venerdì 22 Novembre 2024

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Marco Manzella: “Le mie cose? Otto biglietti da visita diversi che mi raccontano” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore novarese, in uscita con il suo primo album da solista dal titolo “Le mie cose

Reduce dalla decennale militanza nella band de Il Disordine Delle Cose, per Marco Manzella è tempo di inaugurare una nuova stagione artistica. “Le mie cose” è il titolo del disco che segna il suo debutto solista, rilasciato lo scorso 27 marzo e anticipato dal singolo “Ostaggio”. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Marco, benvenuto. Partiamo da “Le mie cose”, cosa hai voluto inserire in questo tuo biglietto da visita musicale/personale?

«”Le mie cose” sono otto biglietti da visita diversi che raccontano di piccoli viaggi molto intimi dentro me stesso oppure attraverso persone a me molto vicine. Biglietti da visita che sono rimasti in tasca per tanto tempo e che finalmente ho deciso di tirare fuori».

Quali tematiche hai toccato e quali sonorità hai voluto abbracciare in questo lavoro?

«La tematica fondamentale è sempre il rapporto con le altre persone, i legami le relazioni profonde, i contrasti e le rivelazioni. In origine le sonorità erano quelle legate alle mie influenze musicali più legate agli anni ’90. In fase di produzione e di arrangiamento ho voluto coinvolgere Carlotta Sillano proprio per “ripulire” quel grunge almeno in superficie».

Chi ha contribuito con te alla realizzazione di questo progetto?

«Diciamo che ad un certo punto mi sono reso conto che da solo non sarei mai stato in grado di dare una forma definitiva alle decine di bozze che custodivo tra le note vocali del mio cellulare, e allora ho condiviso tutto con Carlot-ta, con Enrico Caruso che ha curato produzione, programmazione, mix e master e poi anche con Christopher Ghidoni (chitarre e cori), Daniele Bovo (violoncello), Cecilia (arpa in “Ostaggio”), Daniele Celona (voce in “Senza abbreviazioni”) ed Eugenio Cesaro (cori in “Ti dovrei parlare di me”)».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«Penso alla tarda età di vent’anni, quando, tornato dalle serate nei pub con gli amici della compagnia, passavo il resto della notte con il mio fraterno amico Nicola DiMarzo (cantante dei grandissimi Bandage), a comporre brani nostri in cantina, dotati solo di un mangiacassette con la funzione rec, da schiacciare rigorosamente insieme al tasto play!».

Quali ascolti hanno influenzato e accompagnato il tuo percorso?

«Potrei citare centinaia di gruppi, ma sicuramente il periodo storico musicale che ha segnato indelebilmente le mie influenze musicali, è quello rock di fine anni 80 e inizi anni 90 che è poi sfociato in una vera passione per il grunge: Pearl Jam, Dinosaur Jr, Soundgarden, Screaming Trees e Stone Temple Pilots su tutti».

Per dieci anni hai militato nel gruppo de Il Disordine Delle Cose, quali sono le principali differenze che hai ricontato tra l’attività con la band e il tuo impegno solista?

«Ho avuto semplicemente la conferma di quanto per me sia importante la condivisione. La cosa che mi manca di più in questo momento è proprio la relazione che si crea all’interno di una band, che è qualcosa di unico e per me irrinunciabile».

Veniamo all’attualità, alla situazione e all’emergenza che stiamo vivendo, la pandemia del Coronavirus ha mutato, seppur momentaneamente, il nostro quotidiamo. Tu, personalmente, come stai affrontando questo momento?

«Con serenità e con il dovuto rispetto delle regole. Lo vedo come un grande cambiamento della società che come tutti i cambiamenti prevede un grande sacrificio, ma che sarà anche fonte di uno sviluppo e di un’evoluzione sociale che ci permetterà di migliorare e di evolverci».

E’ prematuro parlare di conseguenze precise, ma quale impatto emotivo credi che avrà tutto questo sulle nostre vite? Ne usciremo davvero migliori come dicono?

«Penso e spero di sì, come tutte le volte che cambiamo qualcosa o che decidiamo di cambiare le nostre abitudini o le persone che frequentiamo… Lo facciamo sempre perché speriamo di migliorare. Adesso lo facciamo perché un virus ce lo impone, ma l’atteggiamento deve sempre essere costruttivo».

Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare?

«Mentirei se non ti dicessi che mi piacerebbe arrivare a più persone possibile, ma mi accontenterei delle persone che sanno ascoltare e apprezzare un disco per i suoi contenuti testuali e musicali, soprattutto perché hanno vissuto esperienze di vita simili e si sentono coinvolte emotivamente in qualche modo nelle atmosfere del disco».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.