Affrontiamo un tema collegandoci ad una canzone
Essere capaci di guardare la realtà con gli occhi di tutti, facendo proprie le infinite sottigliezze che caratterizzano ogni singolo punto di vista diverso dal nostro. Sforzarsi di smettere di considerare la propria realtà come punto di partenza da cui vedere il mondo, eliminare i parametri che siamo soliti adottare prima di pronunciare giudizi.
E non stiamo parlando solo della flessibilità mentale di chi all’interno di un determinato fenomeno ha la bravura di considerare tutte le varabili che lo compongono e l’intelligenza di partire dal presupposto che il proprio punto di vista sia solo un angolo di veduta come tanti altri. Il tema in questione è infatti molto più profondo e richiede uno sforzo mentale ulteriore, un salto logico grandissimo.
Niccolò Fabi nella sua ultima canzone “Io sono l’altro” propone proprio l’idea di andare oltre se stessi, abbandonare il proprio orizzonte visivo e fare proprio quello dell’altro. L’altro, è bene sottolinearlo, si identifica con tutto ciò che è esterno alla nostra persona, per cui ci riferiamo a tutti gli altri occhi al di fuori dei nostri.
Il fulcro del brano sta nel raggiungere quel livello di consapevolezza che ci permetta di capire che un conto è pensare agli altri, prendere le parti degli altri, tentare di pensare come gli altri possano vivere una certa situazione e un conto è sforzarsi di totalizzarsi nel punto di vista altrui, sposarlo per quello che è escludendo qualsiasi minima influenza che derivi dal nostro punto di partenza.
Come vedete lo sforzo di immedesimazione non è per nulla semplice né scontato. Pensare di poter essere chiunque tranne quello che siamo è un passaggio logico chiaramente innaturale, così come risulta difficile formulare giudizi slegandoci da quei valori che fanno parte di noi, ma magari non di altri. Anche nel momento in cui ci si immedesima in una situazione che coinvolge qualcuno e quindi ci si trasporta nella realtà di quella persona è comunque molto difficile non giudicare quella realtà con i parametri che useremmo per giudicarla se ci fossimo coinvolti di fatto noi. Per capire l’altro nella sua pienezza sarebbe corretto pensare di vivere la stessa situazione con le sensazioni che prova lui, non con quelle che penso di provare io fingendo di essere lui. È chiaro che un’immedesimazione di questo tipo non è possibile per mille motivi, nel senso che è impensabile che esista un tentativo di slegarci totalmente da noi stessi nel momento in cui avviciniamo una parte di noi agli altri.
Niccolò Fabi propone una serie di immagini che mostrano la vita di ogni individuo accostata a quella di un altro. Accostata, non sovrapposta, proprio perché diversa, come una strada che segue il suo percorso ma si interseca con mille altre anche solo per un secondo. Esistono vite che si sovrappongono e condividono un percorso così come vite che saranno come due strade parallele sempre vicine ma che non si toccheranno mai. In ogni caso queste strade sono vite reali che si percepiscono, si vedono, e Fabi è attento nel sottolineare tutto ciò che c’è, che esiste.
La soluzione a cui arrivare ascoltando la canzone credo sia rinvenibile nel modo di interagire con gli altri; un atteggiamento che deve essere morbido, comprensivo, proprio perché non conosciamo la vita degli altri, le storie che la compongono, gli stadi d’animo che la colorano.
Se noi siamo particolarmente felici non significa che lo stesso colore emotivo sia anche il vestito delle persone che ci circondano, così come sulla medesima linea dovremmo considerare che la storia del mondo si scrive insieme e non da soli.
Le giornate sono costellate da momenti di interazione, di scambi, di contatti, di noi che abbiamo bisogno di altre persone e di altre persone che hanno bisogno di noi, di persone che ci feriscono e di persone che feriamo, di persone che capiamo e di persone che ci capiscono, di persone che ci ignorano e di persone che ignoriamo.
All’interno di ogni scelta, di ogni gesto, di ogni giudizio sarebbe opportuno avvicinarsi all’altro, cercando di cogliere il senso della sua posizione per comprenderla nel merito. Farlo in pieno come evidenziato prima è molto complicato ma importante. In questo modo infatti senza abbandonare noi stessi saremmo certamente più disposti a somigliare all’altro.
Nella realtà dei fatti credo che se io venissi incontro a te e tu venissi incontro a me il risultato non possa che oggettivarsi in un punto di contatto più comprensibile per entrambi, anche solo nell’ essere più educati, più gentili, più disposti al dialogo costruttivo. In fondo “Io sono l’altro” è un fondamentale esercizio di umanità che ci permette di togliere i nostri vestiti ed indossare per un momento quelli degli altri.
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