Raccontiamo l’attualità con una canzone
Quando gli chiedevano cosa davvero gli piaceva fare nella vita, Céline borbottava che a lui piaceva andare nei porti a vedere le navi partire e le navi arrivare. Lo faceva impazzire, quella cosa lì. Diceva che avrebbe potuto passare la vita, la vita intera, a guardarle. Non c’è bisogno di essere un genio del Novecento per avere una cosa che si starebbe a guardare per tutta la vita. Tutti ce l’hanno. La mia è andare ai concerti. Potrei passare esistenze intere dentro gli stadi o i palazzetti per vedere i concerti. E non intendo solo per il momento in cui la band suona. Macché. Quella è solo il fuoco che illumina e riscalda la stanza: ciò che davvero mi fa impazzire, è la stanza.
Per entrarci, nella stanza dico, bisogna avere un biglietto e già questa cosa mi fa sognare. Uomini e donne di ogni età e di ogni bellezza, ma con una sola differenza. Si può entrare solo se si possiede un biglietto: un pezzo di carta che stabilisce la differenza tra l’essere dentro o l’essere fuori. Ci penso e mi esalto non poco; poi un mio amico mi dice che è così che funziona l’economia mondiale, con la dovuta accortezza nello scambiare la parola “biglietto” con “denaro”. Allora ci ripenso e mi esalto di meno. Anche perché sono sempre quello che la coda se la fa tutta. Dannate biglietterie online. Va di forza che prima o poi ci entri. Le persone dentro sono già tutte davanti al palco e quindi, per pura conseguenza anatomica, non appena sei entrato ti ritrovi migliaia di persone che ti danno beatamente le spalle e il fondoschiena. Non proprio un ingresso trionfante. Ma il proprio orgoglio subisce un drastico rovesciamento in tali situazioni; infatti, senza una reale motivazione, nel cuore di ogni spettatore appena entrato nel concerto dimora una certezza indissolubile: quel posto non sarà più lo stesso ora che c’è lui. Affermazione esatta dal punto di visto fisico, un po’ meno dal senso pratico, ma andiamo avanti.
Nelle interminabili ore ad aspettare l’arrivo della band, ecco che si intravede un mondo nascosto: la sessantenne con la cresta verde, il ragazzino in tuta, la mamma emozionata con il figlio annoiato, coppie romantiche fuoriuscite direttamente da Beautiful, donne belle da far paura, donne brutte da far paura e via così. Come dicevo: un mondo nascosto, all’ombra della vita normale, ma in quei momento brillano di luce propria. Lucciole che trovano lì la loro notte. La cosa che più mi emoziona è l’assurdità del concerto in sé. Se ci si pensa – ma anche se non ci ci pensa – è una roba da pazzi: cosa porta migliaia di persone a condividere lo stesso minuscolo spazio tra sudore, puzza, contatto fisico diversamente attraente e odore di chiuso? E il bello è che tutti sanno già quello che succederà. Non è una imprevedibile partita di calcio o una manifestazione politica dove tutto può accadere: é un concerto. Sono canzoni. Canzoni che avrai già sentito chissà quante volte: ma davanti a quel palco, chissà poi perché, è come se fossero suonate per la prima volta. Geniale. Ed ecco che poi arriva la band e le parole non servono più: lì non c’è più nessun individuo, tutto si trasforma in un’orgia di corpi struscianti e di delirio poetico. È musica, ed è bello così. Capita che qualcuno svenga per il caldo e perde momentaneamente la memoria, allora quando rinviene gli sembra lecito chiedere ai vicini perché diamine si trova circondata da migliaia di persone.
“È ad un concerto” le dicono.
“Ah”.
E si ritorna a cantare a squarciagola.
Ma laddove il mio cuore veramente palpita, non a caso prende il titolo dell’articolo, è il momento del bis. Proprio per questo riporto la canzone di Elio E Le Storie Tese, forse la loro più “seria”, ma non per questo fuori dal loro genere. Sto parlando, per l’appunto, di “Bis”.
Non c’è da aver paura. È pur sempre una canzone di Elio, quindi si sogna e si ride, ma c’è anche il giusto spazio per commuoversi. È suonata, per rigor di logica, come ultima canzone dei loro concerti, e racchiude in sé un senso di malinconia e tenerezza da far venire i brividi. Un po’ una presa per i fondelli verso gli spettatori, un po’ filosofica, un po’ nonsense insomma: un po’ tutto, un po’ niente. Ma è in quella linea di confine – tanto amata dagli Elio e le storie tese- che c’è qualcosa di straordinario.
Io ho un debole per questa canzone e per i bis in generale. Guardo gli spettatori e lì vedo già pronti per uscire al freddo mondo, ma dai loro occhi traspare chiaro il desiderio di rimanere aggrappati, anche solo per un altro attimo, in quel bel sogno eterno che è la musica dal vivo. E i musicisti lo sanno, per questo tiranno fuori tutto e (si) regalano al pubblico. Questo è il bis, il rapimento prima della fuga. Bum. Mi piace talmente tanto che a furia di godermela ho finito per elaborare un sogno. Che anche agli uomini normali fosse data una possibilità del genere. Voglio dire, quando è il momento e stacchiamo, come di dovere, sarebbe bello che i parenti al capezzale incominciassero ad applaudire e chiedere a gran voce il bis, e sarebbe bellissimo se in effetti fosse data facoltà, al morto, di risvegliarsi un attimo, e concederlo, il bis, una piccola cosa, da niente, una smorfia per cui andava famoso in famiglia, o una delle frasi celebri, o un suo celeberrimo tic, cose così, piccoli bis: e poi applausi, e lui che schiatta per sempre, questa volta davvero. Sarebbe bello. Finisce che ci penso sempre, lì, al concerto, mentre sto a sentire il bis.
Poi una ragazza di fianco a me ha un calo di zuccheri e mi chiede dove si trova.
“È ad un concerto” dico io.
“Ah” fa lei.
E si ritorna a cantare il bis a squarciagola.
Ora non so che fine faranno i concerti dopo questa emergenza Covid; ma per adesso, ripenso ai bei concerti dove sono stato. Mi ricordo che una volta c’era Elio che non la finiva più di bissare (alla fine ne fece nove, di bis), insomma ero lì e non c’era fretta, così mi è venuto da pensare a quale bis concederò io, quando sarà il momento. Sarà stupido, ma mentre mi perdevo nelle acrobatiche suonate di Rocco Tanica al piano, ho pensato a tutte le possibilità possibili e alla fine ho deciso.
Non arriverò impreparato, a quel momento. So cosa farò.
Credo che alzerò un po’ la testa e dirò lentamente: “Pazza pizza a pezzi nel pozzo che puzza”.
E poi via, per sempre.
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