venerdì 22 Novembre 2024

ULTIMI ARTICOLI

SUGGERITI

Tia Airoldi: “Scrivere canzoni non è una scienza perfetta” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore lombardo, in uscita con il suo singolo d’esordio intitolato “Isn’t it fine

E’ al suo debutto discografico da solista Mattia Airoldi, in arte Tia Airoldi, cantautore e docente classe ’87 che ha fatto della musica il proprio bagaglio di sensazioni ed emozioni. Affascinato dal cantautorato folk classico e contemporaneo, vanta già numerose esperienze internazionali, fino ad arrivare al suo biglietto da visita discografico “Isn’t it fine”, in rotazione radiofonica dallo scorso 29 maggio, colonna sonora dello spot Immobiliare.it, anzone composta a quattro mani insieme a Fabrizio Campanelli. In occasione di questa prima uscita, abbiamo raggiunto via Skype il talentuoso cantautore lombardo.

Ciao Mattia, benvenuto. Partiamo dal tuo singolo d’esordio “Isn’t it fine”, come nasce e come si sviluppa questo pezzo?

«Con Fabrizio Campanelli ci siamo conosciuti diversi anni fa, lui è un compositore, un professionista assoluto del suo settore. Il brano è nato in studio, con una sorta di ispirazione a vicenda, la sua mano è stata insostituibile, gran parte del merito è assolutamente suo, io ci ho messo la voce e qualche idea compositiva».

Dal punto di vista musicale pensi di aver trovato il sound che più ti rappresenta e che mette in risalto i colori della tua voce?

«Devo dire che considero questo pezzo in linea con il cammino che ho fatto finora, provengo da quello che è considerato il mondo della musica indipendente. Attraverso le esperienze che ho fatto, che continuo a fare con la mia band dei The Please e che ho intrapreso in maniera più marcata col mio percorso solista, ho sempre cercato di pubblicare canzoni che mi rispecchiassero, al contempo rappresenta qualcosa di nuovo proprio perché nasce da questa bella collaborazione con Fabrizio».

C’è stato un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?

«No, non credo ci sia stato un momento preciso, non ho avuto una folgorazione, però credo molto nella trasformazione dei rapporti, nel senso che non considero la musica necessariamente un dono, è a disposizione di tutti, ognuno può incanalarla come meglio preferisce, se ascoltarla o produrla. Nel mio caso si è trattato di un processo graduale, una serie di tappe, situazioni che mi sono capitate e che ho cercato, che mi hanno portato a essere quello che sono oggi».

Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?

«Come ho scritto sui social di recente, scrivere canzoni non è una scienza perfetta, ogni nuovo brano che viene creato, cantato e suonato non si sa dove possa arrivare. Nel momento in cui si crea è come se fosse una sorta di parto, successivamente quell’idea cresce e si evolve, un po’ come se mettesse le proprie gambe e andasse da sola, diventa quasi un entità autonoma. Secondo me, la massima aspirazione di una canzone è diventare talmente popolare e diffusa da essere di dominio comune».

Personalmente come hai vissuto queste settimane e tutte le conseguenze della pandemia?

«Fin dalle prime battute della pandemia, non c’era la percezione se quella situazione sarebbe durata tre giorni, una settimana, un mese o un anno, si navigava vista. Questo sentimento mi ha accompagnato per tutto questo periodo, di conseguenza non ho più fatto progetti a medio o lungo termine, ho cercato di vivere alla giornata, ancora di più rispetto a quello che già faccio. Nel bene e nel male mi muovo in un’ottica che è molto precaria in tutto quello che faccio, non è che abbia delle certezze, per cui ho cercato di investire il tempo tra pensieri e ciò che potevo creare, sia a livello musicale sia a livello didattico, perché insegno musica e in questo periodo è stato utile per tutti continuare ad avere un contatto con i ragazzi attraverso le lezioni online».

Al netto dell’attuale e generale incertezza discografica, quali sono i tuoi prossimi progetti in cantiere?

«Ci sono dei brani che rappresentano per me qualcosa di nuovo, ultimamente ho iniziato a confrontarmi con la scrittura in italiano, anche in questo processo Fabrizio mi sta spronando e mi sta aiutando, insieme stiamo collaborando nella stesura di questo materiale. Sicuramente continuerò a scrivere anche in inglese, perché mi viene abbastanza naturale. Parallelamente spero di poter portare avanti anche gli altri aspetti del mio vivere musicale, dalla musicoterapia alla didattica di cui ti parlavo prima».

Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare in futuro?

«Non riesco a targettizzare il mio ipotetico pubblico, mi auguro che la mia musica possa arrivare alle persone che la sentono propria dal primo momento. Credo molto in quella che può essere una prima impressione positiva, poiché reale».

The following two tabs change content below.

Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.