Il rapper si è presentato per la prima volta al Festival con un brano che ha diviso il pubblico e la critica
Ci sono artisti che amano mantenere il proprio stile intatto, che non si scompongono, che continuano sulla stessa linea per anni e anni portando a casa ottimi risultati: sono artisti ai quali piace identificarsi in un genere e dentro ad uno stile preciso e riconoscibile, personalità che scelgono il bianco o il nero e difficilmente da lì si spostano. E poi ci sono artisti che amano stare nel grigio, che odiano identificarsi entro paletti precisi: mischiano, sperimentano, giocano e si ibridano con quello che passa o anche con quello che è passato, tralasciando genere, stile e influenze.
Ecco, a questa seconda categoria appartiene senza dubbio Lauro De Marinis, più noto come Achille Lauro, rapper romano classe 1990, approdato quest’anno per la prima volta al Festival di Sanremo con il brano Rolls Royce. Quella di Lauro in realtà, come era facilmente prevedibile, è stata tutt’altro che una settimana tranquilla: tra accuse di plagio, denigrazioni totalmente esterne alla musica e dissing con tanto di tapiro da Striscia la Notizia, il fatto che sia arrivato alla fine dell’avventura vivo e vegeto, già può essere considerato un grosso traguardo.
La storia di Achille Lauro parte da lontano, anni di gavetta e di underground prima di sfondare grazie all’appoggio dell’etichetta Roccia Music di Marracash, da lì tanti dischi e tanti progetti dagli stili sempre differenti, esempio perfetto l’ultimo album Puor l’amour, incentrato su sonorità accese da club e “samba trap”. Per questo ad ogni nuovo progetto del rapper risulta sempre difficile capire verso quale direzione possa andare, e anche per questo tra gli addetti ai lavori c’era la curiosità di capire cosa bolliva in pentola per questo Sanremo.
Rolls Royce alla fine rappresenta l’essenza di Lauro proprio perché distante da ogni cosa fatta prima, non è sicuramente il suo miglior brano e chi lo conosce sa che nella sua discografia più o meno recente si celano piccoli gioielli (La bella e la bestia, Teatro e cinema, Penelope e Cenerentola sono solo alcuni esempi del suo talento lirico), però alla fine funziona e lo dimostra il nono posto finale (e l’apprezzamento della critica) al netto di tutte le polemiche della lunga settimana sanremese.
Il brano è un pezzo un rock in cui protagonista è la chitarra suonata sul palco dal fedele socio Boss Doms (produttore del pezzo insieme al duo Frenetik & Orange), Lauro elenca una dopo l’altra marche e star del passato, fino al ritornello in cui rimarca lo status symbol della Rolls Royce: “voglio una vita così, voglio una fine così…”. Fa ballare e smuove, è un brano fresco con una produzione di primo livello, l’artista si diverte a provocare, a sembrare irriverente e alla fine sembra che ogni polemica gli scivoli via addosso senza lasciare traccia. Lauro sa che difficilmente piacerà ai più classici, mentre potrebbe incuriosire chi ama le contaminazioni. E alla fine è così: o lo si ama o lo si odia.
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