venerdì 22 Novembre 2024

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Veronica Ventavoli e la rinascita artistica con “Senza di te” – INTERVISTA

L’artista toscana torna sulle scene discografiche con un singolo che rappresenta l’inizio di un nuovo percorso

Si intitola “Senza di te” il brano composto da Antonio Ianni e Tony Simeone che segna il ritorno di Veronica Ventavoli, a dodici anni di distanza dalla sua partecipazione al Festival di Sanremo del 2005, dove si classifica al terzo posto tra le fila delle Nuove Proposte con “L’immaginario”. L’anno successivo pubblica l’album “L’amore è semplice” e tenta di tornare al Teatro Ariston altre due volte, nel 2010 con “Ma l’amore che cos’è” e nel 2011 con “L’amore si deve imparare”. Una lunga assenza dalle scene discografiche ma non dalla musica, che ha continuato a coltivare esibendosi dal vivo nel progetto Acusticanto Project Live.

Veronica VentavoliCiao Veronica, partiamo dal tuo nuovo singolo “Senza di te”, cosa rappresenta per te questa canzone?

«Se vogliamo, si tratta di una rinascita sotto un duplice punto di vista: il testo parla in maniera ironica della riconquista della libertà dopo una storia d’amore soffocante da parte di una donna. Il pezzo di per sé rappresenta la ‘riconquista’ di un mio piccolo spazio nell’ambito della musica leggera dopo anni in cui mi sono dedicata principalmente ad altro».

Questo brano segna il tuo ritorno sulle scene dopo dodici anni di silenzio discografico, periodo nel quale ti sei concentrata negli studi. Come hai vissuto il tuo rapporto con la musica in questo lasso di tempo?

«Non ho mai davvero smesso di ‘fare musica’: non è stata più la mia priorità, diciamo, rispetto agli impegni universitari, allo studio del doppiaggio e ai primi lavori in ambito giornalistico, ma ogni volta che si presentava l’occasione di suonare dal vivo con varie formazioni o per eventi di beneficenza non mi sono mai tirata indietro. Inoltre ho mantenuto più di un rapporto di amicizia con professionisti del settore».

“Senza di te” rappresenta anche un piacevole ritorno alle sonorità anni ’80 e 90’. Non credi che riscoprire quel glorioso passato musicale sia il modo più originale per distinguersi nell’omologato mercato discografico di oggi?

«Non mi sono interrogata su questo, nel senso che non mi sono soffermata a pensare quale potesse essere il modo per distinguermi in mezzo all’odierna produzione pop. Scelgo di provare quei pezzi che sento adatti a me e questo fin dai primi anni. Soltanto durante il periodo sanremese (e subito dopo) i condizionamenti sono stati molto maggiori, sia perché la posta in gioco era percepita come altissima, sia perché con il team del tempo il rapporto non era trasparente e diretto come invece quello che mi lega al gruppo di lavoro attuale (Antonio Ianni, Paolo e Andrea Amati, la APbeat Edizioni e, per quanto concerne ‘Senza di te’, Tony Simeone). Sono cresciuta negli anni ’80 e molta produzione di quegli anni, soprattutto italiana, è parte di me, quindi le atmosfere di ‘Senza di te’ rispecchiano appieno il mio modo di intendere la musica».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come è nata la tua passione per la musica?

«Come per molti dei miei colleghi più famosi, è nata con me. I primi ricordi che ho mi vedono impegnata a imitare i cantanti del tempo; stiamo parlando dei primissimi anni ‘80. Lucio Dalla, Ornella Vanoni, Cristina D’Avena. Intorno ai sei, sette anni, oltre ad imitarli, ho cominciato a cantare con la mia voce di bambina i pezzi che ascoltavo alla radio o al Festivalbar e a inventare melodie e testi di canzoni che non scrivevo né suonavo (non ho mai imparato a suonare nessuno strumento) ma che ripetevo quotidianamente, per mesi e mesi, fino a memorizzarli. Tutto avveniva fra le mura della mia cameretta, ma spesso anche davanti ai vicini e ai parenti, incuriositi dai mini-spettacoli che mettevo in piedi coinvolgendo (ma, vista la bambina teneramente dispotica che ero, sarebbe più corretto dire ‘obbligando amichevolmente’) compagni di giochi e di scuola».

Quali artisti o generi musicali hanno ispirato e accompagnato la tua crescita?

«I primi 45 giri della mia collezione sono tutti di musica prettamente sanremese o comunque ‘televisiva’: ho imparato a parlare molto presto e pare che chiedessi a mia nonna, che era molto giovane e che mi ha cresciuta, di comprarmi questo o quel brano che veniva presentato in tv. L’amore e il profondo rispetto che tuttora nutro nei confronti della musica italiana che per tanti miei coetanei è spazzatura, credo trovi qui le sue radici. Soltanto a partire dai 13 anni ho scoperto l’esistenza di musica diversa da quella proposta nei programmi televisivi di successo (Vota la Voce, Festival di Sanremo, Azzurro ecc.). Artisti che ammiravo da bambina e che ancora oggi amo sono sicuramente: Luca Carboni e Lucio Dalla, David Bowie e Annie Lennox».

Hai cominciato a cantare sin da giovanissima, prendendo parte a numerosi concorsi e manifestazioni canore, tra cui nel 2004 all’Accademia della Canzone di Sanremo, che ti ha permesso l’anno seguente di approdare al Festival di Paolo Bonolis, classificandoti al terzo posto tra i giovani con “L’immaginario”. Che ricordo hai di quell’esperienza?

«Ricordo una paura che non avevo mai provato prima né ho mai provato dopo: qualcosa di profondamente diverso rispetto alla ‘fifa’ dei provini o degli esami scolastici e universitari. Una paura talmente grande che mi tagliò di netto la voce, durante la serata d’esordio, nel primo minuto dell’esibizione. Nel giro sono sempre stata quella del ‘bòna la prima’, per cui l’aver stonato la dice lunga sul terrore che un palco come quello sanremese può incutere anche in chi ha una lunga gavetta alle spalle. Al di là di questo, il periodo sanremese, iniziato per noi Giovani un paio di mesi prima con le prove e la frequenza del CET di Mogol, fu per me una gita scolastica sui generis: adrenalina pura, grandi aspettative, profondo senso di condivisione».

Rispetto a quella bellissima ballata firmata da Diego Calvetti e Mario Ciappelli, torni oggi con un brano leggero e diverso, frutto di un tuo cambiamento personale oltre che professionale?

«Sicuramente sono cambiata come persona, essendo trascorsi 12 anni da allora, e sono più consapevole. Quello che canto adesso è quel che sono adesso. Sono emotivamente legata a ‘L’immaginario’, ma con l’immagine sanremese che certa stampa e addetti ai lavori mi cucirono addosso non ho ancora fatto pace del tutto, perché nel tempo mi ha ostacolata bollandomi come quella che può cantare solo un certo tipo di cose. Da qui la decisione di dedicarmi ad altro».

A proposito di cambiamenti, in cosa trovi migliorato e in cosa peggiorato il settore discografico rispetto alla pubblicazione del tuo primo disco datato 2006?

«Leggo che stiamo vivendo un periodo difficilissimo, che i talent hanno fagocitato tutto il resto, che non esistono più i talent-scout a caccia di artisti nei pub e nei contest. Non saprei dirlo, mi fido di chi si muove in questo ambiente da anni e ha modo di notare le differenze. Per quanto mi riguarda, ricordo come estremamente faticoso il settore già ai tempi in cui cercavo di farmi strada: i provini andati male o in cui per un soffio non rientravo fra i prescelti non si contano. E vedendo quelli che poi ce l’hanno fatta uscendo dai talent di casa nostra, come Noemi o Marco Mengoni, credo che al netto delle difficoltà oggettive la differenza continui a farla quel mix di ingredienti che non sempre è possibile riuscire a indovinare: ci vuole costanza e determinazione, ci vuole il mettersi in gioco continuamente anche reinventandosi, ci vuole un pizzico di fortuna un po’ come in ogni ambito della vita quotidiana. E a volte anche tutto questo non basta per restare a galla».

Veronica VentavoliTornando al tuo nuovo singolo, seguirà un nuovo album? Quali sono i tuoi progetti futuri e/o sogni nel cassetto? 

«Sta per uscire un altro singolo, accompagnato questa volta da un video, che anticiperà un album contenente anche alcune cover piuttosto insolite, riarrangiate in quella chiave smaccatamente anni ’80 cui facevi riferimento poco sopra. Inoltre è previsto un tour, fra la primavera e l’estate del 2018, in cui molto probabilmente non sarò sola ma mi alternerò sul palco con altri artisti i cui nomi sono al momento top secret».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorresti trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la tua musica?

«Non ho messaggi precisi da dare, se non quelli veicolati dai singoli brani. La verità è che quando canto pezzi che mi piacciono, inediti o meno, sto profondamente bene e vorrei che chi mi ascolta stesse altrettanto bene. Questo sarebbe proprio il massimo».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.