venerdì 22 Novembre 2024

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Silvia Mezzanotte: “Il mio messaggio d’amore contro la paura” – INTERVISTA

A tu per tu con la nota ugola bolognese per scambiare quattro chiacchiere tra musica e attualità

A un anno di distanza dalla nostra precedente intervista, ritroviamo con piacere Silvia Mezzanotte per ripercorrere con lei le tappe più importanti della sua carriera, dai successi con i Matia Bazar al suo percorso solista, per poi analizzare la delicata e inedita situazione che, a livello mondiale, stiamo affrontando con fatica, l’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19 che, seppur temporaneamente, sta profondamente sconvolgendo le nostre abitudini e il nostro stile di vita.

Ciao Silvia, bentrovata. Grazie per aver accettato questo invito, sono felice di poter fare questa chiacchierata con te in questo preciso e complicato momento storico. Come stai e come hai vissuto queste difficili settimane?

«Fisicamente sto bene fortunatamente, ho vissuto questo periodo a fasi alterne, all’inizio c’è stata la fase dello sgomento poi, piano piano, ce ne siamo fatti un po’ tutti una ragione. In più ho avuto un problema familiare con la mia mamma che non è stata bene, per fortuna tutto si è risolto per il meglio. Negli ultimi giorni mi sono trasferita a casa sua e reinventata infermiera, personalmente sto vivendo una fase più tranquilla, nella quale tutte le paure di prima sono diventate paura di seconda generazione, perché il peggio è passato».

Così hai potuto riprendere in parte in mano la tua vita, il tuo lavoro e la tua accademia grazie al web che, se utilizzato bene, può tornarci veramente utile…

«Assolutamente sì, i social sono stati un modo per restare vicino al mio pubblico. Personalmente questo Covid mi ha insegnato che si possono fare cose che prima non immaginavo, da tempo avevo il desiderio di poter seguire molti dei miei allievi conosciuti nei master in giro per l’Italia, logisticamente mi sembrava impossibile, ma con il Maestro Riccardo Russo (socio co-fondatore della The Vocal Academy, ndr) abbiamo messo a punto questa piattaforma mediatica, iniziando a fare insieme lezioni online, oltre a tante altre iniziative sul web tra cui “Master Show”, un format che mi sono inventata nel quale trasmettiamo i video di alcuni ragazzi che hanno voglia di esibirsi. Approfitto di questo spazio per invitare chiunque abbia voglia di scrivermi e inviarmi il proprio materiale a silvia@thevocalacademy.it e seguirci in diretta ogni giovedì dalle 17.30 sulla mia pagina Facebook».

I social network, forse mai come in questo momento, ci sono stati d’aiuto, addirittura ti sei data a TikTok, facendomi morire dal ridere. Ecco, vorrei che spiegassi a chi non conosce questo tipo di realtà, a parole tue, semplicemente: cos’è?

«Beh, TikTok è il modo più leggero di utilizzare il web, mettendo in risalto anche lati che, nel mio caso, non sono stati messi in luce dalla mia vita artistica. Chi mi conosce personalmente lo sa bene, amo scherzare e prendermi anche in giro. Per un po’ di tempo ho osservato perché volevo capire esattamente cosa fosse, poi mi ci sono buttata completamente. Mi piace molto far ridere, in più TikTok è un mondo dove non c’è il giudizio, puoi avere dieci o ottant’anni, vedo dei vecchietti che fanno delle cose meravigliose, credo che sia il social che in questo momento alleggerisce di più. Ho preso la decisione di cominciare proprio adesso perché, dopo una prima fase nella quale ovviamente ci siamo tutti disperati, dati da fare per quanto possibile, ho sposato diverse iniziative di beneficenza e solidarietà, poi ad un certo punto mi sono detta: “ok, adesso alleggeriamo e cerchiamo di dare una mano anche col sorriso”».

In questo 2020 festeggi trent’anni di carriera, perché possiamo considerare come tuo punto di partenza la prima partecipazione tra le Nuove Proposte di Sanremo, datata appunto 1990, con “Sarai grande”, anche se in realtà eri poco più di una bambina. Cosa ricordi di quel debutto e qual è il tuo personale bilancio sino ad oggi?

«Ricordo una grande, allegra e folle ingenuità, diciamo pure che sono stata catapultata dai locali al palco di Sanremo senza una reale preparazione, ho semplicemente partecipato ad una serie di provini per poter cantare una canzone che aveva buone probabilità di gareggiare al Festival, sono piaciuta e così ho esordit tipo Alice nel Paese delle meraviglie. E’ stata una bella esperienza, ma negli anni successivi la luce si è spenta, questo perché non avevo una struttura né personale né attorno a me, una condizione che mi permettesse di crescere in maniera adeguata. Così ho ricominciato tutto da capo, facendo tanta bellissima gavetta, lavorando con tanti altri artisti, esibendomi nei locali, sudando, soffrendo, partecipando a concorsi, prendendo una serie infinita di porte in faccia, ho commesso errori meravigliosi che, ancora oggi, sono diventati la base del mio approccio con gli allievi, cercando di dare loro quelle indicazioni che a me sono mancate».

Gli anni ’90 sono stati un po’ la tua palestra, fino ad arrivare all’incontro artistico più importante della tua vita, quello con Giancarlo Golzi, che ti ha aperto le porte del mondo dei Matia Bazar. Raccogli due eredità importanti, Antonella Ruggero e Laura Valente, e vivi degli anni davvero fantastici, coronati nel 2002 dalla vittoria del Festival di Sanremo. Lo so che è difficile trovarne uno solo, ma c’è un episodio che ti emoziona ancora oggi ricordare? Il primo che ti viene in mente…

«Io e Giancarlo avevamo un rapporto fraterno di reciproca gentilezza, comprensione, buonumore. Con lui l’atmosfera era sempre rilassata, anche se poteva esserci qualche tensione nel gruppo, perché è normale, ce ne sono state tante prima, dopo e durante, però tra di noi c’era sempre questo meraviglioso sorriso. Anche durante i concerti, c’erano sempre dei momenti precisi all’interno dello spettacolo in cui i nostri occhi si incrociavano per scambiarci  le sensazioni di quel momento. Ogni gruppo ha un proprio linguaggio, i componenti parlano la stessa lingua, nei Matia io sono sempre stata un po’ il quarto uomo, tra noi si era creato un rapporto molto solido, in particolare con Giancarlo, di fraterna amicizia».

Lasciati i Matia decidi di intraprendere la carriera solista, pubblichi tre album, “Il viaggio”, “Lunatica” e “Aspetta un attimo”, quest’ultimo pubblicato lo scorso anno, un titolo che è stato in qualche modo profetico, perché si riferisce a questa capacità di contare fino a dieci, di centellinare e ponderare le nostre azioni. Prima del Coronavirus c’erano persone abituate a guardarsi dentro e altre a guardarsi fuori. Quale eredità emotiva pensi che avrà tutto questo sulle nostre vite? 

«Spero che questo tempo possa aver permesso alla maggior parte delle persone di guardarsi dentro, cercando di darsi delle priorità, cioè per me dovremmo imparare a rispondere a tre domande: “chi sono, da dove vengo e dove voglio andare”. Del tempo per darci delle risposte lo abbiamo avuto, confido in un miglioramento della coscienza di massa, mi auguro che gran parte delle persone possa aver capito quanto è stupido correre dietro a tante cose, forse ci siamo  resi conto che siamo in grado anche di vivere con molto meno. Per quanto riguarda la mia categoria, che si è stretta e unita come non mai, l’augurio è quello che in futuro possa esserci una maggiore attenzione e ricerca della qualità, nel pieno rispetto sia degli artisti che del pubblico».

Per concludere, citando una delle tue canzoni di maggior successo, che messaggio d’amore ti senti di rivolgere alle persone che in questo momento si sentono sole non soltanto fisicamente, a chi vive nell’incertezza emotiva, a chi ha paura del futuro?

«In primis mi sento di dire grazie a tutti quanti, all’inizio gli altri Paesi ci hanno dileggiato e calunniato, invece noi abbiamo dimostrato di avere una qualità che nessuno di noi pensava di avere: la disciplina. Fatta eccezione per alcuni rari casi, siamo riusciti a comportarci in maniera esemplare. Alle persone che in questo momento non ce la fanno, mi sento semplicemente di essere loro vicina, gli aiuti stanno arrivando, purtroppo ci sono di mezzo la politica e la burocrazia, nemmeno il Covid è riuscito ad accelerare questi processi da sempre molto lenti. Il mio messaggio d’amore è l’ipotesi e la possibilità di tornare, in un lasso di tempo non troppo lontano, a fare musica con una consapevolezza diversa e, soprattutto, aperta a tutti. Tornare a raggiungere le persone fisicamente, con la voce e con gli abbracci».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.