I passaggi radiofonici sono un elemento essenziale per il successo?
RADIO NO
A cura di Francesco Cavalli
La musica e le radio, le radio e la musica, strumenti da sempre collegati e influenzati. Come nelle migliori storie d’amore, però, condizionate nel tempo da vari fattori che hanno fatto pendere la bilancia da una parte dall’altra. Se è vero da una parte che le radio risultano ancora fondamentali per un certo tipo di artisti, forse per gli stessi artisti che stanno cominciando ultimamente a vedere le prime crepe sul quel muro da sempre sostenuto e tenuto su anche e soprattutto grazie all’appoggio dei media, è altrettanto fuori discussione che si stia facendo largo un altro tipo di artisti, dominatori di classifiche anche senza appoggi radiofonici o televisivi. Si pensi ad esempio a Salmo: disco multiplatino, tour nei palazzetti sold out senza grossi passaggi radio-televisivi, a parte qualche rara eccezione. Stesso discorso che può essere fatto per Luchè, Izi, Tedua, Lazza, Rkomi o altri numerosi artisti estranei al grande pubblico mainstream ma sempre più vicini (come numeri) ai grandi big della musica italiana. Persino Ultimo, autentico mattatore del mercato discografico italiano degli ultimi due anni, riesce a volare pur non avendo un brano in top 20 nella classifica airplay di Earone da parecchie settimane.
Hit che diventano hit senza un passaggio radiofonico ma che, nonostante questo, arrivano a numeri esagerati. Cosa sta cambiando? Il tipo di pubblico? Certamente, ma forse non solo. Cambiano i meccanismi di fruizione, con YouTube e soprattutto con Spotify, cambiano le strategie dell’hype e di marketing, i giovani oggi non ascoltano più la radio, sono informati da Instagram e aspettano la mezzanotte del venerdì per l’uscita del nuovo progetto, album o singolo che sia. Cambiano i modi e alla fine, almeno guardando le classifiche, si può dire che forse la radio non abbia più il peso di qualche anno fa.
RADIO SI
A cura di Ilario Luisetto
Se è vero che la nuova scena trap e rap si è spesso affermata senza l’ausilio dei tradizionali veicoli dell’industria musicale (radio e TV in primis) è anche vero che il concetto di mainstream sta ancora da un’altra parte. Fermate qualcuno per strada e chiedetegli se sappia chi sono Salmo, Lazza, Rkomi o Sfera Ebbasta. Magari qualcuno risponderà positivamente ma la percentuale sarà sicuramente inferiore a chi conosce una Laura Pausini o un Tiziano Ferro qualsiasi. E no, la risposta non sta solo negli anni di carriera degli uni rispetto agli altri.
Provate, poi, a chiedere di canticchiare un motivetto di qualche canzone celebre di questi presunti nuovi artisti 2.0. Anche chi aveva risposto di conoscerne l’esistenza avrà qualche problema a fischiettare un qualunque ritornello delle loro canzoni mentre, invece, per fischiettare una Ostia lido o Jambo qualsiasi (giusto per rimanere in tema estivo) non ci saranno, poi, così tante difficoltà. Perchè? Semplicemente perchè i motivetti li crea la radio, il continuo passaggio di un pezzo finchè non ne arriva uno nuovo capace di soppiantarlo.
Il web, al contrario, punta su un differente linguaggio e modo d’operare: l’immediatezza, il consumismo. Ecco che, allora, la differenza tra la radio e le nuove tecnologie di diffusione musicale sta proprio lì. Una è ancora capace di creare successi (più o meno durevoli), l’altra si limita a diffondere un prodotto tra una cerchia (ristretta per vie anagrafiche) di pubblico che si rivela continuamente assoggettata ai dettami del ricambio continuo. Una martella, l’altra fa scorrere. Una consolida, l’altra fa swipe up.
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