A tu per tu con il cantautore genovese, in uscita con “Tutto quello che non si può dire al telefono”
Si intitola “Tutto quello che non si può dire al telefono” l’album d’esordio di Alex Cadili, cantautore genovese che racconta la vita attraverso le parole e i tasti bianchi e neri del suo pianoforte. Prodotto da Roberto Drovandi degli Stadio, pubblicato da Twins104 e distribuito da Believe Digital, il disco comprende otto brani inediti, che analizzano il mondo circostante con semplicità ed introspezione. In un mondo in cui la comunicazione è sempre più virtuale, ecco che diventa importante lanciare messaggi di questo calibro, incentrati sul bisogno di tornare a dialogare “face to face, heart to heart”, proprio come cantavano i Twins nel lontano 1982.
Ciao Alex, partiamo da “Tutto quello che non si può dire al telefono”, il tuo album d’esordio. Cosa racconta?
«L’album nasce dalla voglia di raccontare il bello che ho incontrato sulla mia strada fino a qui, non il bello di quando va tutto bene e basta, ma il bello che puoi trovare nel meglio di ogni attimo, come un sorriso sotto il temporale, riconoscendo il bello di poter giocare sempre a tutto rock quest’unica partita che è la vita, bella e tosta come una finale, per me da giocare con gioia, grinta, generosità, gentilezza e gratitudine, in 5G come scherzando un pò piace dire a me!
Voglio raccontare il bello di sorridere alla vita, anche quando non può farlo lei, e facendo così riuscire a farle cambiare idea! Per questo è nata la scelta di raccogliere insieme alcuni brani che ho scritto dal 2000 ad oggi, provando così ad alzare il volume del bene in un’epoca dove spesso fa più notizia l’albero che cade rispetto alla foresta che cresce. ho voluto provare con queste canzoni, a dar volume con semplicità e grinta alla voce del cielo, la voce più rock che conosco!».
In quest’epoca in cui i rapporti si consumano online, quanto è importante recuperare il valore profondo del contatto umano?
«Importantissimo secondo me, da qui anche la scelta del titolo dell’album “Tutto quello che non si può dire al telefono” e della copertina, che vuole trasmettere il pensiero che non ci può bastare passare del tempo insieme, ma viverlo! facendo di questo poco tempo che abbiamo, non una grigia sala d’aspetto con il rischio di farcela arredare con divani comodi, telecomandi e schermi sempre più grandi che finiscono per anestetizzarci.
Ironicamente anche nell’assurdo di connessioni sempre più veloci che finiscono per tenerci sempre più fermi, facendoci confondere la gioia con l’appagamento, ma invece questo tempo viverlo! facendone il viaggio più rock che c’è! rock non facendo il tifo per i nostri sogni che se no rimangono lì, ma mettendoci in gioco con motivazione, volontà e coraggio, per viverli e realizzarli, non sognando soltanto».
Dal punto di vista musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare per esprimere al meglio il significato di un messaggio così importante?
«Per un messaggio così importante per me, mi sono tuffato con gioia fra i colori della sonorità che sento più vicina a me, semplicità e tanta grinta! e tutto questo lo trovo nel rock melodico, nel suono potente delle chitarre distorte che si mescolano con i suoni spesso decisi e qualche volta un po’ più dolci del mio strumento principale che è il pianoforte, giocando fra ritmi incalzanti e alcuni momenti più tranquilli ma densi! cercando suoni veri, senza trucchi, una sonorità direi prevalentemente live anche se suonato in studio, alternando nei brani e fra di loro le 3 caratteristiche che ritrovo nel suono del cielo, leggerezza, pienezza e profondità».
L’album è stato prodotto da Roberto Drovandi, storico bassista degli Stadio, com’è stato lavorare con lui?
«E’ stato rock! dall’inizio e ancora adesso! Con Roberto che saluto e ringrazio ancora una volta anche qui, abbiamo prodotto i primi due brani dell’album “Io e Te” e “Dentro al mio amore” che oltre alla sua produzione artistica hanno la partecipazione grazie a lui di alcuni fra i musicisti più forti del nostro panorama musicale come Adriano Molinari alla batteria, Roberto Priori alle chitarre, lo stesso Roberto Drovandi al basso, arrivando al mastering con Roberto Barillari, e sentire la mia musica curata e suonata da loro è stato davvero rock! e poterla sognare, suonare e realizzare insieme a loro mi ha fatto provare la botta di un’emozione di una prima convocazione in nazionale!
Lavorare con Roberto è stato fortissimo, dalle telefonate kilometriche agli ascolti attenti insieme, dalle risate e le piadine con tutta la squadra fino alle giornate intense in studio! Lui ha creduto da subito in questo progetto, e questo è davvero importante per me, dalla scelta dei brani, la stesura, tutti i suoi consigli che mi hanno aiutato a dar solidità a questo lavoro, e mi ha aiutato a crescere ancora dentro questo viaggio stupendo dove tutto questo è soltanto l’inizio!».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Già da piccolo mi piaceva far suonare di tutto: elastici, bicchieri e fra i miei primi giocattoli c’erano degli strumenti musicali con cui mi divertivo un sacco. Mi piaceva molto cantare e ascoltavo sempre con piacere la musica che girava in casa o quella dallo stereo in macchina. Rimanevo sempre incantato dagli strumenti musicali, era più forte di me, dove c’era un piano o una chitarra non potevo non metterci le mani, e anche quando i grandi mi dicevano non si tocca, io cercavo il momento buono che si distraessero per giocarci un po’ anche a costo di essere beccato, perché qualcosa che suona non passa inosservato…
Poi all’età di 12 anni, quando la mia malattia mi ha fatto mettere da parte il poter giocare a pallone, che era la mia più grande passione, il non poter più camminare per molto tempo, alcuni dicevano per sempre, e nello stesso tempo l’aver perso la vista, mi ha aperto gli occhi su questa meraviglia che non potevo vedere così chiaramente prima, e mi ha dato ali più grandi delle mie gambe per dare lo start a questo sogno rock di gioia e canzoni, forse per questo il mio primo brano che ho scritto a 12 anni, si intitola proprio “Un sogno per volare”».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«Sono molto curioso e mi piace veramente ascoltare di tutto, ma musicalmente nello scrivere cerco di non farmi influenzare da un genere preciso, cercando quello che sento più adatto a me.
Nel mio percorso ho potuto ascoltare di tutto dalla classica che ho imparato ad amare grazie agli studi in conservatorio, al rock italiano e internazionale che mi è sempre piaciuto già da piccolo, che si mescolava con quello che ascoltavo dai miei in casa o in macchina, cantautori italiani, De Andrè, Dalla, Battiato, Battisti e Mogol, De Gregori, solo per citarne alcuni, e rimanevo colpito dalla cura dei testi, da cui ho cercato di imparare tanto. mentre come sound musicale già da bambino mi sono innamorato dei Dire Straits! Tenendo in valigia anche Springsteen, Queen, Police, Beatles e Stones».
C’è un incontro che reputi fondamentale per la tua carriera?
«Altro che! Qui bisognerebbe fare una lista di ringraziamenti che non finiamo più! ma cercherò di essere breve… Professionalmente abbiamo già parlato di Roberto Drovandi prima, e un ringraziamento speciale lo volevo fare anche ad un altro amico rock, Vainer Broccoli, curatore dell’uficio stampa della Twins104, lo ringrazio perchè è stato lui che mi ha messo in contatto con Robi!
Oltre ai miei genitori, gli amici più stretti, specialmente la mia band Sinergia che mi supporta e mi sopporta su e giù dal palco, l’incontro più rock che ho fatto a cui va il mio grazie più forte, è Chiara Luce Badano, a cui ho dedicato questo primo album! Un incontro speciale, perchè purtroppo non ho potuto incontrarla di persona, ma ho incontrato la sua storia e il suo sorriso che mi hanno accompagniato da sempre in ogni attimo di questo progetto e non solo, dandomi la motivazione, la volontà e il coraggio di credere e amare forte questo progetto a tutto rock!».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella composizione di una canzone?
«Scrivendo, uno dei momenti più belli per me è il tuffo iniziale… un tuffo che non puoi fare inizialmente di testa, ma un tuffo di cuore! (parlo per me) riguardo al testo di una canzone, che è la parte che curo forse di più, forse per timore, o per chiarezza… poi la sensazione di volo che provo quando mi accorgo che ci sono dentro con tutto me stesso, e ti senti come sospeso dentro qualcosa di nuovo che non sai dove ti porterà, ma sei curioso e un pezzetto alla volta metti insieme i pezzetti di quel puzzle che ti ha scelto per essere messo insieme…
Quindi ti ritrovi con il registratorino sempre pronto anche di notte, un BloccoNote sempre aperto, e cerchi quei pezzetti in mezzo al traffico, fra gli scaffali di un super mercato, nel profumo del caffè e quello della sera, fra le parole di un amico, mentre arrotoli cavi e prepari la scaletta per il prossimo concerto, dentro una preghiera, le pagine di un libro o le scene di un film…
Mentre musicalmente per me è più facile perchè improvviso tanto, e molti brani sono nati da questi momenti di libertà, quando capita che dentro alcuni di questi il cuore sorride di più, fermandosi o accelerando un po’, e lì ti accorgi che forse sono le note di una nuova canzone, note che ti rimangono come farfalle fra le dita, fino a fare il solletico allo stomaco, e poi continuano a cantarti in testa facendoti cercare le parole che possano spiegare quella musica».
Con quale spirito ti affacci al mercato e come valuti l’attuale settore discografico?
«Dentro questa realtà tutta nuova per me, tengo accese le mie 3C HeartRock Curiosità, Calma e Cura per non rotolare fuori strada ! Io sono ancora all’inizio in questo senso, cerco di insistere per provare a portare sempre più in là quest’onda, cercando di far crescere questo abbraccio con l’aiuto di collaboratori più avanti di me che ci credono forte con me, cercando di muovermi meglio che posso con i social, ma specialmente in prima persona dentro ogni buona occasione per cantare di questo cielo che ci abbraccia tutti! Parlando del settore discografico, personalmente seguo con curiosità musica da tanti anni, e in questo momento vedo un panorama musicale italiano un po’ caotico, ritmi di produzioni velocissime che rischiano di perdere di qualità, brani sempre più brevi come pallottole di note e parole che fanno più rumore che centro, la scena musicale attuale rispecchia precisamente il momento storico che stiamo vivendo. Un momento dove siamo più bravi a cercare scuse o colpevoli piuttosto che soluzioni e collaborazione, dove chiediamo più cose a google piuttosto che agli amici».
Buoni propositi e sogni nel cassetto per il futuro?
«Continuare a scrivere, poter aiutare con la mia musica in modo pratico dove serve e un bel tour sbronzandoci di rock per divertirci insieme alzando il volume del cielo quaggiù!».
Quale messaggio ti piacerebbe trasmettere al pubblico attraverso la tua musica?
«Di continuare a sognare forte, cercando di vivere ogni attimo come se fosse il primo, l’ultimo, l’unico!».
Nico Donvito
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