Affondo durissimo del noto critico musicale Maurizio Scandurra verso gli attuali esponenti della musica in rima
Esattamente una settimana fa vi abbiamo parlato dell’epocale stravolgimento delle classifiche di vendita ufficiali gestite dalla società di Enzo Mazza, la FIMI (qui potete ritrovare l’articolo). A tal proposito ‘Recensiamo Musica’ aveva portato alla luce il netto favoreggiamento del nuovo sistema di rilevazione verso teen-idol, artisti stranieri e, soprattutto, rapper. Insieme a noi si era schierato il noto giornalista Maurizio Scandurra che, in un attacco congiunto, aveva evidenziato l’impoverimento discografico di cui FIMI si sta rendendo complice nel nostro Paese.
Ad oggi, il famoso critico musicale e ufficio stampa, interviene nuovamente sulla questione rivolgendo la sua attenzione direttamente al mondo del rap italiano affermando: “Il rap rappresenta l’inferno della poesia, la fine di ogni eleganza, di ogni cifra stilistica, di qualsivoglia autentico e genuino guizzo espressivo emotivo-sentimentale che scaturisce dalla lettura di una bella frase, ricca di suggestione evocativa e altrettanta evidente poetica. La negazione a priori di ogni fremito di bellezza. Il rap non c’entra nulla con la storia dei generi musicali italiani: è come tentare di condire l’insalata con il dentifricio o, peggio ancora, utilizzare l’olio bruciato delle carrozzerie per lucidare le ruote (il famoso “nero-gomme”) sulla pizza”.
E prosegue con un affondo micidiale, cui è davvero difficile replicare: “I rapper italiani sono un popolo di giovani e più in là con gli anni che non proviene certo dal liceo classico o da facoltà quali lingue e letterature straniere, teologia, filosofia, lettere… Violentano le parole, assoggettandole a uno sporco e stupido gioco di rime che rimbambisce i giovani d’oggi in nome di sterili, asfitti e altrettanto sconfitti slogan. I rapper sono dei tiratori scelti che, in canna al fucile, scoppiettano e sciorinano parole su parole in nome di un ritmo forsennato della pronuncia delle stesse che alcuno spazio lascia al silenzio: che, nella musica, talvolta è più efficace di qualsivoglia assolo o altrettanto canto. I rapper, i dj, ma anche i talent show che tanto li sviolinano e li osannano, sono responsabili dell’omicidio colposo plurimo di ogni istinto passionale e pulsionale propriamente detto nella musica. Sono gli imperdonabili colpevoli primi dell’ignoranza crassa di massa che, attraverso il web e ogni forma di social media, colpisce come un cancro irreversibile il 110% dei giovani italiani in età compresa tra i 13 e i 25. Ma il fenomeno si estende in maniera preoccupante anche alla fascia che va dai 25 anni in su”.
Per poi tirare le file del discorso: “Concludo dicendo: sarebbe come pensare che gli americani, visto che in Italia va di moda dagli anni ’20, decidano improvvisamente di dimenticare il rock, il country e il folk in nome del cosiddetto ballo liscio, tentando un innesto impossibile, sulle proprie radici musicali, di un genere che neanche con la chirurgia potrebbe tenersi in piedi da solo, né tantomeno germogliare e fiorire. Ma noi italiani, che tristemente dimentichiamo di essere stati la scuola del mondo in tutto e per tutto, così poveri di dignità lasciamo alle mode del momento il compito di imperare, e al vento che le sospinge quello di orientare la direzione: di un gusto che, aimè, non è più degno di essere definito tale. Uno, però, lo salvo: parlo di Lorenzo Jovanotti, scoperto da Claudio Cecchetto. Erano altri tempi, lo so. Menzione di qualità anche per Francesco Di Gesù, in arte Frankie Hi-Nrg, un poeta moderno in tutti i sensi. Con la sola e determinante differenza che, mentre di loro ne sentiremo parlare per sempre, di tutti i vari “rimator scortesi” che tentano di fare il verso a Eminem e soci d’oltreoceano e d’oltremanica non resteranno neanche le ceneri. Nessuna possibilità di risurrezione. Si scordino, gli pseudo-rapper attuali, ogni araba fenice. L’unica cosa che salvo del rap italiano? Le splendide voci di Paola Folli e Jenny B: due vere cantanti di classe”.
Tra qualche anno, all’interno di una qualsivoglia trasmissione televisiva o reportage giornalistico, sentiremo dire che gli anni ’10 del terzo millennio sono stati quelli di J-Ax e Fedez, gli Articolo 31, i Gemelli Diversi, Fabio Rovazzi, Salmo, Nitro, Marracash, Guè Pequeno, Izi, LowLow, Diluvio, Baby K, Sfera Ebbasta, Madman, Ghali, Gemitaiz, Dark Polo Gang, Moreno, Clementino, Rocco Hunt, Briga, Fabri Fibra, Emis Killa, Ernia o Tedua. Tutti nomi – alcuni, davvero letteralmente sconosciuti e dalle alterne fortune – di cui vi sfido a ricordare almeno una canzone per ognuno. Una fama che sicuramente non fa onore ai nostri tempi che risuoneranno come indegni di fronte al glorioso passato della storia della nostra musica ricca di ben altri artisti.
Ilario Luisetto
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