Riflessione sulla proposta di legge che non coglie l’essenza del problema
Anche la politica sembra aprire gli occhi sulla musica e dopo la vittoria di Mahmood all’ultimo Festival di Sanremo pare proprio che i vertici del governo italiano siano più interessati a modificare il mondo dell’industria discografica piuttosto che addentrarsi in noiosi calcoli economici. Lo ha fatto capire il ministro dell’Interno Matteo Salvini quando ha commentato la vittoria di Soldi al Festival mettendo in evidenza tutta la sua contrarietà per una canzone che, a detta sua, non raccoglie i suoi gusti musicali. Ma soprattutto, sembra volersene occupare la Lega Nord proponendo un progetto di legge che obblighi le emittenti radiofoniche italiane a trasmettere almeno 1 canzone italiana su 3.
Nella proposta di legge si chiede, infatti, che “le emittenti radiofoniche, nazionali e private debbano riservare almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione”. A tutto ciò si aggiunge anche la proposta di riservare una quota “pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della produzione musicale italiana alle produzioni degli artisti emergenti”.
La proposta si ispira chiaramente alla legislazione francese che, già da diversi anni, tutela la produzione musicale nazionale imponendo alle radio di riservare una quota minima di passaggi radiofonici ai brani nazionali. In Italia da anni si discute un simile intervento che, però, mai ha trovato seria e stabilita applicazione. Ad oggi potrebbe davvero un simile provvedimento aiutare la produzione musicale nostrana e l’intera industria discografica italiana? La risposta, per quel che pensiamo, è no.
In molti si illudono che imporre alle radio una determinata quota di passaggi radiofonici dei brani italiani non farà altro che aumentare lo spettro di proposte artistiche mentre, invece, c’è da giurare che ciò non avverrà affatto. Sappiamo bene che le radio nazionali sono oramai tutte collegate ad uno o all’altro gruppo editoriale e che ciascuna ha i propri interessi economici. Obbligarle ad aumentare le trasmissioni di brani italiani non significherebbe altro che dare ancora più risalto a quei (pochissimi) artisti che esse già sostengono.
La quota del 33%, peraltro, è alquanto irrisoria visto e considerato che, in realtà, già oggi non siamo troppo distanti da tale traguardo. Le classifiche di Earone del 2018 hanno evidenziato come tra le 100 canzoni più trasmesse lo scorso anno ben 51 fossero italiane. Certo, considerando la totalità dei passaggi la quota percentuale si abbassa notevolmente ma non è poi troppo lontana da un terzo. Arrivare al 33% non cambierebbe poi molto le carte in tavola.
Sul fatto degli emergenti la proposta è ancor più dubbia: chi è davvero emergente? Come saranno riconoscibili gli artisti da catalogare in questa categoria? Quale sarà il criterio? Pensate davvero che le radio inizieranno a trasmettere la musica di perfetti sconosciuti da un momento all’altro? Si, forse lo faranno se saranno obbligati ma saranno tutti perfetti sconosciuti sostenuti e suggeriti da quegli stessi gruppi di managment che oggi dettano legge. D’altronde le case discografiche sono piene di giovani leve da lanciare in qualche talent o contesto simile: sarà semplice imporle alle radio risparmiando sacrifici semi-inutili. E i veri emergenti rimarranno ancora una volta fuori dai giochi.
Questa proposta di legge, se mai verrà applicata, migliorerà davvero lo scenario discografico italiano? Assolutamente no, al massimo aumenterà ulteriormente lo strapotere che grandi etichette, manager e discografici già hanno. Gli artisti ad essere trasmessi saranno sempre gli stessi solo con qualche decina di passaggio in più assottigliando, in questo modo, ancora di più la proposta. Ma almeno, diranno i politici, verranno prima gli italiani. Pochi. Ma italiani. Lodevole il tentativo di dar voce alla musica italiana, lo dice un sito che si occupa solo di questo davvero, ma la strada è un’altra…
Ilario Luisetto
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