Più dischi ma meno vendite: ecco il nuovo mercato
“Fatti una domanda e datti una risposta” direbbe Marzullo e quindi, visto che in questa caldissima giornata di metà giugno ero poco indaffarato ho deciso di mettermi a riflettere sull’attuale mercato discografico cercando degli spunti di riflessione nuovi. Insomma, ormai lo sanno tutti che il digitale ha superato il mercato fisico, che il vinile è un pezzo da collezione, che il repertorio italiano funziona sempre di più rispetto a quello estero eccetera, eccetera…
La domanda che, quindi, mi sono fatto riguarda un’altro aspetto: ma oggi si producono più o meno dischi rispetto al passato? Insomma, c’è più o meno proposta musicale rispetto a, non so, dieci anni fa? Proprio per scoprire ciò mi sono avvalorato dell’archivio FIMI (Federazione Industriale Italiana) e sono andato a contare quanti dischi hanno debuttato, alla data della propria pubblicazione, nella top20 dei dischi settimanali più venduti nel corso degli anni ed ho fatto un raffronto.
Nel 2009, esattamente 10 anni fa, nelle prime 24 settimane dell’anno hanno debuttato in top20 della FIMI ben 42 nuovi titoli di album italiani. Oggi, nel 2019, nelle stesse prime 24 settimane dell’anno i titoli sono stati addirittura 67! Insomma, con mia sorpresa, i dischi pubblicati oggi dagli artisti italiani son ben di più di quelli pubblicati una decina d’anni fa.
Dico con mia sorpresa perchè questa curiosità mi è arrivata dal fatto che oggi il mercato sembra procedere in modo estremamente frammentato a causa della continua pubblicazione di singoli digitali che, solo dopo tempi piuttosto lunghi finiscono dentro un disco. E, invece, i dischi stampati oggi son molti più (3 album oggi ogni 2 dischi del 2009) a quelli di dieci anni fa.
Che cosa può determinare, dunque, tale situazione? In primo luogo c’è, indubbiamente, un’ampliamento della proposta non solo artistica ma anche quantitativa: in sostanza, ci sono più generi che finiscono in classifica e, soprattutto, più artisti. Non è un caso che i big della nostra canzone fatichino a conservare tale titolo e spesso si vedano affiancati da voci di una carriera ben più veloce della propria. Da considerare, poi, anche il fatto che, rispetto a dieci anni fa, la vita di un disco si è particolarmente accorciata e si sviluppa tutta (o quasi) nelle prime settimane di vendita grazie ai cosiddetti instore tour, ultima invenzione della discografia per salvare il salvabile e favorire la vendita dei dischi fisici. Con un fitto calendario instore per un artista di medio-alto calibro è praticamente impossibile non debuttare in top20 settimanale anche se poi, la settimana dopo, finisce fuori dalla top100. Dieci anni fa non era certamente così: senza instore un disco contava sul valore del tempo venendo acquistato via via grazie a promozione, singoli azzeccati per la rotazione radiofonica, comparse televisive spalmate nel tempo ecc… Oggi resistere in top10 per un mese è un’impresa, un tempo era strano se un big non passava un mese in prima posizione!
L’altra faccia della medaglia, però, sono il tasto dolente delle vendite: sempre più dischi ma sempre meno album venduti. La prima motivazione sta proprio nella frammentazione del mercato che distribuisce maggiormente il pubblico tra le diverse proposte ma, poi, il vero nocciolo della questione è che la musica, ad oggi, sembra un bene dovuto, un diritto inviolabile dell’uomo che, in tali circostanze, si sente legittimato a non pagarla, o a pagarla molto poco. Nel 2009 i 42 nuovi album debuttanti in classifica vendettero 1,3 milioni di copie, nel 2019 i 67 nuovi titoli in top20 FIMI hanno totalizzato appena 250.000 copie.
Ilario Luisetto
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