sabato 23 Novembre 2024

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Sanremo Giovani, conosciamo meglio La Zero – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista campana, in gara tra i ventiquattro finalisti con il brano “Nina è brava”

 La Zero Nina è bravaE’ un’artista poliedrica Manuela Zero, meglio conosciuta con lo pseudonimo di La Zero, cantautrice selezionata tra i ventiquattro talenti emergenti di Sanremo Giovani, contest musicale che andrà in onda giovedì 20 e venerdì 21 dicembre in prima serata su Rai Uno. “Nina è brava” è il titolo del pezzo che racconta la storia di una bambina, affrontando la delicata tematica della condizione minorile in carcere. Un brano intenso ed emozionante, dalla struttura non convenzionale, firmato insieme a Francesco Morettini, Emiliano Palmieri, Luca Angelosanti e Giorgia Facchini. Canto, recitazione e danza sono soltanto alcune delle tante passioni, scopriamole insieme approfondendo la sua conoscenza.

Ciao Manuela, partiamo da “Nina è brava”, brano con cui parteciperai alla finalissima di Sanremo Giovani, com’è nato e cosa hai voluto raccontare?

«Nasce dall’esigenza di portare me stessa e la mia verità alla gente. L’ispirazione parte da una sceneggiatura inedita di Gianluca Della Monica, che mi ha aperto gli occhi su un argomento che purtroppo non conoscevo così approfonditamente e che mi ha colpito in maniera particolare, vale a dire il tema della condizione minorile in carcere. Mi sono lasciata andare alla composizione, l’idea di partecipare a Sanremo è arrivata soltanto dopo, con la mia squadra ci siamo resi conto che poteva essere una giusta occasione per dare visibilità a questo argomento così importante. Tutto il mio progetto musicale ruota attorno alla volontà di espormi con coraggio e la massima trasparenza, “Nina è brava” non è altro che l’inizio di quello che credo sia un percorso interessante».

A livello musicale, invece, quali sonorità avete scelto per sottolineare l’intensità di un testo così delicato e profondo? 

«La scelta musicale è orientata a mettere le parole in primo piano, i produttori Francesco Morettini Emiliano Palmieri sono riusciti a donare la giusta sonorità che, in realtà, non saprei definirti in un genere. Ho cercato di trasmettere un certo tipo di teatralità, ma con estrema onestà, senza filtri. Credo che oggi manchi nella musica italiana un po’ più di cura nelle parole e nel modo di interpretarle, Per me è fondamentale portare sul palco una performance che possa arrivare con tipi di linguaggio diversi, ad esempio anche quello del corpo, non soltanto con la voce».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip?

«Il videoclip lo abbiamo girato con un iPhone, è costato quindici euro (sorride, ndr), abbiamo messo un cartoncino nero al muro e ho semplicemente interpretato il pezzo cercando di immedesimarmi in quello che poteva provare una bambina in quella determinata circostanza. Non è servito altro, secondo me questa canzone non ha bisogno di molto per esprimere il suo significato, le parole sono già forti e importanti, non avevo voglia di fare grandi cose, in realtà non volevo nemmeno metterci la mia faccia, ma essendo una clip di presentazione al vaglio della commissione mi hanno “costretto” a partecipare».

Avete pensato a un docu-film, un qualcosa che possa sviluppare ancora di più la tematica affrontata nella canzone?

«Mi piacerebbe davvero molto, archiviata l’esperienza sanremese vorrei concentrarmi proprio su questo, perché credo sia importante fare le cose bene. Innanzitutto vorrei riuscire a cantare questo brano in un carcere femminile, anche perché mi sono arrivate delle immagini importanti di situazioni reali da parte di associazioni tipo Made in Carcere. Appena avrò il tempo mi dedicherò a tutte queste cose, realizzando anche un videoclip ufficiale per rappresentare ancora meglio il senso di questa canzone».

Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando hai scoperto la passione per la musica?

«Da sempre, ho cominciato come ballerina al San Carlo di Napoli ma, contemporaneamente, ho studiato pianoforte, quindi, la danza e la musica hanno accompagnato la mia vita. In più ho scritto tanto, evolvendomi piano piano, fino ad arrivare alla consapevolezza che ho oggi, a questo progetto che mi rappresenta pienamente, sono fiera del mio percorso, al di là di come andrà. Posso solo dire che ci metto il cuore e che sono napoletana, per cui la “cazzimma” è fondamentale (sorride, ndr)».

Canto, teatro e recitazione, in un’epoca in cui c’è tanta improvvisazione in giro e poca attenzione allo studio, come riesci a conciliare queste tre diverse forme d’arte? 

«Guarda, personalmente ho studiato moltissimo nella mia vita, ho fatto tanta gavetta, purtroppo non riesco ancora a conciliare come vorrei perché è veramente complicato, nonostante io sia una stakanovista. Hai ragione, oggi c’è troppa improvvisazione, credo che lo studio sia fondamentale, l’improvvisazione è veramente terribile perché rende tutto poco poetico ed è un vero peccato, perchè ci sono un sacco di persone che si impegnano portando avanti con qualità e talento il proprio mestiere, mostrando anche una certa poliedricità. In Italia non si riesce a percepire l’artista a 360 gradi, lo si definisce come una mancanza di bravura e di idee chiare, un voler fare un po’ di tutto, ma perchè? L’importante è farlo bene. Non parlo di me in prima persona, ma in generale noto questo atteggiamento e l’idea sbagliata che se fai teatro non puoi fare cinema, se fai cinema non puoi fare musica, siamo davvero indietro, c’è bisogno di elasticità e dovremmo essere tutti un po’ più morbidi».

ll regolamento di quest’anno prevede per la prima volta, in caso di vittoria, la possibilità di accedere al Festival il prossimo febbraio. Qual è stato il tuo ragionamento sul brano da presentare a Sanremo Giovani e quello da “tenere nel cassetto”?

«Tra i brani che faranno parte del mio progetto musicale “Nina è brava” è sicuramente quello meno discografico, ti dico la verità, ho fatto semplicemente un ragionamento di cuore perché ogni volta che lo canto mi emoziono. Alcune persone mi hanno detto che la mia è stata una scelta furba, in realtà credo sia un brano molto complicato, portare questo genere di canzoni facilmente fraintendibili è sempre un’arma a doppio taglio, ci vuole coraggio ad esporsi con un pezzo del genere. Oggi ho la maturità per poter affrontare un tema così importante, sono tranquilla e ho la coscienza più che pulita. Il brano che ho proposto nel caso di un mio passaggio è diverso, molto forte, ma non riesco a fare un paragone. Il mio disco parlerà di tante meraviglie, questo brano vuole sottolineare la meraviglia dei bambini, non è di denuncia sociale, ma racconta semplicemente una storia».

Al di là della vittoria e della conseguente possibilità di calcare il palco dell’Ariston, quale sarebbe per te il riconoscimento più importante?

«Far uscire la mia musica e metterla in risalto su un palco così importante, riuscire ad arrivare alle persone con la giusta percezione di quella che sono e di ciò che canto. La vera vittoria sarebbe quella di dare vita al mio percorso da cantautrice, avere la possibilità di farmi conoscere e incuriosire le persone su quello che è il mio progetto, a cui tengo davvero molto. Se sono qui oggi mi sento in dovere di ringraziare la mia famiglia, ti va se ti racconto una storia prima di salutarci?».

Me lo chiedi pure? Certo!

«Mia padre era un pescatore, quando ero piccola mi portava con lui sulla sua barca e mi raccontava la storia dei pesci che parlano, ti giuro che è una cosa vera. Io sono cresciuta con questa convenzione, con una linea sottile tra realtà e fantasia, sviluppando la capacità di credere nelle cose, anche quelle più imprevedibili e meno scontate. È complicato mantenere intatto dentro di noi un pezzo della nostra infanzia, ma credo sia fondamentale conservare quel tipo di purezza e di verità che hanno soltanto i bambini. La mia musica nasce dalla mia vita e parte tutto da lì. dalle mie origini, dal modo in cui i miei genitori mi hanno trasmesso magia, incanto e meraviglia». 

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.