venerdì 22 Novembre 2024

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Sanremo 2019, le prime impressioni dei brani in gara

L’analisi delle ventiquattro canzoni protagoniste della 69esima edizione della nota kermesse canora

Francesco Renga – Aspetto che torni
di Bungaro – C. Chiodo – Rakele – F. Renga – G. Runco

Classico ma non troppo Francesco Renga, la sua è una bella canzone d’amore, forse meno immediata di altre sue proposte, ma valida e potenzialmente un suo prossimo evergreen. Gli ingredienti emotivi ci sono tutti, forse troppi viste alcune imprecisioni vocali in questa sua prima esibizione, strano per un artista come lui alla sua ottava partecipazione, ma queste testimonia una grande umanità, sempre piacevole da ritrovare anche a certi altissimi livelli.

Nino D’Angelo e Livio Cori – Un’altra luce
di N. D’Angelo – L. Cori – F. Fogliano – M. Dagani

Un pezzo di storia della musica italiana a confronto con il nuovo che avanza, paradossalmente risulta più convincente il secondo, al suo esordio sul palco dell’Ariston. Il brano è da ascoltare e riascoltare più volte, sicuramente un pezzo che non ti aspetti dalla strana e curiosa coppia partenopea. Anche qui qualche imprecisione giocata dall’emozione, sicuramente un pezzo all’altezza della situazione, commuovono la dolcezza e la raffinatezza con cui i due artisti spalleggiano vocalmente.

Nek – Mi farò trovare pronto
di L. Chiaravalli – P. Antonacci – F. Neviani

Un pezzo che per certi versi appare rivoluzionario e per altri mostra un lato un po’ più rock dell’artista emiliano, anche lui non precisissimo vocalmente, a questo punto si auspicano problemi di audio, viste le performance calanti a livello collettivo, almeno fino ad ora. Chi si aspettava una “Fatti avanti amore” 2.0 è rimasto piacevolmente sorpreso, Nek torna a Sanremo per lasciare il segno, dalla sua parte ha la grinta e un testo decisamente accattivante.

The Zen Circus – L’amore è una dittatura
di A. Appino – G. P. Cuccuru – M. Schiavelli

Gli Zen Circus propongono un brano senza un inciso predominante, un esperimento interessante e parecchio coraggioso  che nessuno in sessantanove anni aveva mai proposto su questo palco. Si presentano al grande pubblico senza snaturare il proprio stile, pur portando in gara un pezzo poco immediato, pieno di parole in un crescendo di musica suonata, ma forse le nostre orecchie non sono più abituate a certe sonorità analogiche.

Il Volo – Musica che resta
di G. Nannini – E. Munda – P. Romitelli – P. Mammaro – A. Carozza G.

Registro meno lirico rispetto al passato, ma vocalità sempre notevoli e impressionati. Un brano che ti entra in testa già dal primo ascolto, la loro presenza nobilita la gara e spaccherà come sempre il pubblico, tra fan e detrattori. I tre ragazzi sono cresciuti e la standing ovation se la meritano tutta, perché hanno scelto di mettersi in gioco e di uscire fuori dalla propria zona di comfort, pur sapendo che all’estero li avrebbero preferiti più classici.

Loredana Bertè – Cosa ti aspetti da me
di G. Curreri – P. Romitelli – G. Pulli

Una Loredana appassionata e più rock che mai, con il pezzo giusto e un atteggiamento positivo ritrovato. La vittoria più grande è vederla con tutta questa vita in gola, con un entusiasmo che per anni aveva apparentemente perso. Un brano d’autore e di spessore, di quelli che da tempo mancavano al suo repertorio. Una canzone matura, un’intonazione equilibrata e consapevole, a tratti commuovente. Seconda standing ovation.

Daniele Silvestri – Argento vivo
di D.Silvestri – T. Iurcich – F. Rondanini – M.Agnelli

Rappa e spiazza gran parte del pubblico che si aspettava qualcosa di diverso e, forse, meno estroso. Sembra essere tornato indietro ai tempi de “L’uomo col megafono” e “Aria”, ottimo l’innesto di Rancore che dona al pezzo un senso ancora più profondo, che va oltre il bel testo. In due il brano prende forma e si dirige verso qualcosa di molto attuale, pur non avendo inventato nulla di nuovo. Silvestri non ripete se stesso, proprio come Paganini.

Federica Carta e Shade – Senza farlo apposta
di Shade – J. Ettorre – G. Roggia

Debuttano all’Ariston i due giovani promettenti Shade e Federica Carta, il loro è un connubio giù rodato che trova un ulteriore upgrade artistico rispetto alla loro hit “Irraggiungibile”. Certo, il pubblico al quale si rivolge è chiaro e avere un target ben definito è sempre un bel vantaggio, Un testo un filino più maturo, con meno riferimenti al mondo teen e più riflessioni di carattere universale sulla galassia sentimentale. Senza farlo apposta funziona.

Ultimo – I tuoi particolari
di N. Moriconi

La voce di Niccolò è uno strumento preciso e perfettamente armonico, il suo carisma interpretativo commuove e colpisce sin dal primo ascolto. La canzone è un compitino perfetto per convincere e stravincere, manca uno special convincente sul finale, ma forse non serviva fare di più. L’intuizione di iniziare il brano al pianoforte regala valore aggiunto all’intera performance, che cresce fino ad esplodere in un crescendo di coinvolgenti emozioni. Efficace quanto basta.

Paola Turci – L’ultimo ostacolo
di P. Turci – L. Chiaravalli – S. Marletta – E. Roberts

Piacevole ritorno per Paola Turci, al suo undicesimo Festival con un brano intimo e potente, un mosaico di sensazioni contrastanti, di meno impatto rispetto a “Fatti bella per te”.  Il pezzo c’è, ma forse è poco adatto alle corde della cantautrice romana, un po’ affaticata in questa prima prova live. La canzone è comunque valida, con l’orchestra prende il volo ed è perfetta per il palco dell’Ariston. Tradizionalmente azzeccata, da riascoltare.

Motta – Dov’è l’Italia
di F. Motta

Esordio interessante per Francesco Motta, il suo stile non scende a compromessi con il prestigio e la tradizione della manifestazione, portando sonorità urbane e folk, sincere ma insolite per il palco dell’Ariston. Il cantautore toscano strizza l’occhio al sociale senza essere necessariamente scontato o politicamente scorretto. portando la sua istintività artistica e la naturalezza che lo hanno reso una scheggia impazzita nel panorama musicale.

Boomdabash – Per un milione
di F. Abbate – R. Pagliarulo – Cheope – A. Cisternino – Takagi – Ketra

Il tormentone è servito, nonostante l’estate non sia propriamente alle porte. Esecuzione semplicemente perfetta per questo interessante esordio della band salentina, completamente a proprio agio con questo sound che si amalgama alle parole, senza sfociare in alcun modo in nessun luogo comune. Gli elementi per spopolare ci sono tutti, dalla semplicità alla ripetività, intesa come aspetto positivo e passaporto per una bella vacanza in una meta esotica.

Patty Pravo con Briga – Un po’ come la vita
di M. Rettani – D. Calvetti – S. Vallarino – M. Bellegrandi – L. Leonori

Da corale a “core a core” il passo è breve. Per dirla alla Strambelli una “pazza idea”, musicalmente riuscita. Due mondi che si incrociano senza scontrarsi, che danno vita ad un’inedita accoppiata generazionale, riuscita e ben assortita. La classe di Patty abbracciano la carica di Briga, creando una miscela inaspettata che sfocia in un susseguirsi di versi che indagano sulla nostra intera esistenza, in un’interessante connubio tra parlato e melodia.

Simone Cristicchi – Abbi cura di me
di S. Cristicchi – N. Brunialti – G. Ortenzi

Pezzo difficile e per certi versi coraggioso, anche per un palco che lo ha visto trionfare dodici anni fa con “Ti regalerò una rosa”. Cristicchi torna sul luogo del delitto con una canzone struggente e poco orecchiabile, sussurrata dall’inizio alla fine, cantata solamente in alcuni punti, per dare spazio alle sue notevoli doti recitative, forse poco conosciute al grande pubblico. Per alcuni sarà una sorpresa, per altri una piacevole e suggestiva conferma.

Achille Lauro – Rolls Royce
di L. De Marinis – D. Petrella – D. Dezi – D. Mungai – E. Manozzi

Nulla da eccepire sull’arrangiamento e sulla produzione del brano, davvero di ottima fattura, ma la sua presenza non convince nemmeno dopo l’ascolto. Sarà pure dissacrante e catalizzerà l’attenzione delle radio, ma il testo cosa dice? Quali valori esprime? A parte sponsorizzare una nota casa automobilistica. Fa muovere le mani, muovere il piedino a tempo e sculettare, ma niente di più. A questo punto era meglio se portava qualcosa di fedele al suo percorso.

Arisa – Mi sento bene
di M. Buzzanca – L. Vizzini – R. Pippa

La voce c’è, più unica che rara, ma il pezzo? E’ una sequela di mah, un’incetta di boh e un tripudio di mhmm. Una canzone che comincia in un modo, poi diventa un’altra roba, per poi trasformarsi ancora e tornare all’inizio. Ma questa cosa non era già stata fatta dagli Elio e le storie tese tre anni fa con “Vincere l’odio”?. Da un’ugola aggraziata ed elegante come la sua ci si aspetta un pezzo che sia all’altezza della situazione, non una canzone borderline che non va in nessuna direzione.

Negrita – I ragazzi stanno bene
di P. Bruni – C. Petricich – E. Salvi – F. Barbacci – L. Cilembrini

Nel complesso azzeccata, giusta e rappresentativa di un percorso lungo venticinque anni di carriera. Tornano sul palco dell’Ariston a sedici anni dalla loro unica e poco fortunata partecipazione i Negrita, lo fanno in modo riconoscibile, consapevole e decisamente più maturo rispetto al passato. Il loro è un inno alla vita e alla voglia di non rendere vano alcun momento della nostra esistenza. Insomma, i ragazzi stanno bene e ci sanno pure fare.

Ghemon – Rose viola
di G. L. Picariello – S. Tognini

Piacevole debutto in riviera per uno dei più interessanti cantautorap della scena musicale italiana, capace di alternare liriche soul alla ritmica tipica dell’hip hop. Il risultato? Qualcosa di molto vicino agli anni ’90, molto radiofonico e perfettamente collocabile nell’attuale contesto discografico. Poco perfetta l’esecuzione, ma concediamo anche a lui il bonus del riascolto. A salvare la performance è decisamente il buon flow tipico dell’artista campano.

Einar Parole nuove
di A. Maiello – E. Palmosi – N. Marotta

Sarò un nostalgico, ma la melodia in questo Festival un po’ manca, per questo motivo il pezzo risulta apprezzabile nonostante non proponga nulla di nuovo o di ultramoderno. Interessanti le sonorità elettroniche che fanno da tappeto all’inciso, orecchiabile sin dal primo ascolto. Ben vengano brani di questo genere, in grado di riportare l’attenzione su contenuti positivi e su quel pop all’italiana che ci ha regalato numerose soddisfazioni fino a qualche decennio fa.

Ex-Otago – Solo una canzone
di M. Carucci – S. Bertuccini – F. Bacci – O. Martellacci

La zeppola e la struttura della canzone ricordano un po’ troppo un Jovanotti prima maniera, quello scanzonato e innamorato della notte. Il pezzo rimane e convince alla prima esecuzione, senza stancare. Se sei pop ti tirano le pietre, se sei indie ti tirano le rose. Potrebbe essere questo lo slogan giusto per raccontare l’esordio sanremese degli Ex-Otago, positivo anche se sarebbe interessante ascoltare questo pezzo cantato con un pizzico in più di pathos.

Anna Tatangelo – Le nostre anime di notte
di L. Vizzini

Un bella canzone d’amore, come nella migliore delle tradizioni sanremesi, che stona con tutto il resto, ma forse proprio per questo regala qualcosa in più, esattamente quello che si si aspetta da Anna Tatangelo.  Si parla della perdita di complicità, degli stati d’animo tipici di una crisi di coppia e di tutte quelle dinamiche che toccano la sfera privata di ognuno di noi. Alla sua ottava presenza all’Ariston l’ex “Ragazza di periferia” è diventata consapevolmente una donna.

Irama –La ragazza con il cuore di latta
di F. M. Fanti – G. Colonnelli – G. Nenna – A. Debernardi

Il ragazzo con l’orecchino di piuma è cresciuto e torna al Festival raccontando la storia di una ragazza con il cuore di latta di nome Linda, sedicenne vittima di abusi da parte del padre, afflitta dalla paura di provare emozioni ed essere felice. Colpisce nel segno l’intuizione del coro gospel, che dona al pezzo la spinta giusta, quella marcia in più per toccare maggiormente le corde sensibili della nostra anima e puntare alla vittoria.

Enrico Nigiotti – Nonno Hollywood
di E. Nigiotti

Toccante la lettera che Enrico Nigiotti indirizza al nonno recentemente volato in cielo ma, si sà, le canzoni sono la corrispondenza migliore per emozionare e raggiungere i posti più sconfinati. Archi e parole si intrecciano in un arcobaleno di ricordi, emozioni delicate che esprimono valori di oggi e di ieri, attraverso l’acuta e indubbia capacità di scrittura del cantautore toscano, veritiero e verace con il suo inconfondibile carisma da poeta urbano.

Mahmood – Soldi
di A. Mahmoud – Dardust – Charlie Charles

Insolito e proprio per questo motivo convincente, poiché privo di sovrastrutture sanremesi il brano che riporta al Festival l’inconfondibile stile di Alessandro Mahmood, attuale, anzi attualissimo, una retrospettiva nitida e ben riuscita sul panorama musicale e sociale di oggi, scatti di umanità vissuta prima di essere raccontata. Sentimenti contrapposti agli interessi economici, uno spaccato di come va il mondo oggi, con riferimenti al consumismo tipico dell’attuale comunità.

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.