A tu per tu con l’artista fiorentino, in uscita con il nuovo singolo discografico intitolato “Buonamore”
Tempo di nuova musica per Lorenzo Ugolini, in arte Hugolini, cantautore e musicista toscano ex frontman dei Martinicca Boison, in uscita con il singolo “Buonamore” (Ph.D. 2019 / Artist First), disponibile in rotazione radiofonica e in digital download a partire da venerdì 5 aprile. Il brano, prodotto da Daniele Bao e Simone Cangi, è il primo tassello del suo nuovo progetto discografico articolato in una serie di inediti che verrano rilasciati nel corso del 2019.
Ciao Lorenzo, partiamo dal tuo nuovo singolo “Buonamore”, che significato ha per te?
«La canzone si chiama “Buonamore” per un provvidenziale errore di battitura che poi ho lasciato (si intitolava infatti “Buonumore”). Parla di una persona che si sveglia inspiegabilmente contenta anche se non c’è un motivo apparente e si stupisce, quasi si preoccupa, di questo stato d’animo, fino a consultare manuali di psicologia per capire meglio che cosa gli sta succedendo».
Chi la collaborato con te per questo brano?
«Hanno collaborato con me Daniele Bao e Samuele Cangi nella scelta dei suoni e nel trovare il giusto compromesso tra elettronica e strumenti suonati. Samuele, per esempio, per risuonare la batteria ha tirato fuori dalle tasche una piccola ma potente drum machine, dando al pezzo un mood elettronico vintage e allo stesso tempo contemporaneo, per me interessante».
A livello di tematiche, cosa hai voluto raccontare e che linguaggio hai scelto di utilizzare?
«Questa canzone sceglie di andare un po’ controcorrente rispetto all’atmosfera incerta che si respira in giro ed è proprio per questa ragione che il protagonista della canzone si preoccupa, forse perché ha paura che l’arrivo del buonamore venga frainteso e non capito. La canzone però termina con il desiderio che “questa improvvisata allegria” rimanga e non se ne vada più via, pur essendo arrivata come qualcosa di estraneo».
Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai deciso di abbracciare per mettere in risalto sia il testo che la tua interpretazione?
«Ho provato ad arrangiare questo pezzo in moltissimi modi ma appena mi sono imbattuto nel sound elettropop ho capito che avevo trovato la chiave giusta: questo ritmo permette alle parole di essere cantate quasi come il flow di una canzone rap. Secondo me questa lunga lista di cose che non sono successe (nonostante il mio buonumore), in questo modo viene messa in risalto».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Ho scoperto la musica da bambino, grazie alla tastiera di mio zio. Aveva mille ritmi e suoni diversi e mi divertivo un sacco perché, con un’opzione selezionabile, era possibile suonare gli accordi con un dito e senza conoscere la musica. Con il tempo per fortuna ho avuto modo di riparare, studiando pianoforte e chitarra».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«Il mio percorso è influenzato da tutta la musica esistente tranne il metal che non riesco a comprendere: adoro la musica del Sudamerica in particolare la samba e il forrò brasiliani e la cumbia colombiana, ascolto da sempre i cantautori italiani e quelli francesi, Vian e Brassens in primis, andavo pazzo per l’elettronica islandese di Bjork, Mum e per il postrock di Mogwai e Sigur Ros. Infine, seguo con molto interesse la scena indipendente italiana con Cosmo, Willie Peyote, Coma_Cose, Liberato ed Ex-Otago».
Ti senti rappresentato dall’attuale scenario discografico italiano e da ciò che si sente oggi in giro?
«Trovo che in questo momento storico la scena musicale italiana sia interessante ma poco colorata. È difficile infatti per un artista che esce da alcuni canoni ben codificati e condivisi, riuscire a veicolare il proprio messaggio. Purtroppo è completamente assente la parola sperimentazione. Mi piacerebbe che la world music fosse in Italia maggiormente considerata!».
Nel 2017 hai aperto diverse tappe del “Magellano Tour” di Francesco Gabbani, Che ricordo hai di quell’esperienza?
«È stato emotivamente coinvolgente suonare in luoghi così ricchi di storia come il Teatro Romano di Verona, Il Carroponte di Milano oppure l’Auditorium Parco della musica di Roma! Francesco Gabbani è stato molto caloroso con noi, non vedo l’ora di ascoltare il suo prossimo disco che credo uscirà presto».
Qual è il tuo personale bilancio di questi anni di carriera?
«Il mio sogno era quello di vivere con la musica e per adesso non mi sto ancora svegliando.. mi auguro di crescere come musicista sempre di più e far conoscere le mie canzoni ad un pubblico ogni volta più grande… Rimango in ogni caso di buonamore»
Per concludere, qual è la lezione più grande che senti di aver appreso dalla musica?
«La musica riesce a mettermi in contatto con la mia parte più primitiva, a farmi smettere di pensare per seguire il ritmo del ballo senza dovermi occupare di come e di perché ed è per questo che dico che la musica italiana dovrebbe in parte ritrovare la sua visceralità!».
Nico Donvito
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