Recensione del nuovo singolo del cantautore
Il pianoforte ha sempre il suo fascino soprattutto se posizionato all’incipit di un brano destinato a calcare il palco dell’Ariston a Sanremo. Francesco Renga, da abitudinario frequentatore della kermesse canora ligure, lo sa bene e, in effetti, per il suo ritorno da solista al Festival ha scelto proprio questa strada intima e tradizionale. Aspetto che torni è il classico brano “alla Sanremo” ma, soprattutto, “alla Renga”. Non a caso, d’altronde, quando Tony Bungaro, un autore che di melodici brani sanremesi ne sa davvero parecchio, l’ha proposto a Claudio Baglioni il direttore artistico non ha avuto dubbi su quale artista avrebbe potuto interpretarlo.
Francesco è intervenuto a sua volta sul testo modificando e adattando alla propria esperienza delle parole che, nel caso di una canzone così intima, non potevano che parlare di lui stesso e della sua esperienza di vita. Ed è proprio della vita che la canzone vuole occuparsi fin dal suo principio. Niente amore come spesso accade nelle canzoni del Festival ma il racconto di un dolore e di un pensiero che rimanda al passato, ad una mancanza pesante ed importante per il cantautore bresciano.
Mentre il pianoforte prosegue per la sua strada venendo accompagnato pian piano dall’intera orchestra e da qualche (inutile) elemento moderno di ritmica il racconto si snoda e svela la sua vera essenza: ci si rivolge alla madre che è volata in cielo ormai da 30 anni lasciando qui anche il padre che “adesso è stanco e forse sta per arrivare, che l’ama più di prima ed è l’unica cosa che sa ricordare”. La cosa importante, però, è che malgrado tutto “il mondo si perde tu invece rimani”.
La scrittura di Bungaro è quella che più prepotentemente esce allo scoperto marchiando a fuoco un brano che di per sè non ha la forza di imporsi come “tormentone” in una carriera costellata di bei brani come quella di Renga ma che ha tutte le carte in regola per emozionare. Renga sfodera tutta la sua potenza vocale e spicca di eleganza nell’apertura dell’inciso che gli permette finalmente di far assaggiare al pubblico la sua timbrica che da qualche anno aveva messo in soffitta in favore di un più asciutto pop fondato sul suono distorto dell’elettronica. La cosa positiva di questa canzone, in effetti, è proprio quella di restituirci (anche se per breve tempo) un Francesco che si ricorda di essere un interprete di classe, un’ugola fuori dal comune ed un’anima autorale capace di intercettare spesso le emozioni più profonde e vere.
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Ilario Luisetto
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