A tu per tu con il giovane artista romano, al suo esordio discografico con il suo primo EP “Curioso”
Un debutto sotto il segno della versatilità quello di Ludovico Franchitti, in arte Ludwig, deejay e producer che vanta numerosi progetti e collaborazioni importanti, nonostante la sua giovanissima età. “Curioso” è il titolo del suo mini album contenente cinque inediti, tra cui spicca il singolo attualmente in rotazione radiofonica “Domani ci passa”, entrato prepotentemente nella viral 50 di Spotify, e il suo brano d’esordio “Un po’ de que”, diventato nel giro di breve tempo un autentico fenomeno social. Dopo aver prodotto Junior Cally e Mambolosco, accompagnato la Dark Polo Gang durante il Twins Tour, per l’artista romano è giunto il tempo di mettersi alla prova come solista, con l’inevitabile verve ironica che lo contraddistingue.
Ciao Ludovico, partiamo dal tuo primo EP che ha un titolo curioso e sono curioso di chiederti perché proprio “Curioso”?
«Perché trovo un po’ curioso un deejay, un producer che durante un live scavalca la console e si mette a cantare. La vita di Ludwig è un po’ curiosa (sorride, ndr)».
Ci tieni a precisare che le tue canzoni nascono dal tuo vissuto e non si basano su stereotipi, qualcuno lo chiamerebbe “real rap”. Di conseguenza, pensi che ci sia in giro un “fake rap”?
«Partendo dal presupposto che non faccio rap, in tutti i mondi esistono dei fake, ci sono personaggi che parlano di cose che non conoscono e non li rappresentano. Ci sono artisti che raccontano di venire dalla strada mentre in realtà provengo da famiglie benestanti, penso sia questo il concetto».
Lo scorso dicembre hai debuttato con il tuo singolo d’esordio “Un po’ de que”, diventato un tormentone social, anche grazie al videoclip che vede protagonista Michela Quattrociocche. Cosa hai voluto raccontare?
«Questo brano è diventato un tormentone ancora prima di uscire come singolo, perché era una frase che usavo nelle storia Instagram quando andavo a cena, fotografavo i piatti e sceglievo un po’ di questo e un po’ di quello. “Un po’ de que” funzionava, veniva ripreso da tante persone che puntualmente mi taggavano, così ho deciso di provare a scriverci un pezzo e da lì è nato tutto».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come ti sei avvicinato alla musica?
«Ero molto piccolo, osservavo mio fratello più grande che andava a ballare e mi passava le canzoni, quelle dei vari Festivalbar degli anni ’90 per intenderci. Mi sono avvicinato a quella musica che, subito dopo, si è trasformata in house, crescendo ho voluto fare il deejay e a produrre, il mio primo singolo del 2015 è entrato nella “xxxprogessive house chart su billboar” al 17esimo posto, poi è arrivata la trap, mi sono incanalato producendo vari artisti e poi è arrivato “Un po’ de que”».
Hai accompagnato la Dark Polo Gang nel loro “Twins Tour”, che esperienza ha rappresentato per te?
«Bellissima, fare il deejay per artisti così forti e seguiti è una bella soddisfazione, soprattutto per persone che considero degli amici e dei fratelli».
Dopo questa esperienza ti sei concentrato sia sulla tua carriera da solista che sull’attività di producer. Vorresti coltivarle parallelamente o ti senti di dare una priorità a una delle due?
«Guarda, nella mia testa ho un lungo percorso ancora da fare, ma credo che tutte le piccole soddisfazioni che sto ricevendo in questo periodo siano dettate dal fatto che faccio sia il deejay, sia il producer, sia il cantante. Vorrei continuare a fare le mie cose continuando a sposare i progetti degli artisti in cui credo».
Cosa ne pensi dell’attuale scenario musicale e del settore discografico italiano?
«Non so come risponderti, perché la musica sta andando in maniera troppo veloce, prima le mode duravano per diverso tempo, adesso ogni anno ci sono artisti nuovi, tutti cantano e tutti vogliono fare questo mestiere. La trap ha dato un’impronta fortissima, anche dal punto di vista delle sonorità che hanno influenzato gli altri generi, vedi Mahmood che non proviene da quel mondo ma ha vinto Sanremo. A livello discografico, in generale, noto che tutti si dirigono verso le solite direzioni, personalmente cerco di fare qualcosa di diverso e che mi rappresenti».
Per molti la parola “trap” rappresenta il soprannome di un allenatore di calcio e basta, cioè non significa altro. Potresti spiegare alle nonne e ai nonni in ascolto, in poche parole, questo genere musicale?
«La trap è ‘na trappola (ride, ndr), solo se ci stai dentro puoi comprenderla, è difficile riuscire a spiegarla a chi ne è al di fuori. Io non faccio trap, ho prodotto diversi artisti di questo genere e non li critico come fanno molti, nell’81 “Maracaibo” parlava di rum e cocaina, non è che una frase in una canzone può incitare un ragazzo a drogarsi. Il problema reale dei giovani di oggi è chi gli da il cellulare a otto anni, a quell’età io avevo un pallone e giocavo con gli amici per strada».
Dove desideri arrivare con la tua musica?
«Nello spazio, voglio arrivare lontano, creare un team e costruire insieme un movimento musicale. Sono arrivato per restare, non per essere di passaggio».
Quali sensazioni ti piacerebbe trasmettere alle persone che ascolteranno “Curioso”?
«Ludwig deve essere associato a queste cinque parole: felicità, simpatia, estate, vacanza e divertimento. Basta, nient’altro».
Nico Donvito
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