A tu per tu con la band veronese, negli store dal 10 maggio con il loro disco d’esordio intitolato “Itaca“
Un viaggio raccontato come tra le pagine di un diario di bordo, così potremmo definire il debutto discografico dei La Sorte, gruppo musicale formato da Giorgio Pighi (voce e basso), Matteo Piomboni (chitarre) e Zeno Camponogara (batteria e voce). “Itaca” è un album composto da nove canzoni che fungono da biglietto da visita per la band veronese, che traduce in musica le proprie esperienze quotidiane in maniera piuttosto originale e assai ironica.
Ciao ragazzi, partiamo dal vostro primo album “Itaca”, cosa racconta?
«È un diario di viaggio, una rielaborazione a volte puntuale, a volte alterata, di nove esperienze vissute in un contesto estraneo alla quotidianità, dove il comune denominatore è la dipendenza da qualcuno o qualcosa. Questa condizione di rilettura del vissuto si rispecchia così in nove destinazioni dell’anima, in un percorso che di brano in brano, tenderebbe all’emancipazione».
C’è un elemento ricorrente che accomuna queste nove tracce?
«Il viaggio, in ogni sua possibile declinazione e la dipendenza dalle benzodiazepine».
Chi ha collaborato con voi in questo progetto?
«Tutta farina del nostro sacco e nessuna intromissione. Poi a lavoro compiuto abbiamo suscitato l’interesse della Sins Records, neonata etichetta discografica romana, che ha deciso di aiutarci a pubblicare l’album».
Quali sono le tematiche predominanti e che tipo di sonorità avete scelto per esprimerle al meglio?
«Il filo conduttore delle nove tracce che compongono “Itaca”, risiede nell’ossessiva ricerca di una modalità originale che permettesse di esprimere la sensazione di abbandono che il viaggio comporta o che al viaggio porta. Questo può valere per le parole da declinare in una certa soluzione melodica, l’arrangiamento ritmico, così come per la ricerca di suoni di chitarra che possano impreziosire il nostro modo di raccontare. Al contempo siamo rudi e le nostre chitarre trapanano le trame melodiche delle voci, perché va ricordato che quello che vogliamo esprimere non è facile da sopportare. Sono impressioni che potrebbero calzare a pennello a chiunque».
Il disco è stato anticipato dall’uscita di “L’acchiappafantasmi”, a cosa si deve la scelta proprio di questo singolo? È il pezzo che vi rappresenta di piú?
«Direi che ci sentiamo rappresentati esaustivamente da ognuna delle nostre composizioni. Il primo singolo è stato scelto perché già perfetto per i passaggi radiofonici…senza grosse necessità di editing».
Facciamo un salto indietro nel tempo, come vi siete conosciuti e quando avete deciso di dare vita al vostro progetto musicale?
«Proveniamo da esperienze musicali per certi versi molto differenti e ci siamo trovati un po’ per caso. Il chitarrista e batterista cercavano un bassista e questo si è presentato alla prima sessione di prove, senza basso ma con una vecchia chitarra acustica e dei fogli pieni di idee… dev’essere stato più o meno tre anni fa».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il vostro percorso?
«Allora il nostro batterista vorrebbe suonare con i Blur, ma anche con qualsiasi altro gruppo che non usa i campanacci, il chitarrista vorrebbe stare in tour con i Sigur Ros quando è di buona e incrocerebbe note con Kim Gordon, se più inquieto, in alternativa all’aperitivo con i The Kills tutta la vita. Il bassista vorrebbe indossare uno di quei bei cilindri Voodoo».
Con quale spirito vi affacciate al mercato e come valutate l’attuale settore discografico?
«Siamo outsider, non sappiamo niente ma è da quando abbiamo diciassette anni che contiamo nel botto!».
Per concludere, dove desiderate arrivare con la vostra musica?
«Fuckin’ disco di platino! Lo danno ancora!?».
Nico Donvito
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