Raccontiamo l’attualità con una canzone
Se la lunghezza con la quale spiego alcune tematiche nei miei articoli fosse paragonata alle quantità di cose che ho imparato su di esse, non credo supererei mai le tre parole. In questo caso, nell’articolo di oggi, le tre parole esatte che riassumono tutto ciò che ho da dire, sarebbero queste: mannaggia a Shakespeare. Spiego meglio dall’inizio, laddove dicono sia meglio cominciare.
Una cara amica mi consigliò di leggere Shakespeare, e così feci; anche se il verbo leggere, con Shakespeare, non è molto adeguato. È una cosa che riguarda più il corteggiamento. Tutto procede in maniera dolce e pulita senza che tu debba fare il minimo sforzo. E così, dalla morte di Laerte al bacio di Giulietta, cominci a sentire un’emozione tipica proveniente dal mondo della seduzione. Ovvero: più balli e più vorrai ballare. Per questo, Shakespeare, non lo puoi leggere, puoi solo farti sedurre. E ti seduci eccome. Ad un certo punto mi sono fermato e ho osservato la mia mano. Non notando nessun mignolo alzato mentre bevevo il tè, ho ripreso la lettura, o meglio, il corteggiamento.
Non voglio fare una recensione dei testi shakespeariani, né questo è luogo né sarei capace di farlo. Voglio solo fare luce su una cosa piccola che accade più o meno a poche battute prima di ogni finale. C’è un momento, a volte per un omicidio, a volte per una rivelazione, in cui per la prima volta in tutta l’opera, i personaggi, si guardano. Mi spiego meglio.
Per tutta la storia c’è sempre qualcuno che vuole fare casino, vuoi per una donna, vuoi per vendetta, e così mette in gioco tutta un’architettonica ruota di intrecci e guazzabugli pur di dar vita al suo desiderio. Umanità a trecentosessanta gradi. Fin qua, nulla di nuovo. E allora tutti si rincorrono, gli amanti non si capiscono, gli amici fraintendono, le donne si feriscono, i fratelli si lasciano e la ruota gira gira e gira ancora. E tutto sembra finire nel disastro più totale, tranne che, proprio alla fine, tutti i personaggi si guardano negli occhi e sembrano rivedere tutta l’opera dall’inizio. E può sembrare folle ma l’unica cosa che tu leggi nei loro volti, dal più carogna al più nobile, è un’esigenza lancinante di chiedere scusa. Scusa un po’ per tutto, per i loro atteggiamenti, per il fato bastardo, per la loro misera condizione di poveri Cristi. Morti per terra, sangue per le strade, ma nelle loro bocche il suono di un bambino che ha capito di aver commesso qualcosa di brutto, e si sta vergognando. Allora guardano gli altri e vedono le scuse che neanche loro riescono a dire, e così nelle tragedie come nelle commedie, tu piangi, tu ridi, ma soprattutto, tu abbassi gli occhi e ti viene da chiedere scusa.
È il cuore di tutta l’opera, di tutta la storia, di tutte le storie. Passare un’intera esistenza, con i propri dolori, con i propri sogni e tormenti, per arrivare lì, alla fine della giostra, da solo o in compagnia, a chiedere scusa. Ma più di tutto, a chiedere scusa a te stesso, alla parte più nobile e buona di te. Quella per cui non ti senti poi una brutta persona, quella che si preoccupa degli altri, quella che ti rende vivo e felice. Per questo, ti chiedi scusa per come ti sei tradito dall’essere quello che sei veramente.
Caterina Cropelli, cantante trentina molto talentosa, nella sua canzone “Quando”, non dice poi una cosa tanto diversa da questa.
“Quando non avrò un buon argomento per parlare con te
Mi amerai lo stesso?
Quando l’età non sarà quella giusta per poter stare con te
Mi darai un momento?
Nulla è per sempre
A parte lo sguardo che ci resterà addosso
Come la sensazione”
È in quel momento lì, quando tutte le maschere vengono meno e quando le parole più non servono a nasconderti. Lì, in quel gesto lì, ti accorgi che da solo non ce la fai. Nessuno dei personaggi di Shakespeare, da solo non ce la fa. Nè il più cattivo, né il più nobile. Tutti soli, in questa grande barca della condizione umana.
Mi viene da pensare che tutti i film, tutte le canzoni e le opere teatrali, alla fin fine, nella loro essenza più profonda, cercano, in tutti i modi possibili, di insegnarci questa cosa qui. Questa cosa che Shakespeare riusciva a fare grazie a uno’ d’inchiostro e a 8 metri quadri di palco. Raccontarci il gesto che ricerchiamo tutta una vita, quando finalmente, senza trucchi né doppi fini, tutti sono semplicemente sé stessi, e allora, tra le lacrime, la liberazione.
Non so, forse devo farmi consigliare qualcosa di più leggero la prossima volta. Per ora mi tengo stretto i vari Amleto & Othello e mi porto a casa questa lezione: puoi leggere tutte le storie e opere che vuoi, ma alla fin fine, leggerai sempre diverse sfumature di te stesso. E con Shakespeare è così. Finisci di leggerlo e finirai per sentirti un po’ più triste. Ma anche un po’ più vero. Mannaggia a Shakespeare.
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