A tu per tu con il cantautore toscano in occasione dell’uscita del suo quarto disco, intitolato “Nigio“
Ogni canzone ha la sua morale, ogni disco la sua storia. Reduce dalla sua terza partecipazione al Festival di Sanremo, la seconda consecutiva, Enrico Nigiotti pubblica il suo quarto progetto discografico, intitolato semplicemente “Nigio”, un lavoro contenente otto inediti tra cui spiccano i singoli “Notturna“ e “Baciami adesso“. Un album ricco e variegato, che abbraccia tematiche e sonorità diverse, mostrando nuove sfaccettature poetiche e vocali dell’artista livornese.
Ciao Enrico, bentrovato. Partiamo da “Nigio”, nuovo album che si intitola proprio come il tuo soprannome. Possiamo considerarlo, almeno fino a questo momento, il tuo disco più intimo?
«Guarda, sai che non ci avevo pensato? Potrebbe anche essere. E’ un disco dove svelo altri pensieri, non solo quelli riguardanti l’amore e la passione: nonostante io abbia portato a Sanremo un pezzo romantico come “Baciami adesso”, nel resto dell’album parlo di tante altre cose, mi sono raccontato moltissimo, senza filtri».
Pensi che nelle canzoni autobiografiche ci sia molta più universalità di quanto si possa immaginare?
«Secondo me sì, lo sto vedendo anche dopo il Festival, con una canzone apparentemente semplice ma vera. Sono contento che il pubblico la stia ascoltando e apprezzando, al punto da immedesimarsi, perché, alla fine, quando le cose sono vere non c’è bisogno di girare troppo attorno alle parole. Quando ti accorgi che le persone si rivedono in qualcosa che hai vissuto e hai voluto raccontare, è lì che la musica funziona».
Anche perché “Baciami adesso” lancia un messaggio positivo, un invito ad amarsi, a lasciarsi andare alla passione a discapito del nostro orgoglio. Ma alla fine l’hai capito tra testa e cuore chi vince?
«Vincerà sempre il cuore, anche quando facciamo finta di darla vinta alla testa (sorride, ndr). Questo è sicuro, perché alla fine è quello che conta, anche se sarà un duello infinito, molto spesso la testa comincia a dare cazzotti al cuore e inizia a fare cavolate, cose di cui magari poi ti penti, mentre se segui l’istinto piuttosto che la ragione, difficilmente accade».
Com’è stato tornare al Festival per il secondo anno consecutivo? Come valuti questa esperienza?
«E’ stato diverso rispetto all’anno passato, probabilmente perché sono cambiato anch’io. Ho voluto partecipare con l’idea di farmi vedere, per promuovere l’album e la tournée: l’input è stato differente per questo motivo. Lo scorso anno ci sono andato a braccia aperte, con lo spirito del “quel che succede succede”, mentre questa volta era tutto più mirato alla promozione e alla voglia di presentare il mio progetto al grande pubblico».
Devo farti i complimenti per la cover con Simone Cristicchi: avete emozionato e penso di parlare a nome di molti. Com’è avvenuta la scelta di questa canzone e com’è stato collaborare con lui?
«Collaborarci è stato facilissimo perché ha accettato subito e di questo lo ringrazio ancora. Ho scelto “Ti regalerò una rosa” perché volevo portare sul palco un messaggio diverso, toccare quelle corde emozionali che avevo toccato lo scorso anno con “Nonno Hollywood”. Questa volta ho cercato di far vedere i due lati di me, perché “Baciami adesso” è una canzone meno riflessiva, più diretta. In fin dei conti io sono entrambe le cose, fortunatamente».
Tornando al disco, mi hanno colpito in particolare tre pezzi: il primo è “Highlander“, cosa hai voluto immortalare in questo brano?
«E’ un po’ una canzone dedicata a me, ai miei amici, a chi conduce una vita alla “voglio vivere per sempre”, appieno, anche un po’ all’estremo, tutta d’un sorso. Spesso capita di affrontare una determinata situazione con la consapevolezza di sapere che, prima o poi, dovrà finire. Diciamo che “Highlander” poteva essere il pezzo di Sanremo, ma non volevo giocare di tattica ripetendo qualcosa di simile rispetto a quello che avevo proposto l’anno scorso, volevo fare una cosa diversa».
Il secondo è “Corso Garibaldi”, come descriveresti il tuo rapporto con Milano?
«Guarda, considero Milano un po’ come la mia fabbrica, per noi musicisti è il posto dove ci sono le radio e dove ha sede la discografica, il luogo dal quale arrivano notizie belle e brutte, da dove nascono e passano tutte le cose. Ho scritto questo pezzo proprio in Corso Garibaldi, per l’esattezza al civico 95, dove abita la moglie di mio cugino. Ero da solo, mi sono fatto un giro lì, era sotto Natale quindi l’atmosfera era un po’ malinconica, così ho buttato giù la mia visione, quella di un provinciale, perché Milano per me è un po’ come New York».
Il terzo pezzo è “L’ora dei tramonti”, com’è nata l’idea di far recitare sul finale alcuni versi da Giorgio Panariello?
«Sono stato ispirato da una novella di Bukowski, hai presente la scena del film “Barfly”? Quella con il protagonista al bancone del bar, tra l’altro il mio attore preferito Mickey Rourke, che si sfoga col barista e gli racconta la sua vita. La storia parla di un uomo che si lascia andare all’alcool non per dimenticare, bensì per rivivere ancora di più una passione che sembra essere andata via, perché in certe situazioni il dolore non è altro che il cuscino per rivivere certe emozioni, vai un po’ alla ricerca del dolore e del pianto per ricevere ancora quel piacere che non hai più. Alla fine ho scritto un monologo, ho voluto dare sfogo a questo personaggio facendolo parlare in prima persona, siccome sono un cane a recitare ho pensato di coinvolgere Panariello, anche perché mi piaceva vederlo in un ruolo per lui insolito. Onestamente penso che il risultato sia ottimo, sono molto orgoglioso di questo pezzo».
Insomma, argomenti vari, hai sicuramente abbracciato tematiche diverse. Dal punto di vista musicale, invece, colpisce anche la versatilità degli arrangiamenti, rispetto ai tuoi lavori precedenti ti sei divertito a sperimentare di più con le sonorità?
«Sì, ho sperimentato un po’ di più, ho voluto sottolineare anche l’aspetto chitarristico, cosa che in “Cenerentola” era meno a fuoco, ma che nei live viene fuori maggiormente. Siccome il mio pubblico era rimasto entusiasta durante i concerti, ho voluto riprodurre in studio più chitarre elettriche e assoli, un po’ più di me, perché essendo un musicista la chitarra è come se fosse la voce che ho tra le mani. Quindi ho deciso di sperimentare in questa direzione, senza andar fuori da ciò che sono io, bensì di colorare un po’ di più le canzoni che scrivo».
A proposito di live, a maggio tornerai in tournée, che tipo di spettacolo hai in mente per i teatri?
«Sarà uno spettacolo molto suonato, tant’è che ho ampliato la band, ho chiamato un chitarrista ritmico in più per avere più sound. Sarà un’esperienza, perché alla fine il teatro fa un po’ da cornice, è una dimensione molto intima, ci urliamo addosso le canzoni e ci respiriamo contro. Sarà molto emozionante».
Per concludere, se “Cenerentola” simboleggiava per te la rinascita e il riscatto, “Nigio” cosa rappresenta esattamente?
«La conferma. Come sempre ho scritto in maniera sincera, di getto, sputando versi sul foglio, ma con un pizzico in più di consapevolezza perché adesso conosco il mio pubblico, l’ho visto e l’ho conosciuto durante gli ultimi concerti. “Nigio” è un disco pensato per i live, regalato a chi mi segue, un album per loro e anche un po’ per me, fondamentalmente per noi».
© foto di Fabrizio Cestari
Nico Donvito
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