Si cerca l’alternativa ma ci si dimentica del contesto
A X-Factor 14 sono insorti più o meno tutti dopo che, nell’ultima puntata, i Melancholia, band in forza alla squadra di Manuel Agnelli, sono stati eliminati a sorpresa da parte del pubblico televotante che, di fatto, ha spiazzato tutti con un giudizio quanto mai inatteso. Si sono spese, poi, parole importanti, le scintille tra i giudici non si sono fatte attendere e per il resto della puntata abbiamo assistito a facce lunghe e tetre da parte di chi, in pieno disaccordo, è rimasto seduto al tavolo solo per dovere contrattuale e per portare a casa la puntata.
Digerito il boccone amaro lo show di Sky Uno si appresta a vivere la propria puntata di semifinale con i gioco ancora una band per la squadra di Manuel Agnelli (i Little Pieces of Marmelade), un over per Mika (N.A.I.P.), due under donna per Hell Raton (Mydrama e Casadilego) e un under uomo per Emma (Blind). Un altro partecipante verrà, dunque, eliminato prima della finalissima di giovedì 10 dicembre che decreterà il nuovo vincitore del talent nella sua edizione più breve.
Una riflessione, però, sorge spontanea prima che vadano in scena gli ultimi due atti di questa avventura che, è giusto riconoscerlo, ha risollevato, almeno negli ascolti, le sorti di un format dato per spacciato nemmeno un anno fa. A che cosa stiamo davvero assistendo nel corso di quest’edizione? La risposta è presto detta: ad una sagra estremizzata del finto radical chic.
Tutti, nessuno escluso, sono alla ricerca del fenomeno discografico più strano, più diverso, più estremo. X-Factor non vuole più essere un talent show alla ricerca della nuova popstar da catapultare in vetta alle classifiche di vendita mainstream come è riuscito ampiamente ad essere all’inizio della propria esperienza televisiva. La nuova ragione d’esistenza del format è trovare e mostrare l’estremismo musicale, un finto radical chic che può convincere o no ma deve obbligatoriamente stupire per la propria avanguardia e stranezza. Non a caso le parole più frequentemente utilizzate nel corso di queste ultime puntate sono “rivoluzione” e “novità” rispetto al programma. Programma che, per stessa ammissione di uno dei suoi giudici, ha “fallito” ora che ha perso la cosa più alternativa (davvero?) di cui disponeva.
E così finisce che se Manuel Agnelli ha voluto presente al pubblico il suo estremismo rock che in Italia mai ha davvero funzionato (e mai funzionerà) da un punto di vista discografico persino la popolana (nel senso puro e buono del termine che sta a significare “donna del popolo”) Emma si è sforzata di selezionare talenti “alternativi” rispetto a quella musica facilmente accessibile che lei stessa ha sempre prodotto e proposto. Lo stesso dicasi per Mika che è riuscito ad ergersi difensore dell’alternative per un talento come N.A.I.P. che già ora non ha alcun presente, figuriamoci futuro, discografico. E che dire di Hell Raton se non che si è macchiato del crimine, reale e non presunto, di omologare tre voci diversissime ad uno schema preconfezionato per tentare di sfruttarle, poi, a proprio piacimento per qualche featuring nei dischi di cui è produttore?
Fuffa. Tutto è una grandissima fuffa che sa di inconsistenza, di caccia al diverso senza comprendere che il compito di un buon giudice in un talent show non è esaltare il diverso o peggio ancora istruire il pubblico rispetto all’alternativo ma comprendere il posto in cui ci si trova, i mezzi che si hanno a disposizione ed il potenziale che può e deve essere sfruttato. Il pubblico ha certamente bisogno di essere “istruito” e guidato in un percorso di ricerca musicale che porti ad ampliare sempre di più gusti e conoscenze per sfuggire ad un’omologazione svilente ma questa missione non può, e soprattutto non deve, essere perseguita in un talent show a spese dei ragazzi partecipanti. Un talent, per definizione, guarda al mainstream non all’alternativa di nicchia. Il talent non istruisce, semmai accontenta. I mezzi per elevare e diversificare la proposta sono altri e partono dalla produzione musicale degli artisti stessi peccato che poi i giudici, nei propri dischi, si sforzino di accontentare quanto più possibile il largo pubblico per vendere qualche copia in più.
E che faranno, dunque, questi ragazzi un domani ora che sono stati presentati ed etichettati come alternativi? Qualcuno andrà a fare cabaret, qualcuno suonerà in qualche Festival house della birra e qualche altro pubblicherà qualche singolo che, proprio per il suo essere “alternativo”, non verrà ascoltato da nessuno perché costringere il pubblico al “diverso” implica ridurre la platea che, per forza di cose, si riduce di per sé quando le telecamere si spengono. Il pop fa schifo a tutti. A parole. Però poi è quello che fa vendere i dischi. Fare i fighi radical chic, invece, fa sentire acculturati, importanti e colti ma, ahimè, è tutta fuffa. Tanta fuffa.
Ilario Luisetto
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