A tu per tu con l’artista torinese, noto anche come Pula+, in uscita con il nuovo singolo “Pac e Kurt”
Cantautore o rapper, a differenza di Amleto, il quesito per Andrea Pula non è per nulla un problema, il che lo rende un artista completo. “Pac e Kurt” è il titolo del singolo in cui riesce a combinare queste due anime, attraverso il racconto di due personaggi simbolo degli anni ’90: 2Pac e Kurt Cobain, entrambi scomparsi in tragiche circostanze. Reduce dalla recente esperienza in studio con Paola Turci (qui la nostra recente intervista) e da numerose collaborazioni con protagonisti sia della scena hip hop che di quella pop, abbiamo incontrato l’artista per approfondire la conoscenza del suo mondo musicale.
Ciao Andrea, partiamo dal tuo nuovo pezzo “Pac e Kurt”, cosa racconta?
«Ciao! Quando ho scritto il brano vivevo un’apatia che ancora oggi non è completamente svanita. Credo che l’apatia sia una malattia dei giorni nostri, bombardati da mille input ma non ne cogliamo neanche uno. Quando ho scritto questo pezzo era un giorno di apatia completa. Forse una domenica. Dopo un’ora su Facebook e Instagram senza capire cosa guardassi, ho giocato alla play e l’ho spenta nel tardo pomeriggio (come dico nel brano “sono le 6 e spegni la play…”). Quel giorno mi vennero in mente certi artisti dirompenti che rompevano gli schemi, creavano caos, disordine ed esplodevano di una creatività incontenibile. Non è detto che non ci siano anche oggi, ma la maleducazione di qualche anno fa oggi esiste meno, oppure oggi è travestita da tendenza, ma è diverso».
I cattivi esempi, dunque, sono sempre esistiti. Secondo te, soprattutto in quest’epoca in cui i social hanno eliminato ogni tipo di barriera, si riuscirà mai a scindere l’artista dalla persona?
«Credo che oggi sia l’artista che fa difficoltà a scindere la sua persona. Tutti gli artisti di cui sono realmente fan, pubblicano poco, si fanno vedere quando serve. Sono ancora legato all’idea del mistero che deve aleggiare attorno a un artista».
Un brano prodotto da Roofio dei Two Fingerz, come ti sei trovato a lavorare con lui?
«Benissimo, con Roofio facciamo anche altro che non riguarda le mie canzoni. Abbiamo (e tuttora lo facciamo) lavorato come autori per canzoni di altri interpreti».
Cosa hai voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip ideato da te con Jack Sapienza e Roberto Chetti e diretto insieme ad Andrea Bertola?
«Abbiamo cercato di capire quale fosse il metodo più immediato e al tempo stesso originale, di raccontare la vita di una rockstar. Come fosse un eroe, però dei videogiochi, un po’ goffo, un po’ simpatico e con il quale può crearsi una grande empatia. Pac e Kurt come un Supermario più sporco, più umano; vincono premi, affrontano mostri, saltano ostacoli e alla fine si trovano davanti al game over».
Che ruolo ha la musica nella tua vita?
«Un ruolo molto ingombrante ma del quale non sono mai riuscito a farne senza e sarà così per sempre».
Ti senti più un rapper o un cantautore?
«Io mi sento un creativo, nel senso che la mia passione è creare cose da zero. Spesso queste “cose” sono canzoni, ma in realtà mi occupo anche di altri aspetti della creatività. Anche nella musica il mio approccio è creativo, parto da un’idea, cerco di capire come svilupparla. Che sia un’idea di testo o di musica. Entrando nello specifico dei generi, vedo il rap come un’attitudine che va oltre il genere musicale stesso. In questo mi sento rapper al 100%».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?
«Mi emoziona, mi eccita arrangiarla e sentire che sta nascendo. Quando dal provino voce e chitarra registrato sull’iPhone si passa alla canzone vera. In quel preciso momento di arrangiamento, che a volte può durare solo qualche ora, per me si esprime tutta la potenza della musica».
Di recente figuri tra gli autori di “Viva da morire” e “Le olimpiadi tutti i giorni”, com’è nata la collaborazione con Paola Turci?
«È nata perché stavo lavorando ad alcuni brani con Luca Chiaravalli, Roofio appunto, e Gianluigi Fazio. A Paola piacquero questi due brani e ci trovammo a lavorarci insieme. Lavorare in studio con un’artista come Paola mi è servito davvero».
Ci sono altri artisti con cui ti piacerebbe collaborare in futuro?
«Si… con Damon Albarn (leader dei Blur e fondatore dei Gorillaz, ndr). Ma non la vedo molto facile».
Ti senti rappresentato dall’attuale scenario discografico?
«In linea di massima no, ma credo sia un bene, perché quando mi sento rappresentato non tiro fuori il meglio. Ci sarebbe già qualcuno che lo farebbe al posto mio. Invece quello che mi tiene in vita è la costante voglia di studiare e proporre novità. Quindi, in questo senso, bene così».
Per quanto ti riguarda, invece, in che direzione andrà la tua musica?
«Non lo so, bisognerebbe chiederlo a lei se solo potesse parlare. A livello pratico-lavorativo, la mia massima espressione nella musica la sento nella scrittura e nella produzione. Credo che la mia vita continuerà a mischiare il mio lavoro d’autore con dei progetti che farò uscire cantati da me. L’importante sarà continuare a scrivere».
Qual è l’insegnamento più importante che hai appreso da questi anni di attività?
«Ho pensato un po’ a cosa rispondere, ma non mi è venuto niente. Quindi credo sia inutile continuare a pensare a una risposta se non è venuta subito… Molto più probabilmente ho ancora imparato troppo poco e mi aspetta ancora tanto prima di tirare le somme. Grazie!».
Nico Donvito
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