A tu per tu con la cantautrice palermitana, negli store dal 25 gennaio con il nuovo album “Bianco”
Artista fino al midollo Marian Trapassi, in uscita con il suo quinto progetto discografico intitolato “Bianco”, un album che in qualche modo segna l’inizio di un nuovo percorso, sempre all’insegna della spontaneità. Segue l’istinto la cantautrice siciliana, lo fa raccontandosi parlando molto di sé e di quello che c’è intorno, descrivendo una realtà fatta di immagini e colori attraverso i suoni.
Ciao Marian, benvenuta su RecensiamoMusica. Partiamo da “Bianco”, il tuo quinto lavoro in studio, com’è nato e cosa rappresenta per te?
«E’ nato in modo molto spontaneo e naturale, si differenzia molto dal precedente “Bellavita”, più vicino al teatro-canzone. La scrittura ha preso piano piano tutta un’altra direzione, ma lo spirito e il modo di raccontare sono diversi. Negli ultimi due anni ho scritto tanto, fino a quando mi sono resa conto che ero sulla strada giusta, così ho seguito l’ispirazione come una sorta di urgenza comunicativa».
Chi ha collaborato con te in questo progetto?
«In primis il mio produttore Paolo Iafelice, che ha concepito gli arrangiamenti e il sound dell’intero disco, e la mia etichetta Adesiva Discografica. Poi, ovviamente, ogni musicista che ha suonato è riuscito messo del suo, dal chitarrista Osvaldo Di Dio al bassista Andrea Viti, passando per il batterista Nik Taccori, il trombettista Raffaele Kohler, il pianista Giaso Cancellieri e molti altri. E’ un disco molto complesso e suonato con strumenti veri, con un suono unico e riconoscibile».
Per quanto riguarda le tematiche, invece, cosa hai voluto raccontare?
«Da tutta la vita cerco di sposare un linguaggio che sia apparentemente molto semplice, ma che nasconda altri significati, celando tra le righe qualcosa di più profondo. Alcuni brani sono delle storie, con dei messaggi e delle riflessioni anche personali, mentre altri pezzi parlano di me in maniera chiara e molto evidente, mi riferisco al brano dedicato a mio padre ed a quello rivolto a mia madre».
“Blu” è il titolo del terzo singolo estratto che accompagna l’uscita dell’album, cosa racconta?
«Sono molto legata ai colori, forse perché sono una grande appassionata delle immagini avendo studiato all’Accademia delle Belle Arti nella mia Palermo. “Blu” è la storia di una trasformazione, della voglia di riprendersi la propria indipendenza dopo una storia andata male. Ho scelto questo colore per rappresentare una sorta di rinascita, perché rimanda al mare, al cielo e in qualche modo all’infinito, all’equilibrio e alla spiritualità, caratteristiche che mi appartengono».
A proposito di immagini, cosa avete voluto trasmettere attraverso il videoclip diretto da Alessandro Cracolici?
«Lui è un ragazzo fantastico, ha soltanto vent’anni e ha manifestato con determinazione la voglia di realizzare questo video. Gli ho dato la mia fiducia e lui ha realizzato questo piccolo cortometraggio, raccontando la storia di una donna che riprende la propria autonomia dopo un amore finito, un po’ come una sirena che si immerge in questo blu per poi rinascere».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«In assoluto per primi i Beatles, da bambina ascoltavo i loro 45 giri. Nel tempo ho ascoltato sempre musica non adatta alla mia età, dai Pink Floyd ai Led Zeppelin, dai Genesis a tutto il rock degli anni ’70 io lo masticavo quando ero ancora piccola. In tal senso mi ha aperto e formato molto la realtà della mia città, Palermo è molto attenta al jazz, per poi avvicinarmi alle cantautrici internazionali. In questo disco c’è un po’ di tutto, non mi sono preoccupata della direzione in cui stesse andando, ho cercato di inserire un po’ tutto quello che è stato il mio bagaglio musicale».
Quanto è importante, secondo te, approfondire la conoscenza del nostro passato per poter comprendere al meglio l’attuale situazione musicale?
«Per chi non ha la fortuna di vivere in un ambiente che ti porta a contatto con un certo tipo di musica, è tutto molto più difficile. Oggi come oggi è un deficit che può essere colmato dalla rete, perché Spotify ti permette di avere a portata di mano un universo di cose meravigliose. Reputo la rete un ottimo strumento che, se saputo usare bene, ti permette di viaggiare in posti inesplorati e di conoscere cose straordinarie. Bisogna saper andare oltre ciò che ci propinano oggi, in maniera anche abbastanza violenta, perché la musica è davvero dappertutto, siamo bombardati da quello che vogliono gli altri, mentre l’arte va saputa scegliere in base alla propria sensibilità e al proprio gusto».
Secondo te, oggi come oggi, il pubblico ha davvero in mano le redini del mercato discografico?
«Non credo, prima il pubblico sceglieva realmente, mentre oggi subisce. I veri appassionati continuano a comprarsi il vinile, ma c’è un mercato e un sottomercato. Forse ne stiamo parlando anche troppo, nessuno ha una reale soluzione. Secondo me questo sistema prima o poi scoppierà, ci sarà presto una fine e il vero lusso sarà il silenzio».
Per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico attraverso la tua musica?
«L’autenticità. la sincerità di guardarsi dentro e non lasciarsi influenzare dal resto, approfondire se stessi e le cose che ci capitano senza alcuna forma di giudizio, andando in fondo alle cose».
Nico Donvito
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