A tu per tu con il giovane cantautore bresciano, in gara a Sanremo 2020 con “Nel bene e nel male”
E’ un momento emotivamente importante per Matteo Faustini, tra gli otto protagonisti delle Nuove Proposte della 70esima edizione del Festival di Sanremo, in scena dal 4 al 9 febbraio 2020. “Nel bene e nel male” è il titolo del brano con cui ha vinto Area Sanremo, aggiudicandosi un posto per il Teatro Ariston. Il brano, scritto in collaborazione con Marco Rettani, mette in risalto le velleità poetiche del venticinquenne bresciano, oltre che un’innata attitudine interpretativa, caratteristiche che lo rendono uno dei più interessanti, nonché principali, candidati alla vittoria finale.
Ciao Matteo, non so se te ne sei reso conto, ma tra un mese inizierà il Festival di Sanremo, come siamo messi ad emozioni?
«E’ assurdo, ogni tanto mi capita di fermarmi e di imbambolarmi pensando a quello che sta accadendo nella mia vita. Non so, forse realizzerò tutto quanto quando farò le prove a Roma con l’orchestra, per ora mi sembra di vivere in un sogno. Ho un sacco di pensieri, di ansie e di paure, ma giuro che le emozioni positive le sovrastano. Mi sento un po’ in un limbo, devo ancora capire, ma è bellissimo perché sono tanti anni che aspetto un’opportunità del genere, indipendentemente da come andrà, per me la cosa più importante è far ascoltare finalmente la mia musica, mi sento davvero un privilegiato».
“Nel bene e nel male” è il titolo del brano che ti ha permesso di vincere Area Sanremo, spalancandoti le porte dell’Ariston. Cosa rappresenta esattamente per te?
«Questo brano parla dell’importanza dell’esserci, sia quando le cose vanno bene ma, anche e soprattutto, quando vanno male. Personalmente mi è capitato di incontrare nel mio percorso persone di cui mi sono fidato e che, puntualmente, mi hanno poi pugnalato e non mi riferisco prettamente a relazioni sentimentali, ma a rapporti umani e anche lavorativi. E’ nei momenti di difficoltà che ti accorgi davvero delle persone che ci tengono realmente a te, perché è facile stare vicino a qualcuno quando le cose vanno bene. Se hai veramente delle radici piantate nel cuore, non c’è nessuna tempesta che può sradicarle, penso ad esempio a mia madre, alla mia famiglia, quanto è meravigliosa la certezza dell’esserci? Per quante persone possiamo nutrire questo tipo di sicurezza? Per quanto mi riguarda poche, ma è bellissimo comunque, perché è inutile circondarsi di un esercito di figuranti, ogni singola persona vera è un regalo».
Un brano scritto a quattro mani con Marco Rettani, come ti sei trovato a lavorare con lui?
«Davvero bene, è stato molto costruttivo, per certi versi evolutivo. Marco è un professionista, mi ha aiutato molto a crescere perché è la prima volta che scrivo con qualcuno, avere un occhio critico che ti sprona a ragionare su determinate parole o frasi, che ti invita a tirare fuori il meglio di te, per me è stato fondamentale. Grazie al suo contributo il testo ne ha giovato, il suo contenuto è diventato più universale, può parlare a più generazioni».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta al meglio questa canzone?
«“Perché ci fa stare insieme” perché alla fine, nel bene e nel male, se una persona resta al tuo fianco anche quando le cose vanno male, vuol dire che davvero nulla ci può separare. E’ una cosa bellissima che dico solo una volta, alla fine della canzone, proprio per sottolineare la sua importanza».
Un bel pezzo che verrà messo sicuramente più in risalto dall’Orchestra del Festival. Mentre ti ascoltavo sia a Sanremo Giovani che a “L’anno che verrà”, mi è venuto naturale pensare alla resa finale sul palco dell’Ariston. Ci hai fatto un pensierino anche tu?
«Guarda, ti dico solo che settimana scorsa mi sono emozionato quando Mario Natale, che ha arrangiato il pezzo, mi ha fatto vedere le partiture, mi è veramente venuto da piangere perché in quel momento ho realizzato che una mia canzone sarebbe stata suonata da una vera e grande orchestra come quella di Sanremo. L’aspetto spettacolare riguarda proprio tutti questi professionisti che stanno mettendo mano ad un pensiero nato nella mia cameretta, quello che provo è una sensazione davvero indescrivibile. Tra l’altro venerdì prossimo scenderò a Roma per fare le prove con l’orchestra, già me lo immagino come un grande regalo, un dono che custodirò gelosamente e che non dimenticherò mai».
Di recente hai dichiarato: “E’ tutto così assurdo, mi sembra di essere stato in metropolitana per tantissimo tempo e di essere finalmente sulle scale mobili”, sei consapevole del fatto che più che scale mobili Sanremo si avvicina alle montagne russe? Scherzi a parte, in questa frase c’è tutto il disincanto ma anche le difficoltà che porta con sé la gavetta. Ecco com’è stata la tua gavetta? Come hai vissuto questi ultimi anni?
«Sì, come osservazione forse è più corretta (sorride, ndr), ma quello che ho voluto sottolineare con questa frase è la grande voglia che ho di farmi ascoltare. Sai, quando ti ascoltano e apprezzano solamente i tuoi amici e tua mamma è bello, ma non è la stessa cosa. Quando vedi che il merito viene riconosciuto anche da altri, cavolo, ti sembra davvero di raggiungere la superficie, uscire dalla metropolitana e godere finalmente della luce del sole. Sono consapevole del fatto che d’ora in poi cominceranno davvero le montagne russe, mi sento pronto, ho lottato per questo, ho subito anche situazioni spiacevoli, mi sono fatto le ossa emotivamente parlando. Quindi, come dici, c’è davvero un desiderio di rivalsa, anche tra le righe del brano, ti ringrazio per averlo ascoltato così attentamente.
La mia gavetta è stata fondamentale, ho cominciato sin da bambino con un percorso di lirica, ma ho capito che non era il mio mondo, successivamente mi sono concentrato sui musical, bell’esperienza, ma non era nemmeno quello il mio mondo. Poi ho avvertito la necessità di comunicare quello che avevo da dire, ho iniziato a scrivere e così ho trovato la mia vera dimensione, con degli amici abbiamo formato un gruppo musicale e abbiamo suonato in giro nella zona di Brescia, ho speso tutti i miei risparmi per produrre i miei inediti. Sai cosa? Mi sono sempre detto che nella musica non conta solo il talento, ci sono tantissimi fattori da tenere in considerazione, il mio obiettivo è sempre stato quello di dare il massimo per sentirmi soddisfatto di quello che ho fatto, poter dire “ce l’ho messa tutta”, poi le cose possono andare bene o male, pazienza, l’importante è non avere rimpianti.
Non è facile andare a lavorare e investire tutto il tuo stipendio in qualcosa di incerto, è una scelta importante, un salto nel buio se vogliamo, ma è un rischio che mi sono sentito di correre, pur non avendo l’assoluta certezza di potercela fare. Chi fà musica e si autoproduce sostiene un sacco di spese, dalla realizzazione del brano al videoclip, passando per la promozione, è importante sottolinearlo perché per me tutto questo ha comportato tanti anni di sacrifici. Quello che mi sono sempre detto è: “non importa come andrà a finire, al massimo lavorerò dal lunedì al venerdì e nel weekend suonerò con i miei amici”, fortunatamente questo spirito mi ha sempre salvato, soprattutto nei momenti più difficili».
C’è un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?
«Sì, c’è stato un momento preciso. Sai, sin da piccolo mi sono reso conto che canticchiavo in modo intonato, ma il momento di svolta è stato quando mi sono posto la seguente domanda: “ma io… voglio fare musica perché mi riesce bene o perché mi piace veramente?”, non è stato facile darmi una risposta, sinceramente sono andato un po’ in crisi. La risposta l’ho trovata quando ho cominciato a scrivere, lì ho capito che buttare giù i miei pensieri mi aiutava a stare meglio. C’è stato un periodo particolarmente difficile, lo scorso anno ho provato a partecipare ad un talent show e non sono passato, ho pianto così tanto e ho sofferto al punto da voler mollare tutto. Non avevo fame, non avevo voglia di uscire con gli amici, mi sono messo al pianoforte e sono stato bene. Ecco, lì ho capito che si trattava di una necessità, di un bisogno imprescindibile, di cui non posso fare a meno, indipendentemente da come vada».
Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?
«A livello di scrittura amo follemente Giuseppe Anastasi, trovo i suoi testi molto di contenuto e poco di contenitore. Poi mi piace tanto Niccolò Fabi, adoro Tiziano Ferro, apprezzo molto Marco Mengoni, ma anche Elisa. Ovvio, del passato apprezzo molti pezzi scritti da Lucio Dalla o Francesco De Gregori, ma li preferisco ricantati da artisti con voci più universali, diciamo che dei cantautori del passato mi emozionano i testi, ma è un parere mio personale».
Prossimi progetti in cantiere e buoni propositi per il 2020?
«Stiamo lavorando al disco, non riesco ancora a crederci, uscirà in concomitanza della partecipazione al Festival. Ci lavoro da sei anni, non puoi capire la mia gioia nel poterti dire che tra poche settimane, finalmente, verrà pubblicato un album che porterà il mio nome. All’interno ci saranno undici brani, pezzi della mia vita: errori, amori, dolori, insegnamenti e pensieri che mi hanno accompagnato fino ad ora, diverse ballad ma anche pezzi più leggeri ed estivi. Tra la settimana di fuoco che mi vedrà impegnato a registrare le voci, i vari shooting fotografici e quant’altro, credo che questo mese passerà abbastanza in fretta. E’ un momento fantastico, che aspetto da una vita. Dunque, i buoni propositi sono alle stelle».
Al di là di come andrà Sanremo, quale sarebbe per te la vittoria più importante?
«Arrivare, comunicare, lasciare qualcosa, nel bene o nel male, spero nel bene (sorride, ndr), ma trasmettere qualcosa a qualcuno, magari far riflettere. Fine, non mi aspetto altro, perché io faccio musica per me stesso e se riesco a coinvolgere altre persone non può che essere un vantaggio, un plus, insomma: la mia vera vittoria».
Nico Donvito
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