venerdì 22 Novembre 2024

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Red Canzian: “Più che musicista mi reputo un comunicatore” – INTERVISTA

A tu per tu con l’artista veneto in uscita dallo scorso 3 maggio con il dvd live intitolato “Red in blue

“Chi canta prega due volte” diceva Sant’Agostino, un motto che Red Canzian ha fatto proprio e portato avanti nei suoi cinquant’anni di attività musicale. Reduce dalla partecipazione a Sanremo 2018 con “Ognuno ha il suo racconto” e dalle due stagioni di Ora o mai più, l’ex bassista dei Pooh torna a farsi sentire con tutto il suo pathos e il suo carisma pubblicando “Red in blue”, dvd che riprende lo spettacolo dal vivo registrato lo scorso 18 dicembre al Teatro Malibran di Venezia. In scena alcuni dei suoi brani più belli, con l’aggiunta di diverse cover prese in prestito dal vasto repertorio della canzone italiana e internazionale.

Ciao Red, partiamo dal tuo nuovo dvd live “Red in blue”, tratto dalla tua ultima tournée  Qual è stato il criterio di selezione delle tracce in scaletta?

«Sono andato a pescare canzoni che avessero un motivo per essere cantante. Ho scelto “Michelle” dei Beatles semplicemente perché è colpa loro se faccio questo mestiere (sorride, ndr), “Mi sono innamorato di te” perché adoro Luigi Tenco, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli che canta mia figlia Chiara, e tante altre canzoni che hanno accompagnato momenti della mia vita.

In più c’è un omaggio a Napoli, città che ho sempre amato, cantando “Torna a Surriento” in perfetto napoletano, poi ci siamo molto divertiti con gli arrangiamenti, ad esempio la nuova veste che abbiamo attribuito a “Uomini soli” richiama il tango argentino e la passionalità di Astor Piazzolla, un certo tipo di sperimentazione che è possibile realizzare solamente con l’aiuto di grandi musicisti.

Infine ho cantato “My way” di Frank Sinatra e devo dire che mi sono molto emozionato, perché mi riconosco in quel testo, rappresenta il resoconto di un uomo che comincia a intravedere il proprio finale seppur in lontananza, perché anche io ho pianto, ho riso e ho vissuto a modo mio. Sono parole che mi toccano da sempre, soprattutto dopo la malattia e quello che ho passato negli ultimi anni».

Chi ti ha accompagnato in questo lungo viaggio nella storia della canzone italiana e internazionale? 

«Il direttore musicale e batterista è mio figlio: Phil Mer, che in questo momento me lo sto contendendo con Francesco Renga, The Voice e un sacco di altri artisti che lo vogliono con loro in tournée. Poi ho un bassista pazzesco che si chiama Andrea Lombardini e considero geniale, un pianista straordinario come Daniel Bestonzo, lui è veramente pazzesco perché fa le cose più assurde con una facilità incredibile senza sbagliare nemmeno una nota. 

L’orchestra è diretta dal Maestro Stefano Fonzi, che molti  hanno definito il nuovo Morricone, perché ha veramente un’anima alta e un talento unico nel suo genere. Grazie a tutti questi professioni posso ritenermi soddisfatto di questo lavoro, mi appaga e sono convinto che appaghi molto anche l’ascoltatore».

A proposito di Phil e Chiara, qual è il tuo pensiero sul destino dei figli d’arte? Quali sono i pro e i contro di un’eredità così importante e, talvolta, ingombrante? 

«Come ti dicevo, Phil è richiesto da tutti ma solo per merito suo, perché è diventato il più bravo batterista in Italia in assoluto, ma perché ha studiato otto ore al giorno e tuttora si impegna al massimo. Non portando il mio cognome, soltanto nell’ambiente sanno che è mio figlio, in realtà ha sempre lavorato a testa bassa ed ha ottenuto i suoi bei traguardi per merito.

L’Italia è un Paese che non perdona, se è andata bene a te non può andar bene anche a tuo figlio, il concetto è abbastanza cruento ma è così. Io ho la fortuna di non aver avuto mai bisogno di spingerli, hanno sempre camminato con le loro gambe, anche perché a Chiara non gliene frega niente di fare la cantante, si diverte ad esibirsi con me ed è felice così, non è interessata miniante al successo o all’affermazione personale nel canto.

Sono stato fortunato ad avere due figli così, forse è anche merito dei valori che sono riuscito a trasmettergli, ma davvero affrontano la loro passione con grande onestà, poi Philippe ne ha fatto una professione, mentre Chiara si è concentrata su altro, vuole fare la food-blogger, scrive libri e fa altre cose, però quando sale sul palco ne mette in riga più di qualcuno di quelli che adesso svettano in classifica».

Sei reduce da due stagioni di “Ora o mai più”, un format veramente interessante dove viene messa al centro dell’attenzione davvero la musica. Cosa hai ricevuto da questa trasmissione e quale valore aggiunto senti di aver dato tu?

«Ho ricevuto la possibilità di aiutare, per quel che si può fare, qualcuno che cercava di ritornare a vivere di musica. L’anno scorso ho avuto Marco Armani, che avevo già prodotto e portato a Sanremo nell’85, poi quest’anno mi è toccata Jessica Morlacchi, all’inizio ricordavo poco del suo modo di cantare, certo ricordavo i Gazosa, ma non pensavo di trovare un talento come il suo. Soprattutto quest’anno, il mio lavoro è stato principalmente quello di fare un passo indietro, di mettermi al servizio di questi ragazzi.

Certe cose che hanno fatto i miei colleghi mi hanno veramente imbarazzato, litigare per una riga in più o in meno da cantare, mentre nel mio piccolo ho cercato di lasciare a Jessica il massimo spazio, lavorando molto nel cercare di tirar fuori il suo modo e la sua voglia di cantare. Poi le ho cucito su misura un pezzo inedito, perché quello che lei ha avuto si può anche raccontare, un modo come un altro per esorcizzare un passato così doloroso».

Oltre che della musica sei un grande amante della natura, della pittura, del buon cibo, dello sport, insomma: della vita in generale. Qual è l’elisir del tuo entusiasmo?

«La curiosità, secondo me. Sono diventato grande per determinate cose, mentre per altre non sono riuscito a farle crescere, ma va benissimo così. Mi reputo un bambino curioso che sgrana gli occhi quando osserva qualcosa che non conosce, sono tantissime le cose che mi sorprendono, perché trovo che in tutto c’è del bello. La natura è un grande miracolo, io mi emoziono per le piccole cose, da casa mia d’inverno fotografo tramonti che mi commuovono, amo gli animali e impazzisco per i bambini, infatti come massima aspirazione vorrei poter aprire un giorno un asilo, per osservare e godermi tutta la loro meraviglia.

Mia moglie mi ripete sempre: “ma è possibile che tu non riesca ad avere un hobby di quelli che si praticano al sabato o alla domenica?”, ha proprio ragione (ride, ndr), perché quando coltivo una passione diventa un’attività a tempo pieno, come per la pittura o per il vino, che sta diventando un lavoro importante a livello industriale. Mi complico la vita da solo, ma è un modo per riempirla ed evitare di pensare alle cose brutte che ognuno di noi conserva nel proprio armadio».

Al contrario, purtroppo, nelle nuove generazioni tutto questo entusiasmo sembra essersi perso per strada, l’attuale momento storico ha prodotto una generazione di ragazzi sfiduciati, si avverte un po’ di apatia in giro. Oltre che testimone, ti senti figlio di questo tempo?

«Mi hanno chiamato in alcune scuole, ho fatto diverse conferenze in vari istituti e università, proprio per trasmettere l’entusiasmo necessario per perseguire i propri obiettivi, non mi riferisco ai bisogni bensì ai sogni, perché molto spesso si confondono questi due aspetti e si finisce per avere come massima ambizione un telefonino nuovo. Il messaggio che mi piace trasmettere ai giovani è che chiunque ce la può fare, chiaramente deve possedere le doti ed essere disposto anche a fare dei sacrifici.

Io ho la fortuna di fare il mestiere che sognavo da piccolo, che non è quello del musicista ma del comunicatore, perché quello che ho sempre voluto fare nella vita è raccontare, trasmettere e ricevere emozioni, perché è fondamentale anche saper ascoltare, altrimenti si rischia di parlare a vanvera. Quando sono su un palco davanti alle persone io sono felice, che canti o parli di bonsai o di cucina non importa, mi sento al mio posto perché sto facendo quello che più mi piace.

Sul discorso del tempo, guarda, sono sempre molto concentrato su quello che sto vivendo, il mio passato lo racconto per far capire agli altri quanto sia importante avere una banca dati per non perdere la nostra storia e non commettere gli errori dei nostri genitori. Essendo un sognatore sono proiettato nel futuro, ma l’unico momento a cui do realmente valore è il presente».

Come se la stanno passando l’arte e la cultura in Italia?

«C’è bisogno di qualche cambiamento, secondo me, perché è stata gestita con arroganza per troppi anni, la cultura non può essere radical chic, ma alla portata di tutti. I musei, i palazzi d’epoca, i castelli devono essere aperti, la conoscenza è fondamentale, l’arte deve essere trasmetta e permessa a chiunque, con questo non intendo gratuita, ogni bene deve avere un prezzo giusto e onesto, soprattutto le cose importanti, perché fa meglio una poesia di un panino del fast food».

A livello musicale cosa pensi dell’attuale situazione discografica del nostro Paese?

Red Canzian«Sai, non vorrei fare la figura che faceva Claudio Villa quando parlava male dei Beatles, perché era di un’altra generazione. Io la musica trap faccio fatica a capirla, anche lì ogni tanto c’è qualcuno che mi colpisce, soprattutto nel rap, ma non sono bravo a giudicare questo tipo di genere, ho studiato armonia e le mie canzoni nascono dalle melodie, non dai loop, le cose che scrivo partono da presupposti un po’ lontani da ciò che passa adesso.

Oggi come oggi, apprezzo molti artisti della nuova scena musicale, come Marco Mengoni, Tiziano Ferro ed Ermal Meta, senza mai dimenticare i capisaldi della canzone italiana che non mollano la presa, poeti e amici come Enrico Ruggeri o Ivano Fossati, il valore delle loro produzioni è inattaccabile perché puro, non ragionato e non mediato, che nasce da una grandissima cultura letteraria e da una sensibilità elevata».

Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che hai appreso dalla musica in tutti questi anni di attività?

«Come ti dicevo prima, io amo molto raccontare, la musica mi ha insegnato a saper ascoltare. Non è un qualcosa di così scontato, viviamo in una società in cui ad un semplice “come stai?” non concediamo nemmeno il tempo della risposta, perché non interessa, non è poi così importante e fondamentalmente stiamo già pensando ad altro. Ecco, la musica questo non te lo consente, devi saper dare la giusta attenzione e cura al dettaglio, altrimenti vai fuori tempo».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.