Raccontiamo l’attualità con una canzone
D’altronde cosa fai? Riaprono i musei dopo mesi e mesi di chiusura e non ci vai? Ovvio che ci vai. Perciò ci sono andato. Quando si affrontano la tematica dei musei chiusi, mi viene sempre in mente una frase di Brunori Sas di un suo spettacolo teatrale che pressapoco dice così:
“… io amo i bambini, è che sono un egoista. E ho paura che se faccio un figlio, che ne so, poi non posso più andare ai concerti o fare viaggi all’estero o, che ne so, alle mostre di pittura: comunque tutte cose che non faccio, ma vedi mai…”
È ironia, per l’amor del cielo, però con un fondo di verità. Ed è una sensazione che ti senti addosso quando svoltato l’angolo, così, come al posto di trovarti di fronte ad un normale semaforo o alla solita indicazione stradale, ti trovi invece davanti a Ulisse ed Achille che sostano su una verde isola in mezzo al mare, coi loro sguardi forti e dolorosi come solo gli sguardi forti e dolorosi degli antichi greci riescono a possedere. Il traffico e i rumori cittadini non li avverti neanche più. Solo un sottile vociare sottile e incomprensibile di arte e di rappresentazioni. Il resto è silenzio che spiazza. Ecco una cosa dei musei che stavo per dimenticarmi: non è l’arte la prima cosa che ti inghiotte, ma il silenzio. Poi sì, c’è anche l’arte. E qui parlo per me: gran parte dei quadri, io, non li capisco proprio. Li guardo, osservo i colori, le sfumature, le capacità di interpretare gli infiniti gesti del nostro corpo. Però non so. Sento che qualcosa, alla fine, mi sfugge. Un po’ come cercare delle verità nei vecchi filmati storici. Veri e autentici, certo, però lontani nel tempo e stanchi nel loro restio tentativo di comunicarci qualunque sorta di insegnamento o di morale. In questo modo passano i quadri e così una lunga carrellata di nomi che al loro tempo furono grandi artisti conosciuti un po’ ovunque, mentre nei musei si rianimano solo nei pochi secondi in cui leggiamo la targhetta dell’opera.
Poi la facce. Le facce dei quadri. Passano le guerre, le pandemie, le crisi politiche, governi che cadono, multinazionali che truffano e falliscono, attentanti, omicidi: e loro? Loro stanno sempre lì, con quell’espressione. Quasi sempre seria, se non tendente alla disperazione. Cose che ti fanno venire pensieri strani, questi. Perché viene la voglia di guardare quelle facce e, sì, disegnarle un sorriso, così, giusto per spostarle da quella loro ottusa immobilità: giusto per farcele sentire vicino a noi. Un piccolo bisogno di tenerezza, tutto qui. Ma niente da fare. Come erano prima che chiudessero i musei, così sono rimasti. Fermi, freddi, tristi e imbronciati. Quasi mai un sorriso. Solo salvezza mischiata al dolore. Solo vita celata alla morte.
Visto che l’ho citato prima, cito il buon Brunori Sas anche adesso con la sua canzone Quelli che arriveranno. Chiedendomi cosa avranno pensato di quelli che arriveranno – cioè noi – i vari Tiepolo, Boccioni, Van Gogh, nel momento in cui finivano le loro opere. Se le avremmo capite o perlopiù ignorate. Se ci saremmo lasciati incantare o solo annoiare dalla loro arte su tela.
“Quelli che arriveranno
Chissà come saranno
E se avranno le stesse tue mani
Se saranno più alieni o più umani
E se avranno le solite gambe
Le solite braccia, le solite facce
Ma chiuso nel petto magari
Un cuore più grande”
Io non so. Guarda la mia ragazza e lei sì, lei è una che coglie tante cose. Vedo i suoi occhi accesi e comunicanti con quel passato che è sempre stato e sempre interpreta come presente. Quegli occhi che invidio e che cerco un po’ ovunque, in questi musei appena aperti come in queste vie che partoriscono ed esondano nuovi curiosi abitanti. Magari ha ragione Brunori. Magari viviamo nella nostalgia di un presente che non capiamo, nell’attesa di lasciarci intendere dalle prossime generazioni.
Ero immerso in questo e in altri pensieri quando, passando tra i vari quadri, mi imbattei in due vecchietti. Lui con i capelli bianchi e un libro in mano, lei con un cappello di lana e una folta pelliccia. Quel tipo di vecchietti che devono aver pattuito un vantaggioso compromesso con il tempo così da sembrare sempre giovani nonostante i loro numerosi anni. Si tenevano per mano, lui raccontando a lei perché quel quadro di Tiepolo fosse grandioso. Lei lo stava ad ascoltare osservandolo gesticolare come se si trovasse davanti a Tiepolo in persona. Raccontava con una pazienza ed una esattezza che era uno spettacolo. Ora come ora non ricordo neanche di quale quadro si riferisse. Forse un dipinto di una chiesa o di una cattedrale. Non me lo ricordo perché il resto del tempo l’ho passato a guardare quei due lì. Cercavo la loro storia. Perché secondo me lui l’ha amata con la stessa pazienza e la stessa esattezza, per tutta la vita. E lei avrà fatto lo stesso, perché ad un certo punto si è voltata per sistemarsi il capello di lana, e se la guardavi quel che guardavi – oltre la mascherina – era una faccia felice.
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