Raccontiamo l’attualità con l’aiuto di una canzone
L’altro giorno è stato un bel giorno. Forse sarà stato per le prime albe donateci da questo 2020 o per quel tempo di vacanze che, nonostante corra con inesorabile e incurante velocità, regala questi ultimi, ma salvifici, sgoccioli di vacanze. Potete continuare voi, cari lettori, nel trovare motivazioni allegre e spensierate che concordano con l’inizio di questo articolo. Anche se non vi viene in mente niente, tutto sommato, è stato comunque un buon giorno, fidatemi di me. Di quelli difficili da rovinare con una semplice notizia dal mondo esterno.
Ma noi umani, reietti a fidarci anche dei nostri più nobili istinti, cadiamo sempre nella tentazione di informarci e di curiosare le (dis)avventure di questo mondo, incuranti delle conseguenze di questa sventata azione. Così molti di noi hanno scoperto l’ultimo regalino nascosto sotto l’albero di questo, oramai, passato Natale, leggendo un quotidiano, un cellulare o guardando più semplicemente il telegiornale: una nuova possibile guerra tra Iran e Usa.
Nel prepara questo pezzo stavo pensando di trovare (come son solito fare in queste situazioni) le giuste parole, per esprimere al meglio il mio disappunto e la mia vergogna per il ripetersi nefasto di questi avvenimenti ancora, ancora e ancora. Poi, mentre ho acceso il computer per trasformare le mie splendide idee in meno splendide lettere e punteggiature, mi sono chiesto (come son solito fare in queste situazioni) come veramente io provassi di fronte a ciò. Non è questione di narcisismo o egoismo, e un saggio lettore (i lettori si sa, sono per definizione sempre saggi) capisce bene cosa intendo quando sostengo frasi del tipo: “in fondo è solo un’altra guerra”.
Se vi stuzzica l’idea che stiate leggendo un articolo di un menefreghista e di un egoista senza scrupoli, mi permetto di dissentire. Almeno sulla prima parte. Non è meschinità ammettere che una cosa tange o non tange più di tanto. È invece un uso, forse un po’ crudele ma efficace, di buon senso. E una guerra, un’altra guerra, in un punto molto, troppo lontano da casa mia, in fondo, non mi tange poi più di tanto. Un po’ me ne vergogno, è chiaro. Ma proprio come diceva Giorgio Gaber in un suo monologo “mi fa male il fatto che basta che mi faccia male un dente… che non mi fa più male il mondo”.
E anche la ricerca di una canzone efficace ha avuto questo stesso percorso. Ma a ben vedere le cose si scoprono (come son solite fare in queste situazioni) nella stessa maniera nella quale richiamo il lettore con la canzone di oggi: Altrove.
Gli Eugenio in via Di Gioia non sono forse ancora molto conosciuti nel panorama musicale italiano ma fra intrattenimento, parodie, musica gioco e assoluta leggerezza, ecco che ci si può trovare un piccolo gioiello di eleganza e semplicità. Non credo questa canzone nasca come protesta contro la guerra, ma lo scopo di questa rubrica non è in fondo legare mondi diversi, anche se i più lontani fra loro?
“Povera mente,
io ti uccido ogni giorno con le mie idee.
Povero cuore,
io ti metto alla prova ma povero me”
Ed è così che questo Titanic di notizie porta all’iceberg le nostre più mascherate buone intenzioni: con l’indifferenza. E qui mi permetto di prendere le difese di questa parola. Come facciamo a provare pena e dolore se costantemente siamo bombardati da nuove guerre, atti razzisti, violenze e stragi? Non siamo dei robot, certo, ma l’abitudine di una certa idea di mondo è una carezza dolce in una fredda giornata di neve. Ed è così che, in questa commedia umana, l’uccisione del presidente dell’Iran da parte di un blitz americano diventa un ottimo spunto per una chiacchierata veloce al bar. Così come l’idea di una nuova guerra fredda porta un nuovo discorso per intrattenere un paio di lezioni, il più delle volte noiose, in una classe delle superiori. Lascio alla fantasia del lettore (come son solito fare in queste situazioni) la ricerca di altri esempi.
Ci si perde, ci si perde continuamente in questo mare di notizie brutte al quale segue uno shock di qualche secondo (10 secondi se guardiamo la media) per poi scappare senza rumore dal dimenticatoio assonato che è la nostra mente. Ma allora perché non perdersi del tutto a questo punto? Perdersi vuol dire anche riconoscere che una cosa non la si capisce. E se non la si capisce generalmente quella cosa è anche estremamente interessante. E Dio solo sa quanto oggi, più che mai, il mondo e i suoi abitanti, hanno bisogno di interessarsi veramente a qualcosa per potersi aggrappare a qualcosa. Altrove.
Là bisogna perdersi. Altrove, in un altro mondo. Un mondo dove se si viene a conoscenza di una guerra, se ne sente il dolore, anche se non la si sta provando fisicamente. Un mondo dove il bello fa notizia mentre le tragedie fanno vergognare e mobilitare il cuore umano. Altrove. E altrove è il posto dove io voglio andare a perdermi. Come d’ora in avanti vorrò essere solito fare, in queste situazioni.
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