografica di Zarrillo. E’ una canzone che mi ha fatto capire che pescare nella realtà i temi delle canzoni è la sempre la cosa migliore. Questo brano è la cronaca di un mio amore finito: cinque giorni dopo la chiusura di quella storia io ho scritto questa canzone (il 5 gennaio). Da allora non mi sono più staccato dalla voglia di raccontare la realtà anche perchè credo che se si coglie momenti autentici e sinceri ci sono sempre più possibilità di emozionare ed arrivare al pubblico. Dopo che scrissi questo testo chiesi a Michele di farmi ascoltare una melodia che lui aveva scritto e che non lo convinceva appieno perchè la trovava antica e, invece, si sovrapponevano perfettamente>>.
Mentre, invece, il proseguo del percorso affianco a Michele Zarrillo passa anche attraverso “L’elefante e la farfalla”
<<Una canzone, questa, che è partita un po’ in punta di piedi (arrivammo 11° a Sanremo) ma è, poi, rimasta nel tempo e anche per questo l’ho inserita nel mio album. Sono molto felice di quel testo perchè per me è stato l’esempio più alto di sintesi: descrivere in poche parole un tema su cui volevo ragionare da tempo e cioè l’impossibilità di vivere l’amore che, poi, diventa anche metafora di tanti altri temi sociali. E’ una canzone a cui sono legatissimo perchè rappresenta davvero quello che sentivo: non c’è nessuna scollatura tra il sentimento e la scrittura>>.
Un altro brano particolarmente importante è “Il passo silenzioso della neve” che ci consente anche di ricordare Valentina Giovagnini che nel 2002 portò questo brano a Sanremo
<<Eh… Quello fu un momento bellissimo. Noi arrivammo al Festival con questa ragazzina e la sua unica forza senza poter contare su alcun altro tipo di supporto. Da subito ci fu un consenso incredibile che si esaltò durante il Festival quando tutta la giuria le diede 10. Era fusione perfetta fra l’artista e la canzone. Credo che davvero lei avrebbe potuto fare un percorso artistico incredibile in Italia ma credo che abbia lasciato, con questo suo piccolo passaggio, una traccia importante per la musica. Molte altre artiste hanno usato il suo linguaggio, hanno mischiato l’elettronica con gli strumenti tradizionali… E’ un momento che ricordiamo sempre con grande affetto e che ogni anno viene celebrato con un concorso a lei dedicato>>.
Venendo a tempi più recenti, nel 2007 Al Bano cantò “Nel perdono”, un brano che ti vedeva collaborare affianco a Renato Zero. Anche quel brano è una canzone importante anche sotto una lettura sociale
<<Si, è vero. Rimasi molto felice del fatto che Renato mi avesse chiamato per completare un testo che poteva ultimare benissimo da solo. E, invece, questa fiducia che mi diede mi ha inorgoglito. Lui cercava delle immagini per rappresentare questo messaggio spirituale e sociale allo stesso tempo ed insieme abbiamo cercato forme anche molto vicine all’umanità di Al Bano per raccontare sotto una luce velata tante cose della società di oggi, della fatica dei rapporti tra padre e figlia, della solitudine in mezzo a tanta gente come diceva Tenco>>.
Ho scelto, per quanto riguarda le tante collaborazioni insieme a Renato Zero, “L’impossibile vivere”, il primo brano che vi vide collaborare
<<E’ sicuramente la canzone più importante per me. E’ stata la prima tra quelle scritte per Renato e quella che ha permesso di realizzare tutte le altre. Renato mi convocò a casa sua, non ci conoscevamo ancora bene, ci eravamo visti soltanto una volta a casa di Venditti. Lui mi ha letteralmente chiuso in una stanza con una musica di Maurizio Fabrizio e mi ha detto “ci vediamo fra un paio d’ore: fatti venire delle idee”. Io ero pieno di paure ma la musica era così bella che suggeriva bellissime emozioni e in quelle ore scrissi parecchi testi ma Renato rimase colpito da una frase in particolare: “da un balcone impossibile vedo gli alberi crescere”. Lui mi disse “scriviamo “da un balcone improbabile” così la canzone la chiamiamo “L’impossibile vivere””. Mezz’ora dopo eravamo al piano di sotto della sua abitazione a registrare la canzone: lui la lesse e l’ha cantata una volta e quella versione finì nel disco. E’ stato un pomeriggio indimenticabile>>.
Per chiudere, il futuro lo vedi come autore o come interprete di te stesso?
<<Io credo che sono due viaggi che possono andare in parallelo: mi piacerebbe continuare questo percorso come cantautore perchè mi sono reso conto che tante cose non si possono consegnare ad altri non perchè siano più o meno importanti ma perchè sono più personali. Al centro, però, rimane sempre questo grande desiderio della comunicazione: l’importante è comunicare, lo si faccia in un modo o in un altro>>.
Ilario Luisetto
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