Era l’ottobre 2016 quando la Rai comunicava i 61 brani selezionati per le fasi finali di Sanremo Giovani e tra questi uno dei 12 che personalmente ritenni degni di accedere all’ultima scrematura era un tale Leo Stain, all’anagrafe Leonardo Lamacchia, di cui scrissi testuali parole (che potete rileggere qui): “Leo sia lodato per questa canzone (…) on può vincere nel 2017 forse, ma tra i 6 deve esserci per dare uno spessore al Festival del bel canto e delle belle parole”. Effettivamente, poi, Leonardo all’Ariston c’è stato e ha conquistato un ottimo quarto posto con la sua “Ciò che resta“. L’ho ricontattato telefonicamente qualche giorno fa quando il vortice sanremese s’è ormai concluso per fare quattro chiacchiere, di quelle che piacciono a me: libere e senza risposte fatte. Ecco cosa mi ha raccontato:
Allora, partiamo come si deve, e quindi partiamo dalle presentazioni: chi è, per prima cosa, Leonardo Lamacchia?
<<Leonardo Lamacchia è un ragazzo barese di 23 anni che ama la musica e che ha avuto una grandissima possibilità: ovvero quella di cantare dal palco dell’Ariston di Sanremo da cui ha fatto ascoltare a tutti ciò che ha da dire>>.
Come arrivi alla musica? Da dove nasce questa tua grande passione?
<<Ero piccolissimo quando ho iniziato ad amare la musica: avevo 7 o 8 anni quando chiesi di portarmi al coro della parrocchia e lì mi sono innamorato della musica scoprendo me stesso e la più grande passione della mia vita che porterò avanti per sempre>>.
Per un ragazzo giovane della tua età non è semplice emergere nel mondo attuale della musica e, soprattutto, della discografia. Nel tuo caso niente talent, niente TV, niente YouTube: com’è che arrivi a poter fare davvero questo lavoro?
<<Sono ancora lontano dal poter dire di essere davvero arrivato. Nel mio caso, posso dire, di essere riuscito ad essere un cantante conoscendo me stesso: è quella la ricetta per cantare la verità e per far arrivare tutto il resto quasi di conseguenza>>.
E poi, tutto d’un tratto, è arrivata la realizzazione di un altro grande obiettivo: Sanremo 2017. Che esperienza è stata alla luce di oramai alcuni mesi?
<<E’ stata sicuramente un’esperienza incredibile. Non mi piace definirla un obiettivo perché per me è stata tutt’altro: è stato sicuramente l’inizio di un percorso che sta proseguendo quest’estate e che mi ha dato la possibilità di lavorare a stretto contatto con dei professionisti e di conoscere tanti artisti che, insieme a me, erano presenti in quella cornice. E’ stato più emozionante il fuori-palco che l’esibizione in sé per sé>>.
Se potessi tornare indietro, allo scorso febbraio, qual è la cosa che rifaresti nello stesso modo e quale, invece, quella che non faresti o faresti in modo diverso?
<<Rifarei, credo, tutto esattamente come ho fatto in maniera spontanea senza pensarci troppo o trattenersi>>.
Probabilmente tu non ricordi ma noi già ci sentimmo tramite i social all’indomani della pubblicazione dei nomi dei 60 selezionati per l’ultimo provino per il Festival.
<<Come no?! Certo che si!>>.
Wow, che memoria! In quell’occasione della tua canzone, “Ciò che resta”, scrissi testualmente “una ballata sanremese, dove finalmente si sente anche qualche arco, che cresce, cresce e cresce senza che la voce debba per forza urlare. Basta l’emozione. Tocca le corde dell’animo dall’inizio alla fine con la sua semplicità e con il suo essere così pulito nella sua immagine di ragazzo d’oro”.
<<Wow, fantastico. Devo dire che le tue recensioni sono sempre state incredibili (ride)!>>.
In questo caso forse si… “Ciò che resta” è una canzone che emoziona anche te nel cantarla o pensi possa essere più d’impatto per il pubblico?
<<Emoziona me in primis e credo sia quella la chiave di una buona interpretazione di un brano. “Ciò che resta” è un pezzo che in quel periodo della mia vita sentivo particolarmente mio e per questo il racconto è stato sicuramente vero e spontaneo. Se è arrivata agli altri sono sicuramente molto felice ma io per primo ero molto emozionato nel cantarla>>.
Cosa c’è di davvero tuo nel racconto di quella canzone?
<<Ci sono le sensazioni e le immagini che usa il testo della canzone. Sicuramente di mio c’è la sensazione dell’abbandono ma anche il ritrovare la forza, dentro sé stessi e nelle cose che si amano, per andare avanti. E’ un qualcosa che fa parte del mio passato, non troppo lontano, ed è un ricordo che ritorna facilmente alla mente rendendo difficile anche il solo parlarne. Preferisco cantarla…>>.
Ricordo, però, che all’epoca ti facevi chiamare “Leo Stain”? Come mai la scelta di un nome d’arte? E perché è stato, poi, archiviato?
<<Leo Stain, in realtà, era il nome di un progetto di qualche anno fa che iniziai da solista. Per Sanremo ho voluto presentare me stesso senza filtri e senza nessun tipo di impalcatura per risultare totalmente trasparente>>.
Il tuo nuovo singolo, invece, è “Le chiavi del mio mondo” che, in qualche modo, spiazza e stupisce per come ti ha conosciuto il largo pubblico al Festival: c’è un ritmo martellante, solare, movimentato. Ti senti più a tuo agio nell’interpretare un brano intimo o uno più leggero musicalmente?
<<Mi piace tanto mostrare facce completamente diverse tra di loro ma che, comunque, dipingono aspetti del mio carattere contrastanti tra loro ma entrambi presenti. E’ bellissimo poter raccontare un’emozione nel modo più giusto che richiede: in quel brano penso sia quella l’intenzione e la diversità d’arrangiamento perfetta per trasportare al meglio quel racconto. Bisogna sempre cercare di esprimere ogni propria parte e penso che “Le chiavi del mio mondo” in qualche modo mi permetta di farlo>>.
Ascoltando il tuo album appare ben chiara questa tua doppia faccia che comprende l’intimità e l’estrosità anche se poi la conclusione è riservata a “Giulia dorme”, un pezzo che dice tutto da solo forse di chi sia davvero Leonardo Lamacchia. Chi ha ispirato questo brano?
<<Giulia può essere qualsiasi cosa: può essere l’amante o un’altra parte di se stessi, una persona fisica piuttosto che un ricordo astratto. “Giulia dorme” è il brano più intimo del disco e quello in cui il cuore più si è fatto sentire. Esiste la persona che ha ispirato questa canzone ma a me piace pensare che sia un’entità astratta, a parte>>.
So che hai aperto, anche, delle date del tour di Fabrizio Moro (ha aperto anche i live di Ermal Meta e Irene Grandi) che ti ha scelto per quest’avventura sia nell’anteprima primaverile che nella tranche estiva iniziata da poco. Che emozione è stata quella di salire su un palco tutto per te nella dimensione live? E per di più all’interno di un tour di uno dei migliori cantautori dell’ultima generazione musicale italiana?
<<E’ stata un’avventura davvero incredibile anche perché la prima data l’ho fatta al Palalottomatica di Roma davanti a 8.000 persone. E’ stata un bella botta (ride). E’ stato uno spettacolo incredibile con un pubblico davvero meraviglioso che mi ha accolto benissimo anche in tutte le altre date. Sentire la magia e il calore che proviene dalla gente che ti guarda è davvero un’emozione unica senza contare la forza della natura che mi ha scelto per queste occasioni (Fabrizio Moro)>>.
In “E’ soltanto pioggia”, un altro dei brani del tuo primo album d’inediti, canti “quel che perdi non è mai solo perdere”: un concetto che in qualche modo si collega a quel “ciò che resta” che implicitamente sta a significare che qualcosa se ne è andato. C’è un qualcosa che hai perso nella tua vita e che, in qualche modo, ti manca?
<<Sono convinto che le cose non si distruggano ma, piuttosto, cambino e si trasformino. E’ per questo che canto “non è mai solo perdere”. La sensazione di smarrire un qualcosa penso che dipenda da noi e dal nostro punto di vista. Una cosa che, però, ho perso e che vorrei ritrovare almeno un po’ è quella sensazione di innocenza e di meraviglia tipica di quando si è piccoli>>.
Sei giovane e quindi sicuramente il futuro è la dimensione temporale che più ti apparterrà: che cosa ti aspetti? Se dovessi sognare cosa immagineresti?
<<Il futuro arriverà. Sono solito lavorare in relazione al presente e penso che, semmai le cose dovessero arrivare, occorra essere sempre pronti ad aspettarle. Spero sia un bel futuro>>.
Se dovessi scegliere un tuo brano senza alcuna logica commerciale o radiofonica da far ascoltare ad una persona che non ti conosce musicalmente quale sceglieresti?
<<Scegliendo uno dei brani dell’EP direi, forse, “Un brutto sogno”. E’ un brano carico di sentimenti che, ogni volta che personalmente ascolto quel brano, mi emoziono moltissimo e penso a molte cose passate. E’ una canzone che mi appartiene davvero tanto>>.
E se, invece, potessi rubare un brano della storia della musica italiana che avresti voluto scrivere o cantare tu per la prima volta quale prenderesti tutto per te?
<<Vediamo, vediamo… Sceglierei probabilmente “La cura” di Franco Battiato. E’ una canzone perfetta che arriva subito addosso travolgendo con la sua carica emotiva>>.
Ilario Luisetto
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