Raccontiamo l’attualità con una canzone
Io non so se il lettore è avvezzo a certe cose. Ad esempio: se ne va tranquillamente per strada, guardando chi passa non facendo caso a nessuno – e d’improvviso, svoltando l’angolo, senza avviso né sospetto, scopre una verità fondamentale, una nuova legge sulla natura, l’ingrediente segreto metafisico, la formula esatta. Ciò accade in un folgorante secondo, finito il quale egli torna alla sua quotidiana condizione, ossia di uomo o donna senza problemi più alti della sua testa.
Anche a me, che sono molto disincantato, capitano cose del genere. L’ultima volta che mi è successo è stato circa un’ora fa – frase che, sarete d’accordo con me, non vuol dire assolutamente nulla visto che “un’ora fa” scritto su carta o sul computer non potrà mai essere fisicamente veritiero agli occhi del lettore che chissà quando leggerà codesto articolo, di certo non un’ora dopo che io l’abbia scritto, per via di quella legge, non enunciata da me, riguardo il tempo e la sua relatività; sia quindi paziente il lettore e sorvoli sulla precisione delle indicazione temporali e si concentri sul contenuto di cui sto scrivendo. Accaduto un’ora fa.
Me ne stavo lì, camminando tranquillamente per strada, quando mi imbattei nel nuovo singolo di Edoardo Bennato: “La realtà non può essere questa”, composta assieme a suo fratello Eugenio Bennato. Sono rimasto fermo ad ascoltarla a lungo. Che pezzo ragazzi, intriso di quello stile semplice ed essenziale del Bennato anni 70’ ma con la maturità di uomo che ne ha viste e raccontate tante, ma che rimane e che rimarrà per sempre un mito indiscusso. Perché Bennato è uno così. Lo ascolti e ti sembra di aver capito tutto. Poi ti basta appena appena cambiare punto di vista e ci trovi dietro un’universo enorme da scoprire. La sua musica la vedi meglio se non la guardi dritta dritta: una cosa che vale anche per la verità, o così almeno diceva Benjamin. Giri intorno ai suoi testi facendo finta di essere lì per altro: e allora la vedi. La luce. Non parlo di una cosa abbagliante, è più come una piccola fiammella. Ma che mondo dentro quella fiammella. Se non credete a me, allora credete a lui:
“La realtà
E tutta l’illusione
di chitarre che suonano da sole
Nel silenzio di nessuna festa
La realtà non può essere questa”
Per farvi capire meglio, io me ne stavo lì sulla strada ad ascoltare Bennato, con il mio gelato in mano – dettaglio inutile ma che caratterizza meglio la scena. Cioccolato e fragola, se proprio il lettore è minuzioso nei dettagli – e fu allora che scoprì la mia legge fondamentale. Un’ora fa, pensi un po’, ho scoperto che la realtà è una violenta metafora. Per un minuto, sono stato l’uomo più felice dell’universo: avevo appena formulato in una frase semplice e ragionevolmente lapidaria tutta una teoria filosofica. In mezza dozzina di parole (le conti, vedrà che non sono più di sei) avevo riassunto la mia vita personale, la sua, lettore, e quella dell’intera umanità. Con l’ego alle stelle e il nobel alle porte, mi sono guardato attorno in cerca di discepoli ma non ho incontrato nessuno che mi sembrasse degno dell’opera di catechesi cui mi accingevo. E meno male. Perché subito dopo, ne ho parlato con un mio amico di fiducia e costui mi disse che questa cosa l’avevano già detta nel film “Il postino” di Troisi. Offeso nel mio amor proprio di illuminato ed eletto, sono ammutolito. Perdere il fazzoletto, il portafoglio, il mazzo di chiavi, oppure il giudizio, succede a tutti – ma perdere una teoria filosofica è dura. Molto dura.
Me ne tornai a casa distrutto e annichilito da questi arroganti e improvvisati filosofi che mi anticipano le idee filosofiche più belle. La realtà è una violenta metafora. Da adolescente avrei detto una bella metafora, ma non è mai troppo presto per abbandonarsi al cinismo. Me lo sono andato a riguardare quel video del Postino di Troisi. E giusto per confermare il detto “mal comune mezzo gaudio”, qua ve lo ripropongo.
La cosa più affascinante non è la domanda in sé, né la dolcezza infinta con cui Troisi recita questa scena. Ciò che più mi ha colpito è che non ci sia risposta. Il poeta, alla fine, prende e se ne va dritto nel mare. Capite? Un postino, dubbiamente poeta, ti mette in crisi con una domanda tutta la tua arte e filosofia, e tu cosa fai? Te ne vai a fare il bagno al mare.
Un’ora fa me ne stavo girando con la mia frase geniale in tasca, poco dopo ero distrutto sia perché non era geniale, sia perché non era del tutto mia (ma in tasca me la sono tenuta lo stesso). Ora invece sono qui, a prendermi in giro da solo guardando questo video e ripensando a quella canzone che fa da sorgente poetico di questo articolo. “Naufragar m è dolce in questo mar” diceva qualcuno un po’ di tempo fa (più di un’ora, questo è certo). Non è proprio cambiato niente. Questa cosa che chiamiamo “realtà” continua a sfuggirci. Forse è solo entrando dentro, nel cuore palpitante delle emozioni e dei sentimenti che serbano nel nostro animo, che possiamo accorgerci di come tutto questo sia solo una metafora di qualcos’altro. Qualcosa che ancora non comprendiamo. Qualcosa che l’arte e l’uomo cercano da migliaia e migliaia di anni. E che cercheremo ancora, ancora e ancora. Quel che è certo, è che la realtà non può essere questa qui che vediamo per strada, nella televisione o nei film, nelle canzoni, o nei matrimoni e nelle più belle poesie.
Quel mio amico di prima, che per cortesia legge tutte le cronache che scrivo, l’altro giorno mi ha guardato, in tono mezzo vergognoso e vendicativo, e mi ha detto che nei miei articoli faccio tante domande ma non metto mai nessuna risposta. Al momento mi sono sentito confuso e pieno di vergogna. Ma adesso, arrivato a questo punto dell’articolo e in cerca di un finale trovo la risposta che non trovai allora e che mi vendica totalmente. “Leggi due volte, amico, leggi due volte”.
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