A tu per tu con il popolare cantautore romano, in occasione dell’uscita di “Zerosettanta – Volume 2“
Settanta primavere portate con impegno e sfoggiate con ispirazione, due elementi che da sempre contraddistinguono il percorso di Renato Fiacchini, per tutti Renato Zero, idolo per almeno quattro generazioni, che abbiamo il piacere di ospitare sulle nostre pagine in occasione dell’uscita di “Zerosettanta – Volume 2“, disponibile nei negozi tradizionali e negli store digitali a partire dallo scorso 30 ottobre. Anticipato dal singolo “L’amore sublime“, il disco contiene in scaletta quattordici tracce di notevole fattura, canzoni dal retrogusto di giovinezza, dotate di una chiara, trasparente e coinvolgente consapevolezza artistica.
Ciao Renato, benvenuto. Partiamo da “Zerosettanta – Volume 2”, secondo capitolo di una trilogia in cui ciascun episodio esce ad un mese di distanza dall’altro, per un totale di quaranta brani inediti. Avevi molto da raccontare?
«C’è sempre tanto da dire, tanto ancora da scrivere. Io ho sempre addosso una certa premura, come se fuori dalla porta ci fosse un esattore, perennemente avido di riscuotere profitti dalle mie esperienze. Forse il funzionario è la mia stessa coscienza. Comunque mi sono speso ancora una volta, più generoso che mai. Il mio compleanno si festeggia così: con la mia penna ancora calda di scrittura e con il microfono acceso, poiché mai sazio di ricevere le mie attenzioni».
In “Vergognatevi voi” tracci un marcato confine tra classe popolare e classe politica. In riferimento a quello che stiamo vivendo in questi giorni, alle scene che sono sotto gli occhi di tutti, riecheggiano frasi come “superata la paura tutto tornerà com’è”. Non è la prima volta che affronti questo tema ma, secondo te, c’è qualcosa che stiamo dando per scontato? Sia da una parte che dall’altra…
«Penso che la visione totale della società italiana, già prima del Covid, andava presa in considerazione per il suo essere così multiforme. I problemi devono essere identificati da ceto a ceto, da professione a professione. Credo che l’errore dei politici sia stato fare di tutta l’erba un fascio, non andare a posizionare la lente sulle varie condizioni del popolo italiano, similari ma non omologabili. Ogni categoria e ogni regione possono essere lontane tra loro e questa distanza, spesso, l’ha creata la stessa classe politica nell’amministrare le ripartizioni degli aiuti e delle competenze. Trovo che il sud sia stato lasciato al buio, nonostante la popolazione meridionale si sia sempre distinta, brillando per la loro manodopera, per la loro forza e per i loro risultati. Dobbiamo tornare a riconsiderare questa parte del Paese che è stata completamente oscurata, aggiungiamoci pure questa condizione degli extracomunitari: un altro fardello di cui si fanno carico queste regioni. Al di là di tutto, penso che la salute del popolo italiano sia la salute della nazione stessa, che ci potrebbe preservare meglio dalla catastrofe che stiamo vivendo».
Cosa manca di quel fermento artistico, di cui tu stesso hai fatto parte, alle nuove generazioni?
«Avere l’opportunità di potermi confrontare con le nuove generazioni è un valore del quale mi servo per meglio comprendere quello che sono oggi, quello che scrivo e interpreto. Nei giovani appare sempre più evidente questa loro solitudine, che proviene sicuramente da un esercizio di tutela e di conservazione che sembra essere scaduto come lo yogurt. In passato, anche se vivevamo comunque la precarietà dell’artista, l’imbarazzo del non essere collocabili ci permetteva di trovare l’opportunità di sentirci noi stessi e di inserirci, come ho fatto io ad esempio nelle parentesi del teatro o del cinema, dove mi sono affrancato perchè la musica non mi dava sicurezza, inizialmente sembrava non interessarsi al mio caso. In quell’epoca lì noi eravamo in grado di essere intercambiabili, collezionando esperienze di vario stampo. Dai pianobar ai circoli, c’era modo e possibilità di verificare il proprio talento e il proprio rendimento».
E adesso?
«Adesso non ci sono più le cantine e i piccoli club, tutto ormai è svanito, è rimasta una discografia molto fragile, molto inconsistente. Questo porta ad accontentarsi del poco che si può racimolare con un loop e una serie di plug-in. Da parte nostra, bisogna che ci sia il desiderio di chiamare gli amici musicisti, convincere i giovani a coltivare lo studio di uno strumento, perchè la musica va fatta insieme. La difesa della nostra professionalità dipende da quanti siamo a fare la musica, perchè la solitudine di fronte ad un Pro Tools è comunque solitudine, ti chiude complessivamente all’abbraccio e alla verifica con altre realtà musicali. L’intercambiabilità non c’è più e questo è doloroso, speriamo si tratti di una condizione non definitiva».
In “Troppi cantanti pochi contanti” dici: “Ora mi aspetto rispetto e chi prenda il mio posto si impegni di più”. Sei soddisfatto dell’accoglienza ricevuta con il primo capitolo?
«Guarda, quella è una sorta di ironica richiesta che ho voluto mettere nel pezzo, perchè il rispetto lo si pretende soprattutto da se stessi, se proprio vogliamo essere onesti. Se dovrò, e succederà, rinunciare ad essere Renato Zero, a fare i miei lavori e i miei tour, mi piacerebbe che quel posto che lascio vacante fosse occupato da qualcuno che mi rispetta, in quanto votato a fare gli stessi sacrifici che ho fatto io, impegnandosi come mi sono impegnato io, facendo le esperienze che ho fatto io… in questo senso esigo rispetto, tutto fuorché essere sostituito da un pressapochista».
Per concludere, data la tua onestà intellettuale, pensi ci sia davvero qualcuno che possa prendere il tuo posto?
«Secondo me Ultimo è uno di quelli, Diodato è un altro. Insomma, non è che ci sia proprio una carenza così rigogliosa. Lascerei un pochino transitare questa fiumana, questo grosso agglomerato di proposte che piovano e che si presentano una dietro l’altra. Mi piacerebbe che ci fosse meno concentrazione di progetti e più consapevolezza, la selezione potrebbe anche avvenire naturalmente, ma solo con l’ausilio di una coscienza diversa».
© foto di Roberto Rocco
Nico Donvito
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